Statuti Medicei attuali dell’Ordine di Santo Stefano P.M.

A seguito della ripresa del Gran Magistero dell’Ordine di santo Stefano P.M. avvenuta nel 2001, Sua Altezza Serenissima il Granduca Ottaviano de’Medici di Toscana ha ripristinato gli antichi stututi con cui l’Ordine fu fondato nel 1561. Ora  Sua Altezza sta revisionando detti antichi  statuti al fine di renderli adeguati ai tempi attuali.

In attesa che sia terminata la loro revisione gli antichi statuti rappresentano l’unico modello di riferimento ritenuto valido da Sua Altezza Serenissima il Granduca Ottaviano de’Medici al fine di poter regolare le decisioni necessarie a ripristinare le  attività dell’Ordine nei modi sopra descritti.

Pertanto, per volontà di sua Altezza il Granduca Ottaviano de’Medici di Toscana e fino a nuova disposizione di S.A. essi debbono comunque intendersi come nuovamente vigenti a far data dal 30 Maggio 2019, ad eccezione dei seguenti articoli e dei riferimenti ad essi collegati:

TESTO

p. 1]PROEMIO
Quello che è à Naviganti la Tramontana, sono alli huomini le leggi, et come non si può navigare felicemente senza essa Stella, così non si può beatamente vivere senza esse leggi, et però vogliamo, che come i saggi Nocchieri per condursi securamente in porto, risguardono sempre verso il Polo, così i Cavalieri della nostra Religione per conseguire la lor’ felicità, habbiano sempre gl’occhi rivolti alle leggi, alle quali cominciando noi (invocato un’altra volta il nome divino) à dar’ buon’ principio con speranza di miglior mezzo, et d’ottimo fine. Diciamo, che tre sono quelle cose le quali si deono principalmente osservare da tutti i Cavalieri del’Ordine della nostra Milita, et cio sono, Carità, Castità, et Obedientia, la Carità è sovvenire al proximo, la Castità, o veramente Pudicitia è non cognoscere carnalmente altra Donna che la propria moglie, la quale prender’ possa il Cavaliere, Secondo l’ordine della Santa Chiesa Catholica, l’Ubidienta vuole ciascuno di questa Religione con buon animo diligentemente, et volentieri exequisca tutte quelle cose che dal Gran Maestro, o suo Luogotenente, et altri superiori secondo li statuti, et capitoli, li saranno comandate.

2.3. DEL’UFITIO, ET PROFESSIONE de Cavalieri. Capitolo III.

La Base sopra la quale è fondato l’ordine di questa Militia de Cavalieri di Santo Stephano è la Carità. Et perchè chi ha la Carità sta in Dio, et Dio come afferma egli stesso sta in lui. Chiunche fa professione d’esser’ Soldato di questa nostra Militia, sappia che egli fa professione della Militia di Iesu Christo, et il primo ufficio del Soldato di Iesu Christo è preporre l’honore di Dio, à tutte le cose, ubidire à comandamenti della Divina scrittura, servare i precetti della Santa Sede Apostolica, combattere per la fede Catholica, osservare la Iustitia, soccorrere i poveri, ricuperare i prigioni di mano delli Infedeli, et finalmente sotto entrare di buona volontà à qualunche pericolo per difesa della Christiana Religione, e per augumento di essa, esporre non che la robba, ma la vita propria. Et sia certo che come i premij saranno eguali à meriti, anzi infinitamente maggiori, così le pene saranno pari à demeriti. Percioche quelli che per bontà d’animo, et generosità di quore eleggeranno di far’ l’opere di valoroso Cavaliere, haranno in questa mortal’ vita immortal’ gloria, et honore, et nel altra eterna felicità et beatitudine, et al opposto, Quelli che per viltà di quore, o malignità d’animo faranno il
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contrario, saranno in questo oltra le dovute pene meritamente infami, et nel altro Mondo eternamente infelici.

2.4. DELLA PENA DI CHI TRANSGREDISCE. La Regola, et li statuti. Capitolo IIII.

Come l’osservanza della Regola ricercha l’anima, et il corpo per le orationi, digiuni, et altre cose contenute in essa, così anco la transgressione, et inosservanza obliga l’anima et parimente il corpo, ma chiunche transgredirà li statuti, et consuetudini del ordine obliga solamente, et sottomette il corpo alla pena dove non sia cosa, per la cui transgressione, o ommissione, secondo li comandamenti di Dio, et li sacri Canoni l’anima venisse obligata, et sottoposta al peccato. Et perche e conviene che la Regola distintamente venga à notitia d’ogni Cavalierer, percio vogliamo, che li Capitoli, che trattano della Regola, e similmente l’infrascritti statuti una volta l’anno almeno si legghino con alta voce nel Convento in presentia di tutti li Cavalieri che vi si troveranno. LI STATUTI DA LEGGERSI son questi cioe. DELLA REGOLA. 1 Della Regola de Cavalieri di San Stephano 2 Delli statuti et constitutioni della relligione de Cavalieri 3 Dell’Uffitio et professione de Cavalieri 4 Della pena di chi transgredisce la Regola et li statuti. Del modo del Ricevere i Cavalieri. 3 Del habito de Cavalieri. Della Chiesa et culto divino. 1 Del culto divino 2 I giorni ne quali i Cavalieri son tenuti digiunare 3 Della confessione che deono fare quando montano in Barcha 9 Dell’orationi che si debbono fare per ciascuno Cavaliere defuncto.
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Dell’Hospitalità. 1 Del Hospitalità et cura delli Infermi. Del Thesoro Comune. 1 Delle ragioni et charichi del Thesoro 2 Che li debitori del Thesoro paghino quello devono 3 Delle ragioni del Mortuario e delle vacante 10 De debitori del Thesoro. Del Capitolo Generale. 2 De Cavalieri che deono intervenire al Capitolo Generale. Del Gran Maestro. 1 Dell’obedienza de Cavalieri. Dell’uffitij et degnità. 3 Del Modo di armar’ Legni e Vasselli. Dell’esercitio et uffitio de Cavalieri. 4 Che i Cavalieri si esercitino nell’Armi. Delle commende. 1 A chi si deveno dare le commende. 2 Tra quanto tempo i Cavalieri possono conseguire le commende. 6 Che i beni della Religione non si dieno à fitto à secolari. De contratti et alienationi. 2 Che i Cavalieri non esercitino Arti, ò prohibite, o vili 3 Che i Cavalieri non faccino contratti finti, ò simulati. Delle Allogagioni. 1 Che i mortuarij, e le vacanti non si affittino senza licentia etc. 3 Che durante il mortuario, e la vacante non si possino far miglioramenti etc. Delle Prohibitioni e pene. 1 Quando sia lecito à Cavalieri far Testamento
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3 Che i Cavalieri non s’intromettino nelle cause de secolari 6 Che i Cavalieri non si partino del Convento senza licentià 8 Che i Cavalieri non impetrino lettere per ottenere commende 13 Che i Cavalieri non intervenghino nelle guerre de Christiani senza licenza 15 Che nessuno vadia senza l’habito 18 I Casi per li quali i Cavalieri si privano del habito 22 Della Bestemmia 27 De Concubinarij 28 Casi per i quali s’incorre nella settena, et 29 nella Quarantena 34 Del Obedienza, et il 36 Della pena di chi non interviene alli uffitj divini.

3. Titolo secondo DEL MODO DEL RICEVERE I CAVALIERI.

3.1. IN CHE MODO I CAVALIERI DEL Ordine di Santo Stephano deveno esser ricevuti alla professione. Capitolo I.

Tutti coloro, che desiderono d’essere ammessi, e ricevuti alla defensione della fede Catholica, et accrescimento della Religione Christiana, sotto l’habito regolare del’ordine della nsotra Militia, devono in questo modo, et con questa forma essere divotamente ricevuti, et ammessi à fare professione. Primieramente chiunche tirato da Zelo di carità disia d’entrare nel ordine della nostra Religione e d’essere uno de Cavalieri di Santo Stephano. Sappia che gli bisogna divenire un altro homo da quello che eli era, Onde per mondarsi da tutte le macchie di tutti i peccati, deve humilmente confessarsi, poi così netto d’ogni iniquità, et dal sacerdote assoluto, presentarsi con una vesta lunga da secolari scinta dinanzi al Altare genuflesso con una falcola accessa in mano, et quivi udita la messa attentamente e divotamente comunicatosi si ponga con gran’ reverenza dinanzi al Ricevente, cioè à quel Cavaliere à cui sara stato imposto dal Capitolo, che ricevere il debba: et gli chiegga humilmente di dovere essere accettato nel consorzio, e compagnia de Cavalieri del’Ordine di Santo Stephano. Allora il Recevente con accomodate, e divote parole confermi, e lodi il proponimento del Profitente, mostrandogli quanto sia salutevole, quanto preclaro, quanto giocondo servire
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à GiesuChristo, esercitare l’opere della Cavalleria, essere scritto nel numero di coloro, la cui professione è accrescere la fede Cattolica, difendere la Sede Appostolica, opprimere li Infedeli, è propagare i termini della Religione Cristiana e che molti hanno quello, che egli desidera, desiderato, ma non gia potuto ottenerlo, et finalmente gli faccia à sapere quanto sia grande l’ubbidienza, e la severità di tale ordine, et di cosi fatta Religione, e che gli fia di mestiero non le sue proprie voglie, ma quelle de suoi superiori seguitare, e non come à lui parrà, ma vivere come piacerà ad altrui, cil che detto, dimandisi se egli è presto, e pronto à volere cio fare, e se egli risponde di sì, si dimandi: se egli è debitore d’alcuna grossa somma di pecunia ad alcuno, o fattosi volontariamente servo di persona, percioche in cotali casi non solo non se gli puo dare l’habito, ma quando gli si fusse dato, come à disleale, et infedele, con sua grandissima vergogna se gli torrebbe, ma se neghera di essere debitore, et affermerà di essere libero, il Ricevente aprirra il Messale, et il Profitente vi porra sopra le mani giunte insieme, è fara la professione, con queste, o alte simiglianti parole. Io tale di tale fo voto sinceramente, et prometto con tutto il cuore all’Omnipotente Iddio, et alla beatissima Vergine Maria, et à Santo Stephano di dovere (aiutandomi la Divina grazia) prestare sempre humile ubbidienza à qualunque superiore, il quale da Dio, e dalla nostra Religione dato mi sarà, e di piu servare sempre carità, pudicitia et ubedienza, et vivere secondo la Regola, et statuti di questo ordine, le quali parole dette, lievi le mani di insul messale, et il Ricevente dica. Noi riconosciamo te essere soldato di GiesuChristo, è dedicato à difendere virilmente la fede, e Religione sua, et mandare ad effetto tutte l’altre cose, che nella Regola e statuti nostri si contengono. Allhora il Porfesso chinando il capo risponda, così conosco d’essere, dipoi baci il messale, et presolo con ambe le mani lo porti, è ponga in su l’Altare, e baciato l’Altare, lo riporti in segno di vera ubbedienza al Ricevente. Dopo le quali cose il Ricevente pigliando un manto bianco di ciambellotto, et tenendolo con ambe due le mani mostri al Professo la Croce Rossa che in esso sarà nella parte sinistra et dica. Credi tu fratello, che questo sia il segno della Santissima Croce, nel quale Cristo figliuolo de Dio, creatore del Cielo, e della Terra per ricuperare noi miseri peccatori pendendo morì? e il Professo risponda credolo, Et il Ricevente soggiunga: Questo è il segno del ordine della Milita nostra, il quale noi ti comandiamo, che tu porti sempre nel lato manco della tua vesta. Allora il Professo baci divotamente il segno della Croce: Le quali cose fatte, il Ricevente gli ponga à dosso il Manto, e la Croce dinanzi al petto, nella parte sinistra, e fratellevolmente baciatolo, amorevolmente gli dica. Piglia dilettissimo fratello, questo sacratissimo segno nel nome della Santa Trinità, e della beata Maria sempre Vergine, e di Santo Stephano, e sappi fratello carissimo, che noi ti vestiamo questo Mando di color’ bianco, perche tu habbi sempre dinanzi a gl’occhi la purità, e la candidezza del’animo, la quale tu non debbi mai per tempo nessuno, ne per nessuna cagione in infamia, e vergogna del nostro ordine, e à detrimento del anima tua volere in alcun’ modo macchiare, Et ti ponghiamo questa croce rossa nella sinistra parte accio che tu l’ami, e adori con tutto il quore, e perche tu colla destra, valorosamente combattendo la difenda, e difesa la mantenghi, perioche se tu altramente facessi, et commettessi atto indegno, o nella guerra, o nella pace d’un’ Cavaliere della nostra Religione, tieni per fermo, che tu secondo la fomra degli
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statuti nostri, saresti mancatore di fede, e violatore del tuo voto medesimo primato del merito della Santissima Croce, e come membro fracido, e puzzolente tagliato dal restante del corpo e gittato via, e finalmente come indegno di tanti, e tanto honorati Cavalieri dal Consorzio nostro ignominiosamente scacciato. Di poi legandogli al collo il nostro, e affibbiatura del Manto humanamente gli dica: Piglia Carissimo e dilettissimo fratello nostro, il giogo di GiesuChristo, il quale e leggiero e soave, sotto questo ritroverai tu dolcissima pace, e quiete, e Noi da Hora inanzi facciamo partecipe l’anima tua, e quella di tutti i Padri, e parenti tuoi di tutte le buone opere, che nell’ordine nostro, da nostri fratelli si fanno o si faranno sempre per l’avvenire in ciascun’ luogo. Il Professo soggiunga. Amen, cioè io prego che così sia. Allora prima il Ricevente, e poi tutti gl’Altri Cavalieri in segno d’amore, e di pace, e della fraterna dilezzione l’abbraccino caramente, e lo bacino, il qual atto fornito, i Cavalieri Sacerdoti che vi saranno presenti, e in ispezieltà quegli il quale harà celebrato la mezza, comincia à orare in questo modo. Suscepimus Deus Misericordiam tuam in medio templi tui. Psalm. Magnus Dominus, et laudabilis nimis in Civitate Dei nostri in Monte Sancto eius. Gloria patri et filio, et spiritui sancto. Sicut erat in etc. Suscepimus Deus etc. Kirieleison, Christe eleison Kirie. etc. Pater noster etc. Vers: Salvuum fac servum tuum. Resp: Deus meus sperantem in te. Vers: Mitte ei Domine auxilium de sancto. Resp: Et de Syon tuere eum. Vers: Nihil proficiat inimicus in eo, Resp: Et filius iniquitatis non apponat nocere ei. Vers: Esto ei Domine turris fortitudinis. Vers: A facie inimici, et persequentibus eum. Vers: Domine exaudi orationem meam. Resp: Et clamor meus ad te veniat. Vers: Dominus vobiscum Resp: Et cum spiritu tuo. ORATIO. Deus, qui iustificas impium, et non vis mortem peccatorum Maiestatem tuam suppliciter deprecamur, ut hunc famulum tuum, de tua misericordia confidentem, caelesti protegas benignus auxilio, et assidua protectione conserves, tu tibi iugiter famuletur, et nullis à te tentationibus separetur. Per Christum Dominum nostrum Amen. ORATIO. Omnipotens sempiterne Deus, qui facis mirabilia magna solus, pretende super famulum tuum. N. spiritum gratiae salutaris, et ut veritate tibi complaceat, perpetuum ei rorem benedictionis tuae infunde. Per Christum Dominum nostrum Amen. ORATIO. Suscipiat te Dominus in numero fidelium, et licet nos indigni te suscipimus in orationibus nostris. Concedat tibi Dominus locum bene
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agendi, voluntatem perseverandi, et gratiam ad aeternae vitae beatitudinem, hereditatemque faeliciter perveniendi: Ut sicut nos caritas fraternitatis coniunxit in terris, ita divina pietas, que dilectionis auxiliatrix est, cum suisi fidelibus te coniungere dignetur in coelis: praestante Domino nostro Iesu Christo. Qui cum patr, et spiritu sancto vivit, et regnat Deus. Per omnia saecula saeculorum. Amen.

3.2. DELLA DIVISIONE DE gradi de Cavalieri. Capitolo II.

I Cavalieri di questa Religione, vogliamo sieno di tre maniere. Alcuni si chiamino et sieno Cavalieri Militi, cioè Soldati, alcuni Cavalieri Sacerdoti, o vero Cappellani, et alcuni Cavalieri serventi i quali non sono principali, ma servono altrui. I Cavalieri Militi sono di due ragioni. Alcuni haveranno la Commenda in atto, et effettualmente l’administreranno, et questi si chiamino Commendatarij, o vero Preceptori, et alcuni l’haveranno solamente in potenza cioè, che havendo l’Antianità, o vero aspettativa deveno haverla al tempo. Come meglio à suo luogo si dichiarerà, et questi si chiamino Cavalieri Conventuali. I Cavalieri Sacerdoti, o vero Capellani anch’essi saranno di due sorti, percioche alcuni sacerdoti Conventuali, et alcuni saranno sacerdoti d’ubbedienza. I Cavalieri serventi sono medesimamente partiti in dua spetie, alcuni serventi d’Arme, alcuni serventi, d’uffitio, o veramente di Stallo. Li quali ultimi non sono propriamente Cavalieri. Hora egli s’ha da sapere, che chiunche vuole essere nel ordine della nostra Religione à Cavalieri Milite ricevuto, bisogna, o che egli sia stato prima fatto Cavalieri da alcuno Principe Ecclesiastico, o laico, o d’alcuna Comunità che habbiano potestà di creare Cavalieri, o si veramente che gli si diano le Insegne della Cavalleria inanzi che faccia professione dal suo Ricevente, o da alcuno altro Cavalieri Milite, al quale sarà tal facultà concessa. Et pigliare l’insegne del Cavalierato, faccia, secondo il modo detto professione. Vera cosa è, che tanto i Cavalieri Sacerdoti, quanto i Cavalieri serventi, così d’Arme, come d’uffizio non han’ bisogno di pigliar’ prima, o poi l’insegna di Cavalleria, essendo cio privilegio spetiale, de i Cavalieri Militi.

3.3. DEL HABITO DE CAVALIERI Capitolo III.


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Altramente hanno andar’ vestiti i Cavalieri, et altramenti quelli che Cavalieri non sono, e tra i Cavalieri medesimi, altro habito devono portare i sacerdoti et i serventi, et altro i Militi, et anch’i Cavalieri Militi non vestiranno in un medesimo modo quando saranno al Convento, et quando fuora del Convento, et li Cavalieri graduati, como sono quelli del Consiglio, et li Priori Cavalieri durante il grado, et loro uffizio deveno portare la Croce Rossa in altro luogo, che li altri Cavalieri Militi. Percioche vogliamo, et ordiniamo, che li Cavalieri graduati, et Priori sien’ tenuti portare cosi nel manto come nel habito loro ordinario la Croce grande di color’ rosso nel mezzo del petto per il tempo saranno al grado et l’uffitio deputati, eccetto il Cavaliere Comandator’ maggiore il quale ha sempre à portare nel mezzo del petto al Croce grande e vermiglia, li altri Cavalieri Militi non graduati, portino la Croce ordinaria del lato sinistro, si del manto, come del habito loro ordinario, nel tempo della pace, ma nel tmepo della guerra devino quando saranno nella Militia portarla nel mezzo della sopravesta, come appresso del’habito militare si dichiarerà. Li Sacerdoti e Capellani portino la croce rossa ordinaria dal lato sinistro delle lor Toghe. Li Cavalieri serventi d’Arme la croce piccola dalla banda destra, et similmente li serventi d’uffitio che non sono propriamente Cavalieri come conversi donati, et additti alla Religione, portino dal lato destro una mezza croce, cioè li tre rami di sotto, lasciando il quarto et la parte superiore. Et quanto al habito, il manto da portarsi per i Cavalieri Militi nel Convento sia di ciambellotto biancho entrovi la croce rossa in quel modo, e in quella parte, che di sopra distintamente s’è detto. Per i Cavalieri Sacerdoti, una Toga con il medesimo segno, et colore come di sopra per i Cavalieri serventi, vesta di saia, o di rascia, o d’altro panno di color’ biancho col segno della Croce rossa, come poco appresso di è specificato. L’habito Militare da usarsi per li Cavalieri Militi sulle Galee per combattere contro li Infedeli sarà una sopraveste bianca di taffettà, et tutti li altri fornimenti di color’ rosso, et nel mezzo della sopravesta la croce rossa, la quale non per altra cagione vogliamo sia di vermiglio colore, se non perche si ricordino, che essi devono volentieri spargere il sangue loro, nocentissimo à honore, e gloria di colui il quale per ricomperarci e salvarsi sparse spontaneamente il suo innocentissimo sul legno della croce. Nelli altri vestimenti che ordinariamente porteranno li Cavalieri Militi deveno usar’ colori, et ornamenti honesti, et al grado loro convenienti.

3.4. DELLA QUALITA DI COLORO che deveno esser’ accettati nel ordine. Capitolo IIII.

Non vogliamo che nessuno, il quale non sia leggittimamente nato possa ammettersi alla professione del ordine della nostra Religione se gia non fusse figliuolo d’alcuno Signore di titolo, come son Duchi, Principi, Marchesi, o Conti di grande stato, et li figliuoli illegittimi d’altri Signori, ancora che habbino iurisdittione è Vassalli devino mettersi à
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partito e passare per il Capitolo della Religione. Ne possa alcuno vestirsi l’habito del nostro ordine, il quale havesse havuto origine da Giudei, o da Marrani, da Saracini, o altri Maumettani, o damnati di heresi quantunque e fusse figliuolo di Conte, o d’altro Principe, senza matura deliberatione, e spetiale dispensa del Gran Maestro. La quale apparisca per scrittura. A chiunche fusse d’alcun’altra Religione è ordine di Militia pari à questa, o piu largha e desiderasse d’entrare nella nostra si concede purche l’ordine che tiene egli lo lasci con buona gratia de suoi Signori, o veramente colla dispensa della Sieda Apostolica ogni volta però che in altra Religione non habbia fatto alcun’ mancamento. Chiunche sarà oltra modo obligatosi, et di grossa somma debitore, o per delitto infame, come exempli gratia, publici bastemmiatori, Soddomiti, ladri, traditori, sicarij, Micidiali, Assassini, falsarij, heretici, o per altri lor’ demeriti macchiati d’infamia non vogliamo possino essere in modo alcuno ricevuti nel ordine nostro: Ancora non vogliamo, che alcuno si vesta l’habito nostro, il quale non habbia diciassette anni forniti. Concediamo bene, che il Gran Maestro possa eleggersi sei giovanetti, quali piu gli paranno, o per Cavalieri Militi,purche siano nobili, o per Cavalieri serventi, i quali esenti da ogn’altro servigio, e ministerio habbino à staro saldamente à i familiari, e domestici servigij suoi, contra i quali non si possa opporre cosa alcuna, ne quanto alla età, ne quanto alla antianità, solo, che sieno nel quattordicesimo anno. Similmente non volemo, che alcuno possa essere nel nostro ordine, e dalla Religione ricevuto, il quale non habbia il corpo ben’ conditionato, e atto à sopportare le fatiche, e non sia di mente sana, e di costumi lodevoli.

3.5. DELLE PROBATIONI CHE SI DEBBONO fare inanzi che alcuno si accetti. Capitolo V.

Chiunche desidera d’essere ricevuto in Cavaliere Milite bisogna che pruovi autenticamente se esser’ nato di padre e madre, d’Avolo, e Avola nobili, il che potranno fare mediante i lor’ Casati, e l’Arme, et insegne loro le quali Armi di chi sara ricevuto in Cavalieri vogliamo si pongano in un luogo della Religione appartato, affine che restino quivi à perpetua memoria. Et se bene fussino stati piu Cavalieri d’una Casa medesima ci contentiamo, che basti porre un’Arme sola per ciascuna famiglia. Et finalmente siano tenuti tutti coloro, i quali vorranno pigliare l’habito nostro, fare le loro probationi al Consiglio, le qual essendo buone e approvate dal Consiglio, l’elezzione si rimetta al Gran Maestro, ne possa alcuno vestirsi l’habito fuora del Convento senza spetial’ commissione del Gran Maestro, et che non habbia se sarà Cavaliere Sacerdote, la Toga à Sacerdote conveniente se Cavaliere milite, o Cavaliere servente d’Arme, Armi è sopraveste dicevoli à gradi loro.

3.6. DELLA PENA DI COLORO CHE SARANNO stati ricevuti contra la forma de Capitoli. Capitolo VI.

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Se alcuno per qual si voglia cagione fusse stato ricevuto nell’Ordine nostro contro al Regola, o fuora degli statuti, se egli sara Cavaliere milite sia ridotto à Cavaliere servente, d’Arme, se sara Cavaliere Sacerdote sia ridotto in Cavaliere d’ubbidienza, se Cavaliere Servente d’Arme sia ridotto in Cavaliere servente d’uffitio, e con tutto cio siano inhabili à qual si voglia amministratione di qual si voglia commenda, e di tutti gl’altri beni qualunque siano del nostro Ordine.

3.7. CHE A NESSUNO IL QUALE SIA STATO ricevuto una volta al grado di Cavaliere Milite si possa muover’ lite dello stato è conditione sua. Capitolo VII.

Noi deliberiamo, che à chi è stato una volta ricevuto nel Convento nostro nel grado de Cavalieri militi non si possa mai da alcuna persona muovere controversia dello stato, e conditione sua, se prima quel che li muovera lite non si sottomettera alla pena del Talione, cioè che egli se non prova l’intention’ sua debba essere rigittato al grado di Cavaliere servente, e à nessuno dopo tre anni si possa muover’ lite del suo grado.

3.8. DEL RICEVIMENTO DE CAVALIERI Cappellani nel Convento. Capitolo VIII.

Nessuno si riceva nel Convento nostor al grado de Cavalieri Cappellani, infino à tanto che egli non hara servito in detto Convento un anno intero, accio che prima, che egli pigli l’habito nostro, si possano conoscere i costumi, e la vita, e la sufficienza, nel qual tempo deve esser nutricato à spese del Tesoro della Religione.

3.9. CHE UN CAVALIERE SERVENTE NON possa divenire Cavaliere milite se non per alcuna notabile pruova. Capitolo IX.


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Egli non par’ cosa convenevole, che un Religioso muti quello stato, il quale egli s’ha eletto una volta, e vada perversamente scambiando il grado della qualita, e conditione sua, e però prohibimo, che un Cavaliere servente di qualunque conditione sia, possa essere ammesso al grado del Cavaliere milite, la onde se un Cavaliere servente fusse fatto Cavaliere da un Principe secolare, o Ecclesiastico, non debbe percio godere d’altro grado: amministratione, uffitio, e salario, che di Cavaliere servente. E dall’altro lato perche la virtù sola è quella, la quale distingue veramente le conditioni degl’huomini, volemo, che s’osservino l’opere di tutti i Cavalieri di qualunche maniera, affin’che se alcuno Cavaliere servente facesse alcuno atto segnalato contra gl’Infedeli, possa essere rimunerato dal GranMaestro, e tirato al grado de Cavalieri Militi.

3.10. IN QUAL MODO SI DEBBANO PRIVARE dell’habito i Cavalieri. Capitolo X.

Come alle cose ben’ fatte, si conviene il debito premio, cosi à quelle che mal fatte sono si richiede la dovuta pena, perche secondo i meriti, e i demeriti de Cavalieri nostri vogliamo, che sianohora premiati, e hora puniti, come di mano in mano si vederà, e perchè l’ultima pena nella nostra Religione e la privatione di tutte le sue Commende, uffitj, benefitij degnita, e antianita, e di piu la prigione perpetua: Quando alcuno Cavaliere hara tale sceleratezza commesso, che egli per le leggie, e statuti nostri meriti di dovere essere privato dell’habito, e rimosso dalla Compagnia, e consortio de nostri Cavalieri, in tal’ caso il Consiglio della Religione deve diligentemente conoscere, e tritamente esaminare la qualità del delitto e proporre la causa al Capitolo il quale sia tenuto con severo iuditio administrare iustitia in che se non facesse per qual si voglia cagione, allhora possa il Gran Maestro anzi debba essendo chiaro il delitto, secondo li Capitoli et statuti farla egli stesso. Et ogni volta che il Capitolo non giudicasse secondo gl’ordini possa, e debba il Gran Maestro informato legitimamente del l’ingiustitia ridurre ogni cosa al giusto per quanto comporteranno le leggi, e stati della Religione. Ma quando il Capitolo havesse giustamente giudicato, non debba il GranMaestro, ne possa in tal caso alterare il giuditio fatto. Deve dunque il Consiglio, qualunque volta alcuno Reo, e accusato di tal delitto, del quale se fusse convinto, meritasse la privatione del’habito ragunarsi, et consultare maturamente sopra la qualita et importantia della querela, et quello sia da fare, et per tutti i modi possibili, e permessi da gli statuti ritrovare la verità, et informarsi sinceramente, e senza alcuna cavillatione, o per iscritture, o per Testimonij, o in qualunque altro modo legittimo e fare scrivere diligentemente ogni cosa, il che fatto, se parra loro, che il peccato del Reo meriti la privatione del habito, facciano che il Reo sotto buona guardia sia dal
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Connestabile facco condurre dinanzi al Capitolo, e lettagli la querela, et manifestatogli il suo delitto gli domandino se è vero, o no, se niega, allora si produchino l’informationi, le probazioni, e l’attestationi, e si gli dia facultà di poter rispondere di sua bocca propria, non gli concedendo ne piu, ne men’ tempo di quello, che parra loro bastevole à poter’ rinvenire il vero, il quale solo attendere si debba, e non altro, senza amore, o odio, o altra anxietà, le quali cose fatte, proceda il Capitolo, o il Vice Maestro à alcuno de Cavalieri, se non vuole privarlo egli stesso, il quale lo privi del habito in tal’ maniera, e con queste parole, stando il condannato ginocchioni dinanzi al Capitolo gli dica. Conciosia cosa che tu mediante le sceleratezze tue ti sei renduto indegno del segno della Santissima Croce, e dell’habito del ordine nostro, alla professione del quale noi t’havevamo prima ammesso, credendoti buono e fedele, perciò seguitando noi l’ordine de nostri statuti in honore de buoni, e à terrore de cattivi huomini, e affine che tu dij esempio à gl’altri, ti priviamo dell’habito dell’ordine nostro, e ti rimoviamo rifiutandoti del tutto dalla Compagnia e consorzio de Cavalieri della nostra Religione, e come putrido membro e fracido separandoti da buoni ti gittiamo via. Dette queste cose, colui à chi sarà comandato dal Capitolo, o dal ViceGranMaestro gli lievi l’habito in questo modo. Al primo comandamento egli pone la mano al manto del condennato, al secondo gle ne scioglie, al terzo gle lo lieva da dosso dicendo. Per l’autorità, che io ho dal mio superiore, io ti tolgo, levo, e rimuovo, così il laccio, e il giogo del Signore, il quale e dolcissimo, come l’habito del nostro ordine, del quale tu ti sei mostrato indegno. Fornite queste cose, il medesimo che gl’ha levato il Manto per comandamento del Capitolo, o del VicegranMaestro lo mena e serra in prigione. Se il Reo fusse assente, e citato non comparisce per contumacia, e non si potesse far’ pigliare in tal’ caso si procede non altramente, che se egli fusse presente, e se il suo delitto e notorio da se, o provato con legittimi mezzi, nel modo e forma che di sopra s’è veduto si condanna, è in suo luogo si pone uno à sua similitudine fatto di cenci, al quale dopo il terzo comandamento si lieva e toglie il manto, come s’è detto.

3.11. IN QUAL MODO SI RENDA L’HABITO à Cavalieri che ne sono stati privati. Capitolo XI.

Perche come contra à coloro, i quali non solo gravissimamente peccano, ma ancora gastigati persistono pertinacemente nella mala volontà del peccare, dee sempre la giustizia rigidamente procedere, così à quegli, che doppo il gastigo raveduti de loro errori se ne pentono, e desiderosi di ammendarsi ne chieggiono humilmente perdono, puo alcuna volta usare pietà, e clementia. Però noi ordiniamo, che se alcuno de Cavalieri nostri sara stato per le cattività, e tristi portamenti suoi spogliato del habito, e di poi riconoscendo i suoi falli, e pentendosene s’offerisca pronto, e apparecchiato à volergli correggere, e vivere
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Christianamente, possa far’ sentire questa sua buona volontà e dispositione al Capitolo, e il Capitolo solennemente ragunato deliberi se gli pare d’accettarla, e accettandola giudichi se gli si debba restituire l’habito, e giudicando di si, sia tenuto di farlo intendere al Gran Maestro, affine che egli ò approvi cotal giudizio, ò lo ripruovi, di maniera che, ne il Capitolo solo per suo giuditio, ò deliberatione, ne solo il Gran Maestro per sua sentenza e auttorità possa ristituire l’habito, ma il Capitolo, e il Gran Maestro insieme. Il Capitolo col giudicare, e sentenziare e il Gran Maestro coll’approvare e confermare il giudicato, e l’uno senza l’altro sia di nessun’ valore, e la forma di restituire l’habito sia cosi fatta. Colui il quale spogliato dell’habito ha chiesto, e ottenuto grazia di potere essere rivestito, ragunato legittimamente il Capitolo si fa menare dinanzi à lui vestito da secolare, o con una camicia sopra i panni, e con una fune al collo, tenendo con ambedue le mani legate insieme, una falcola accesa, e gittandosi humilmente dinanzi à piedi del Capitolo, o del Vicegran Maestro chiede supplichevolmente che gli debba esser’ perdonato il fatto suo, e restituito l’habito, e scritto di nuovo nella Compagnia, e consorzio de Cavalieri, promettendo di doversi ammendare, e vivere honestamente, e secondo gli statuti della loro Religione. Allora il Vicegran Maestro, ò alcun altro Cavaliere à cui sia cio dal Capitolo commesso gli dice così. Ancora che noi siamo chiari, che l’habito ti fu gia meritamente levato per li tuoi falli, nientedimeno noi mossi dalle tue promesse, e sperando, che tu debbi alla via de buon’ costumi, e à vita honesta e lodevole ritornare ti concediamo benignamente perdono, ti rendiamo cortesemente l’habito del nostro ordine, e ammettiamo, e scrivamo di nuovo gratiosamente nella Compagnia e consortio de Cavalieri nostri. Ingegnati dunque Carissimo fratello di vivere virtuosamente e di maniera, che tu non ci dia (il che cessi Iddio) occasione di esseguire un’altra volta contra di te il rigore, e la severità della Gustitia, e sappia, che tu ricevi hoggi da noi una grandissima gratia, e non conceduta, ne da doversi concedere se non à pochi, la quale preghiamo Iddio, che ti sia utile alla salute così del anima come del corpo, il che detto il Connestabile per comandamento del Vicegran Maestro o del Capitolo preso il manto glie lo pone sopra le spalle e affibbiandolo dice. Piglia di nuovo il giogo di nostro Signore il quale è leggiero e suave, e t’arrechera se tu vorrai la salute del anima, conducendoti à vita eterna. Fatte queste cose il Cavaliere à cui è stato ristituito l’habito, lodando Iddio renda gratie al Capitolo, e s’offerisce humilmente pronto e parato all’osservatione degli statuti, e obbedienza de supperiori. E se alcuno sara contro questa forma ristituito, sia non altramente, che se egli ristituito non fusse, intendendosi sempre, che per la ristitutione dell habito, non si ristituisce l’Anzianita, ne la residenza.

4. Titolo terzo DELLA CHIESA.

4.1. DEL CULTO DIVINO. Capitolo I.


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Il primo, e principale uffitio, e obligo d’un huomo buono e riligioso, e amare con tutto il quore e honorare Dio sopra tutte le cose. La onde noi benignamente commettiamo, e severamente comandiamo in genere à tutti e in spetie à ciascuno de carissimi, e dilettissimi fratelli e Cavalieri nostri, c’habbiano sempre e principalmente in amore e in honore le cose divine, accioche da divino soccorso aiutati possiamo, e piu fortemente incominciare, e piu felicemente combattere contra inimici del nome, e della fede di Giesu Christo Redentor nostro ma perche non solo divotamente orando, ma ancora valorosamente, contra gl’Infideli combattendo si serve à Dio, accioche i cari fratelli, e valorosi Soldati nostri possano fare l’una cosa e l’altra commodamente, ordiniamo che ciascuno Cavaliere milite dica divotamente ogni giorno cinquanta pater nostri, et cinque Ave Marie per l’hore della mattina. Et altanti in vece di vespro, compieta e mattutino. Le pasque il doppio, il di della festività della Religione il doppio, San Giovanni S. Piero, San Pavolo, e Santo Andrea il doppio, il di d’ogni Santi il doppio, e il di de morti il doppio, tutti gli Venerdi di marzo o settimane sante il doppio tutte le festivita di nostra Donna il doppio. E oltracio diciamo un paternostro piu per la prosperità e salute del fondatore della Religione. Concediamo ancora, che volendo possano in vece delli pater nostri dire l’uffitio di nostra Donna, e quando e doppio dire in quello scambio l’uffitio di nostra Donna e i sette salmi Penitentiali. I Cavalieri Sacerdoti, i Diaconi, i Soddiaconi, e cherici siano ubbligati celebrare l’uffitio canonico secondo i gradi de loro ordini, di piu dire anche essi per al salute e prosperità del fondatore del’ordine un pater nostro.

4.2. I GIORNI NE QUALI I CAVALIERI son tenuti à digiunare. Capitolo II.

Deono i Cavalieri del ordine della nostra Religione digiunare tutti i venerdi della Quaresima, e tutta la settimana Santa, e di poi nella vigilia della Pentecoste e nella settimana seguente. Ne giorni delle quatro tempora e negl’altri giorni ancora delle quattro tempora, e parimente nelle vigilie di S. Giovanbatista di S. Pietro di S. Pavolo, et di tutti gl’Apostoli, di S. Lorenzo Martire, del Assumptione della Conceptione della Nativita, della Annuntiatione della beata Maria vergine. La vigilia d’ogni santi, e la vigilia della Naitvità del Sign. à quali tutti digiuni si aggiunga quello de di della festa della nostra Religione e la vigilia di S. Cosimo, e S. Damiano, et tutti i giorni soliti digiunarsi eccetto quando fussino legitimamente impediti, o vero militassino per la Religione o fussino in altri servitij di essa. I Cavalieri del nostro ordine, così i Militi, come i serventi, vogliamo, che siano obbligati tutti quanti à communicarsi divotamente, e ricevere il santissimo sacramento dell’Eucarestia almeno tre volte l’anno, il giorno della Pasqua di Natale, il giorno della Pasqua di Resurressi, il giorno della Assumptione di Nostra Donna.

4.3. DELLA CONFESSIONE CHE DEBBONO fare i Cavalieri che montono in Barca. Capitolo III.

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Noi Comandiamo à tutti i Cavalieri del ordine nostro i quali debbono imbarcarsi in su Galee, o altri Navilij, che primieramente si debbiano confessare divotamente la qual’ cosa chiunche non farà, sara punito colla pena della Quarantena, se egli sarà Cavaliere Conventuale perderà il salario d’un’anno, se Cavaliere Commendatario perdera i frutti d’un’anno della sua Commenda, i quali frutti s’hanno ad applicare al nostro Thesoro comune. E sii debbono confessar’ o al Priore loro, o ad alcuno de Cappellani del ordine se ne troveranno e se vorranno confessarsi ad alcuno altro ne domandino licenza al Priore e in assenza del Priore al Vice Priore, e cio non habbia luogo, se non quando saranno dove sia Convento.

4.4. DELLA MODESTIA DE CAVALIERI nella celebratione de divini Uffitij. Capitolo IIII.

Noi non vogliamo che i nostri Cavalieri, mentre si celebreranno i divini uffitij, entrino in Choro, ò Stiano appoggiati a gl’Altari, affine, che non diano impedimento à Sacerdoti, che celebrano l’Uffizio, quegli che contrafaranno saranno puniti nella pena d’una Quarantena.

4.5. DELLA PRECEDENZA, ET Residenza de Cavalieri. Capitolo V.

Vogliamo per fuggire confusione e servare l’ordine de gradi, che tutti i nostri Cavalieri, così in Chiesa et in Capitolo come alle Processioni segghino, e vadino secondo l’ordine del Antianità, e che nessuno di grado inferiore si ponga nelle sedie d’alcuno superiore, o de luoghitenenti de superiori mente si dicono gl’Uffizii, chi fara altramente, sarà colla pena della Quarantena punito.

4.6. DELLE PROCESSIONI che si debbono fare Capitolo VI


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Le Processioni solenni, che si debbono fare nelle Chiese della nostra Religione sono queste Nelle feste della Purificatione e del Assunzione della Beata Maria Vergine, in quelle della Ascensione del Signore del Corpo di Christo, di Santo Giovannibatista, la vilia di Santo Cosimo e Damiano, et tutti i venerdi di Marzo, pregando Iddio per la pace, così universale, come particolare. Facendosi ancora il giorno della festa della nostra Religione, e di piu ogni Domenica all’Infermeria.

4.7. CHE SI DEBBANO FARE preghiere per la pace. Capitolo VII

Noi vogliamo che in tutte le Chiese, e Oratorij della nostra Religione si preghi Iddio per la pace universale in questo modo, che il Prete, che harà celebrato la mezza solenne doetto che harà il Patern nostro s’inginocchi dinanzi à l’altare, e intuoni ad alta voce Flectamus etc. per la pace e tranquillità della Chiesa Cattolica, e di tutto il Popolo Christiano, e in ispezieltà del ordine della nostra Religione.

4.8. CHE SI PREGHI DIO PER LA PACE e salute del Gran Maestro e di tutto l’ordine. Capitolo VIII.

Noi deliberiamo, che i sacerdoti, i quali in ciascuna delle Chiese, e degli Oratorij del nostro ordine in qualunque luogo saranno, mentre che celebrano i divini uffitij debbiano fra l’orationi, le quali offerono à Dio haver memoria spetiale del Gran Maestro, e di tutti i Cavalieri dell’ordine, pregando Iddio divotamente per loro, affine che mediante la gratia sua aiutati da presidio divino ne riportino la vittoria contra i nimici della fede Cattolica, à honore, e gloria di Giesu Christo benedetto per la cui fede, e per lo cui nome combattono, e affine che la Mesta Divina si degni epr sua bontà conservare sano, e felice il Gran Maestro, e tutto quanto l’ordine.

4.9. DEL ORATIONI CHE SI DEBBONO DIRE per ciascuno Cavaliere che muoia. Capitolo IX.


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Ogni volta, che morrà alcuno de nostri Cavalieri se gli debbano far dire trenta messe in tempo di x giorni doppo la notitia della sua morte et ciascuno Cavaliere, o milite, o sacerdote, o di qualunque altro grado sia tenuto à dire una volta l’uffitio de morti per l’anima sua, o vero cento pateri nostri.

4.10. DELLA MESSA CHE SI DEBBE celebrare per li morti. Capitolo X.

Deliberiamo che ciascuno anno nella sesta feria della quinquagesima, per tutte le Chiese del nostro ordine nelle quali si trovino sacerdoti si celebri una Messa solenne per l’anima de Gran Maestri, e de Cavalieri morti, e il giorno dinanzi, si cantino al vespro le vigilie de morti, e volemo, e commandiamo, che à detto uffitio siano presenti tutti i Cavalieri, e alla messa tenghino una candela di cera biancha in mano per uno. E qualunque manchera d’andare à detto uffitio si punisca colla pena della settena.

4.11. DEL ORDINE CHE SI DEVE SERVARE nel celebrare le messe. Capitolo XI.

Noi volemo, che nel celbrare le messe s’osservi quel modo che ordinera il Sacrista, o altro alla Chiesa nostra Presidente, ne possa il Sacerdote celebrare in detta Chiesa, se non con ordine di detto Sacrista, o suo soprastante.

4.12. DELLE PREDICHE. Capitolo XII.

Perche l’udire il verbo di Dio suole produrre negl’intelletti ben disposti grandissimo frutto, comandiamo che ciascheduna delle Domeniche dell’Advento, e per tutta la quaresima si predichi enlla Chiesa del nostro Convento, e il Predicatore sia cattolico, e non men buono che dotto.

4.13. DELLE LEZZIONI. Capitolo XIII.

Ordiniamo che tutti i venerdi, che parra al Vice Maestro si leggano alcune lettioni secondo che sarà ordinato dal Capitolo, o dal Priore del luogo.

4.14. DE PRECETTORI ET MAESTRI de cherici. Capitolo XIIII.

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Perche l’utilità e ornamento che arrecono le lettere alle virtù è innestimabile, pero vogliamo che nel Convento del nostro ordine si deputi uno, o piu huomini dotti i quali insegnino à Cherici piu giovani la lingua latina e buone lettere, e un altro che gl’ammaestri nel cantare, à quali si dia del Thesoro publico dicevole e conveniente salario, secondo la sufficienza degl’huomini, e la qualità de tempi.

4.15. DELLA PROMOZIONE DE Cherici à gl’ordini Sacri. Capitolo XV.

Non vogliamo che alcun’ Cavaliere di qualunche condizione procuri, che alcuno Cherico del ordine nostro sia promosso à gl’ordini sacri, se egli non lo presenta prima al Priore della Chiesa, e ottenga da lui lalicenza. E vietamo, che nessuno Cherico possa essere promosso al Soddiaconato, il quale non habbia diciassette anni forniti. Al Diaconato ventiuno, e al Sacerdotio, o vero Presbiterato venticinque, e nessuno Cherico, il quale non habbia fatto professione nel nostro ordine possa essere ricevuto al servigio della nostra Religione se egli non hara prima per lettere testimoniali, et autentiche dimostrato d’haver’ ricevuto canonicamente gl’ordini sacri.

4.16. DELL’ADORNARE E RIPARARE le Chiese. Capitolo XVI.

Noi ordiniamo, e deliberiamo, che tutti i Cavalieri dell’ordine nostro di qualunche cagione si siano i quali habbiano reggimento di Commende ò di Magioni della Religione siano tenuti è obligati à ristorare, è riparare, è in somma à mantenere in debito è honesto stato ciascuno quelle Chiese è Oratorij ò benefizij, che gli toccheranno à governare di mano in mano è fornigli di messali, è d’altri libri Ecclesiastichi, di paramenti, di calici, è di masseritie atte all’uso del culto Divino, secondo la qualità, è condizioni dell’Entrate di dette commende, è Magioni. Deono ancora eleggere al servigio del culto divino di dette Chiese è Oratorij Cavalieri Cappellani d’honesta vita è se non ne trovassino nel ordine, piglino allhora de Cappellani, o secolari, o Regolari secondo che gli potranno havere, purche siano persone honeste in fino à tanto, che ne truovino di quelli del’ordine. Et il Capitolo deve assegnare loro tempo competente à potere esseguire dette cose, le quali
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se essi non faranno s’intendino privati de frutti di dette Commende e Magioni fino à tanto che l’habbino diligentemente esseguite, riserbato pero loro tanto di dette entrate, che ne possano strettamente e à mala pena vivere e vestirsi. Et il Capitolo sia tenuto supplire alla negligentia, et mancamento loro à spese del negligente, et inobbediente.

4.17. DE BUONI HUOMINI della Chiesa. Capitolo XVII.

Ordiniamo che il Capitolo elegga ogn’anno dua Cavalieri pratichi, e di buona vita, l’uffizio de quali sia di rivedere insieme col Priore, o con chi il Priore deputerà in luogo suo, con somma cura, con sollecitudine, e diligenza, se nella Chiesa del Convento, o in alcuna Capella, o Oratorio si fanno quelle cose, le quali spettanti al culto divino fare si debbiano secondo i nostri statuti, e che risguardano così le cose spirituali come le temporali di detta Chiesa e Capella. E siano tenuti a correggere tutti i difetti è supplire tutto quello, che mancasse. Vogliamo ancora che siano tenuti à fare un inventario e di tutti gl’ornamenti e di tutti i beni così mobili, e se moventi, come immobili. Il quale inventario cosi fatto e registrato finito il termine del loro uffitio presenteranno al Capitolo perche si consegni à loro successori. E similmente se in alcuna altra cosa troveranno mancamento siano obblighati à farne relatione al Capitolo e il Capitolo à provedervi, secondo che occorrera il bisogno. Possono detti dua Cavalieri, se al Capitolo parra esser’ raffermati, e perche possiano meglio, e piu liberamente esseguire l’uffitio loro, vogliamo che siano liberi, e esenti d’ogni altra cura, che essi giustamente chiederanno, e al Vice Maestro parra, rimettendo cio nella coscienza loro.

4.18. CHE TUTTI I BENI DEPUTATI AL culto Divino che si ritroveranno nelle spoglie di Cavalieri morti s’appartenghino alla Chiesa del Convento. Capitolo XVIII.

Ordiniamo che tutti i beni diputati al colto divino, come sono Calici, vasi d’argento d’oro, o indorati, panni d’oro, d’argento, o di seta, o altre cose simiglianti che si ritroveranno nelle spoglie de Cavalieri nostri in qualunche luogho morti, pervengano alla Chiesa del nostro Convento, se gia vivente il Priore, o Rettore di dette Chiese non saranno stati ascritti e dedicati alle lor Chiese private, nel qual caso vogliamo che rimanghino in dette Chiese, e se ne faccia diligente inventario.

4.19. QUELLO SI DEBBE FARE DELLE SPOGLIE e augumenti che vengono alla Religione. Capitolo XIX.

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Perche il principale intendimento nostro è (come si disse di sopra) di voler armar’ legni contra gl’Infedeli, Ordiniamo, che ogni volta che uno è creato Commendatario i frutti d’un anno vadano al Tesoro della Religione, de quali si debbano comprare beni stabili l’entrata de quali serva a recupare Stiavi o armare nuovi legni o far nuove comende alla religione. Medesimamente tutti que frutti che si troveranno del’anno che morra il Commendatario vadino come di sopra. Et di piu di tutte le spoglie che venissino in modo alcuno alla Religione se ne facci il medesimo. Et brevemente noi vogliamo, che di tutti gli augumenti di tutte le ragioni si comperino beni stabili, del entrate de quali s’armino nuovi legni et si faccino a servitio della relligione li effetti detti di sopra.

4.20. I GIORNI NEI QUALI I CAVALIERI SON tenuti à portar’ l’habito e andare al Uffizio. Capitolo XX.

Tutti i Cavalieri, i quali si ritroveranno in Convento, e quelli che vi saranno per far’ professione siano ubligati à dovere andare à tutti l’hore divine, come i Preti, eccetto che al Mattutino in tutti i giorni festivi alle processioni dove i Cavalieri debbono portare l’habito, e cosi quando si vanno à communicare dovunque siano, et ogni volta che si ragunono in Capitolo e coloro che cio non faranno incorrino la pena della Quarantena.

5. Titolo quarto DEL HOSPITALITA.

5.1. DEL HOSPITALITA O VERO DEL Curare gl’infermi. Capitolo I.

Come la sanità e de i beni del corpo, o vero della natura il maggiore, senza alcun’ dubio e il migliore, cosi se le deve havere e maggiore, e miglior cura che à tutti gli altri, e piu presti, e efficaci remedi porgerle, conciosia che senza ella tutte l’altre cose, o non sono, o sono inutili, e se coloro, i quali si stanno quietamente in pace tra suoi nelle Città per le loro camere, hanno molte volte bisogno di Medici, e di medicine, che doveranno fare quegli, che travagliando in guerra tra gli strani nel mezzo del
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mare, o per gli altrui paesi co’ i loro nimici combattendo, come fanno i dilettissimi fratelli e valorosi soldati e Cavalieri nostri, volemo dunque, et espressamente commandiamo, che nel Capitolo della nostra Religione si elegga ogn’anno con solennissima cura e sollecitudine, un suffitiente e da bene Cavaliere, il quale si chiami il buono huomo della infermeria, il cui uffitio principale sia di visitare insieme col infermiere diligentemente e con carità almeno una volta il giorno tutti gli infermi, e tutto quello che trovassino, che loro mancasse prestamente et pienamente suppliscano, e sia tenuto l’infermiere, rendere ragione al meno ogni mese una volta à detto buono huomo di tutte le spese, le quali nella infermeria si fanno, le quali cose se non si faranno, quegli di lor’ due per cui sarà restato, che elle non si facciano s’intenda senza altra dichiaratione privato del suo uffitio, et il medesimo buono huomo sia tenuto rivedere ogni sera, e consideratamente esaminare le spese, che nella infermeria si fanno e col nome suo sotto scriverle, altramente cotali spese per li Procuratori del nostro comune Tesoro ammesse, e fatte buone non sieno.

5.2. COME IL BUONO HUOMO E LO SCRIVANO del Infermeria si deono portar. Capitolo II.

Per schifare que danni, ne quali agevolmente incorrere si potrebbe, statuimo, che il buono huomo della Infermeria, subito che sra stato eletto dal Capitolo giuri solennemente, che egli eserciterà in suo uffizio bene e fedelmente non havendo cosa piu ne à cura, ne à cuore, che il ristoro e la salute degli Infermi, e che notera ogni giorno distintamente tutte le spese, che si faranno di per di, cosi nella Bottega della spezieria, come nella Infermeria et il medesimo giuramento faccia lo scrivano dell’Infermeria come prima egli sara dallo spedalingo al Gran Maestro, o al Vice Maestro presentato, e accettato. Il quale similmente invirtu del suo giuramento non distribuirà, ne concederà cosa alcuna d’importanza a gli Infermi, senza l’ordine de Medici e saputa del Buono huomo, et esso Buon’ huomo fara ancora di tutte queste cose particolare, e diligente nota, e s’alcune spese si faranno fuora di questi Ordini, non vogliamo che sieno passate ne fatte buone.

5.3. CHE SI FACCIA UN INVENTARIO delle Masseritie della Infermeria. Capitolo III.

Per la presente deliberatione s’ordina e comanda, che il Buono huomo e lo spedalingo facciano ogn’anno una diligentissima ricercha di tutti i legati, donagioni et lasciti, e di tutte le cose che sono à uso dell’Infermeria, et oltra cio alla presentia dell’Infermiere, e del Priore, e d’altri testimoni faccino fedele e autentico inventario di tutte le masseritie e beni del Infermeria, cioè di
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tutti i vasi d’argento, d’oro, di stagno di bronzo, di tutti i letti, coperte, lenzuola, padiglioni, o vero sparvieri e di tutte le cose di qualunque ragione diputate al servigio della Cappella, del Palazzo, delle Camere, della Cucina, e di qualunque altra stanza, il quale inventario si debba suggellare, e bollare, e di piu debbano notare, e scrivere la stima, e la valuta di tutte dette cose, e à ciascuna fare alcun segno, o suggello, e poi dare ordine, che si mettano in salvo, e si facciano conservare in alcun’ luogo à proposito netto è sicuro, Comandando al Infermier’ sotto pena di dover’ esser’ privato del suoUffizio, se egli ardirà in alcun’ modo, o palesemente, o di nascosto per via retta o indiretta portare, o far portare da altri alcuna di dette cose ancora che minima fuori della infermeria, o mutarla, o in altri usi convertirla.

5.4. CHE LA BOTTEGA DELLO spetiale della infermeria sia visitata. Capitolo IIII.

Per la salute delli infermi, vogliamo si tenga delle cose medicinali dligente cura. Però ordiniamo e comandiamo che lo spedalingo e il Buono huomo, chiamati in loro compagnia i Medici, cosi Phisici, come Cerusici, vadano à vedere qualunque volta parra allo spedalingo, o al Buono huomo la spezieria, è i Medici in lor’ presentia ricerchino molto bene e considerino, se lo speziale è bastevolmente fornito di spezierie, e massimamente delle robe appartenenti alle medicine, e se elle sono buone, e vere e non falsificate per inganno, o fatte inutili dal tempo, essendo intignate, o in alcun’ modo guaste e corrotte, accioche per colpa dello speziale non si faccia danno a gli infermi, de quali volemo (come habbiamo detto) che si tenga diligentemente cura, et sieno provisti, et in tutti que modi che si puo si aiutino. E percio ordiniamo. Che alla cura loro si scelgano, e piglinsi Medici dotti e pratichi, cosi Fisici come Chirurghi, i quali in presenza del Priore, dello spedalingo del Buono huomo, dell’infermiere da quali hanno ad essere eletti, et d’altri quattro Cavalieri giurino santamente, che useranno ogni diligenza nel curare gli infermi, e gli medicheranno secondo gli ammaestramenti, le regole degli Autori di Medicina approvati, i quali Medici vogliamo che almeno due volte il giorno visitino tutti gli Ammalati, e ordinino tutte quelle cose senza alcuno indugio, o rispetto che alla salute loro bisogneranno, nelle quali visite interverranno l’infermiero, e lo scrivano, i quali metteranno in iscrittura fedelmente, e cosa per cosa tutto quello che per cura, e à benefitio degli infermi sara loro ordinato da Medici, i quali hanno havere il loro salario dal Tesoro, e non pigliare cosa nessuna dagli Ammalati. Ordiniamo ancora e comandiamo, che l’infermiere, e il Buono huomo facciano scrivere in carta buona tutti gli statuti che concernono l’hospitalità, e confitti in una tavola la faccino appiccare nell’infermeria in luogo che ciascuno la possa vedere e leggere e secondo che in quella si conterrà si governino gli infermi. Et affine che i beni e le masserizie, che hanno à servire agli Ammalati non vadano male. Vogliamo che lo spedalingo, tenga appresso di se un bollo, o vero marchio di ferro col quale si bollino, o marchino le coperte o paramenti gli ornamenti
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e l’altre masseritie e beni mobili, che bollare o marchiare si possono accio che non si scambino, o si portino altrove, o s’alienino e esso Marchio, o ver Bollo si tenga in un sacchetto di quoio, segnato col suggello dello spedalingo e del buono huomo, il quale Bollo e marchio guarderà l’infermiere l’altre masseritie delle quali non occorrerà servirsi cosi ogni di, si ripongono in alcun luogo serrato à chiave, sotto la custodia dell’infermiere, o del buono huomo.

5.5. CHE SI DEPUTI UN CAPPELLANO col Priore della Infermeria Capitolo V.

Comandiamo, che lo spedalingo deputi, et elegga un Cappellano della nostra Religione, che sia d’honesta e lodevole vita, e lo presenti al priore della Chiesa, dal quale deve essere confermato, il quale Cappellano dica ogni settimana due messe e il Priore tre, accio gli infermi volendo le possino udire, nelle quali messe si preghi particolarmente Dio per la salute de corpi, e salvezza dell’anime degli infermi. I medesimi sieno tenuti, dovendosi dar’ loro honesto e competente salario attentamente, e divotamente confessargli, e communicargli à tempi debiti e morendo sotterrargli, e far fare tutte quelle cose le quali sono, à utile della salute del’anima, o necessarie à servigi de corpi.

5.6. CHE L’INFERMIERE VISITI OGNI notte gli Ammalati. Capitolo VI.

L’Uffizio dell’infermiere e lo star desto, e haver diligente cura del’Ammalati, affine che per negligenza sua non avvenga loro alcuno sinistro, e però commandiamo che lo infermiere, accompagnato da un fedele servente visiti con caritevole discretione ogni notte nell’hora della compieta, e dell’aurora gl’infermi confortandogli, e inanimandogli, con dolci, e amorevoli parole, promettendo loro che non saranno abbandonati, anzi haranno tutti gli aiuti, e tutti gli agli possibili, e il buono huomo il giorno seguente vada ricercando se l’infermiere habbia fatto l’uffitio suo nel visitare e confortare gl’Ammalati, e non l’havendo fatto lo riprenda e constringa à farlo, e non lo facendo provegga d’uno altro in suo luogo, e perche quanto il nutrimento è piu puro e migliore tanto piu diletta al gusto e conferisce allo stomaco, e conseguentemente piu ricria, e meglio ringagliardisce il corpo. Percio commettiamo all’infermiere che provegga agl’infermi buon pane, buon vino, polli, e galline delle migliore, che trovare si possano e così di tutti gl’altri cibi, nella qual’ cosa lo spedalingo, e il buon huomo usino diligentissima cura per sovenire in tutti quei modi che si puo agli infermi.

5.7. CHE GLI AMMALATI SI DEBBANO portare modestamente nell’infermeria. Capitolo VII.

Non vogliamo, che agl’Ammalati si conceda cosa alcuna ancora che importunamente la chiedessero, se non quelle, che saranno loro ordinate da Medici, e per conseguenza giovevoli, e quelli che di frescho saranno usciti del male, o staranno per ammalarsi, non possino far cose, che perturbino, e molestino gli Ammalati, le quali cose fara secondo la discretione sua osservare l’infermiere, altramente sara privato del uffitio.

5.8. HABILITA DE CAVALIERI. Capitolo VIII.

Nel principio dela loro infermità possono stare i Cavalieri se vogliono tre giorni nelle loro camere, e si debbon’ ministrar’ loro tutte le cose necessarie non altramente che se fussino nell’infermeria, ma passato detto termine sono obbligati andare nell’infermeria, o vivere dell’ loro.

5.9. CHE I CAVALIERI IN ENTRANDO NEL Infermeria, si debbano confessare, e comunicare. Capitolo IX.

Conciosia cosa, che i sani non che gl’infermi possono morire à ciascuna hora, vogliamo che tutti i nostri Cavalieri, i quali malati vogliono entrare per dovere essere medicati nell’infermeria, siano obligati à confessarsi e comunicarsi nello spatio di ventiquatro hore, le quali cose non facendo passato detto termine siano cacciati della infermeria, ne si dia loro cosa nessuna, vogliamo bene, che lo infermiere per quelli che si confesseranno, e comunicheranno, debba tenere al ministerio dell’infermeria per servigio degl’Ammalati servigiali diligenti, e di buona fama tanti quanti bisognano.

5.10. DEL TESTAMENTO CHE DEBBANO fare gl’Ammalati secolari nelle infermeria. Capitolo X.

Qualunche volta occorrera, che nella nostra infermeria fussero condotti ammalati secolari, volemo ch’ siano tenuti la prima cosa à confessarsi, e comunicarsi di poi che lo infermiere, il Priore, e il Buono huomo gl’ammoniscano,
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e gli confortino à far’ testamento, il qual’ testamento, si scriva e noti, o dal Priore, o dallo scrivano della infermeria presente il Priore o alcuno altro Prete in luogo suo, con due, o tre testimoni, ne sia sottoposto alle leggi, o pene civili o canoniche, e tal’ testamento si transcriva per memoria in un libro fatto à posta, affine che chiunche haverà ragione ne beni del morto, mediante la giustitia la consegua, et se tali Ammalati secolari non volessino, o non potessino far’ testamento, in tal’ caso l’Infermierre e il Buono huomo comandino, che de lor’ beni dal Priore, o dallo scrivano si faccia in presenza di testimoni un inventario, accio che se gl’infermi guarissino si rendino loro, e se morissino, sappiano coloro a cui appartiene, quanti e quali siano i beni del Defunto. I beni inventariati si debbono racchiudere in alcun’ luogo sicuro, sotto le chiavi dell’infermiere e di quelle del Buono huomo, e al Buono huomo si appartenga di fedelmente fare eseguire i testamenti fatti da secolari morti nella infermeria.

5.11. IN CHE MODO I CAVALIERI morti si debbono seppellire. Capitolo XI.

Pare ragionevole, e laudabile cosa, che i Cavalieri nostri con quel’habito, col quale entrono nella Religione, e del quale mentre che vissero furono vestiti, col medesimo siano nelle loro essequie honoratamente sepolti, e sotterrati. Il perche deliberiamo, che tutti i Cavalieri della nostra Religione morti che saranno, siano sepelliti con una vesta di ciambellotto biancho, la quale nella parte sinistra habbia una Croce Rossa, e si faccia loro quel’ honore, che il grado della Religione, e i loro meriti richieggono.

5.12. CHE I CORPI DEI SECOLARI morti nell’infermeria nostra siano honorevolmente seppelliti. Capitolo XII.

I Corpi di tutte quelle persone secolari le quali morranno nella infermeria nostra, vogliamo che siano portati alla sepultura honorevolmente, andando inanzi i Capellani, i quali preghino per la salute dell’anima del morto, e volemo, che si facciano quattro veste di color’ nero à uso di gramaglie, delle quali si vestano coloro, che porteranno il morto, le quali veste volemo che si conservino per detto uso, e tutte queste cose fara osservare l’infermiere. Non volemo gia che nel honoranze de nostri Cavalieri, i quali si debbano, nel modo che s’è detto con gran pompa sotterrare, vada alcuno, o Cavaliere o secolare vestito di bruno, o veramente colla gramaglia.

5.13. IN CHE MODO SI DEBBANO APRIRE LI Forzieri de Morti nell’infermeria. Capitolo XIII.

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Affine che i beni de Morti non si perdano per negligenza Comandiamo severissimamente, che non sia lecito ad alcuno aprire le casse de Defunti nella infermeria, o riconoscere i lor’ beni, se non in presenza dello spedalingo, del Buono huomo, e dell’infermerie, e aggiugnamo che le masseritie, che si troveranno in dette casse, che possono servire al uso degl’infermi, non si debbiano deputare ad alcuno altro servizio, se non alla commodità loro.

5.14. DELLA IMMUNITA, e vero franchigia. Capitolo XIIII.

Considerando Noi, che il dare ricetto è sicurtà à coloro i quali hanno eccessi e malefizi commesso, non è altro che incitare, e quasi invitare gl’huomini ad esser tristi, o almeno voler’ difendere le tristitie de gli huomini ribaldi, non solo non permettiamo, che alcuna Chiesa, o Convento, o Magione, o qual si voglia altro luogo pubblico, o privato della nostra Religione possa essere Franchigia ad alcuno, delinquente e renderlo sicuro, salvo che per cagione di semplice debito. Ma vietiamo spressamente, che nessuno Malfattore vi debba essere in modo alcuno da persona veruna sotto qualunque colore, o protesto ricevuto, sotto pena à chi contrafacesse d’una Quarantena, e di dovere stare tre anni carcerato in prigione, il qual tempo non gli si possa se non per gratia speciale del Gran Maestro abbreviare.

6. Titolo quinto DEL TESORO COMUNE.

6.1. DELLE RAGIONI ET CARICHI del Tesoro della Religione. Capitolo I.

La mente nostra è che i nostri Cavalieri godano interamente tutti i frutti, e entrate della loro Commenda, senza diminutione alcuna e percio non intendiamo, che siano obligati à pagar’ mai cosa nessuna ne al Gran Maestro, ne al Tesoro comune. Etiandio di subventione eccettuato solamente quando la
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Religione venisse in extrema necessità per cagione urgente, nel qual caso non ci piace, che il Granmaestro habbia autorità nessuna, anzi proibimo, che egli o possa, o debba impacciarsene, ma vogliamo, che solo il Capitolo generale possa e debba mettere quella tassa che gli paresse necessaria, con questo che non debba, ne possa passare il quarto de frutti per una volta tanto. Ongi volta dunque, che l’ordine havesse per qualunque cagione necessità d’essere straordinariamente sovvenuto, il che dimostreranno i bisogni medesimi. Vogliamo, che in tal caso vi debbiano intervenire la metà de Cavalieri, i quali sieno Commendatarij, e l’altra metà di quegli che non habbiano Commende, e siano de piu Anziani, e antichi della Religione, e quella deliberazione spetti al numero maggiore, che vi potera intervenire, passando il partito da farsi per gli due terzi, della qual cosa avverranno due beni, l’uno che i Commendatarij non saranno gravati se non quando il bisogno lo richiedera, l’altro che quando il bisogno lo richiedera non poteranno impedire, che non si vinca e non si deliberi il sovvenimento necessario.

6.2. CHE LI DEBITORI DEL TESORO SIEN tenuti pagare interamente quello che devono. Capitolo II.

Tutto quello del quale per qualunche cagione fussino i Cavalieri debitori al Tesoro si debba pagare non solo interamente, ma senza alcuno indugio, o scusa, ne possa alcuno allegare exemptione, o privilegio o sterilità, o guerra, o impositioni di Principi tanto secolari, quanto ecclesiastici, o alcuno caso fortuito, come incendij latrocinij, e rovine, percio che tutti questi detrimenti non devono in modo alcuno diminuire o retardare le ragioni del Tesoro, il quale deve non obstanti i sopradetti casi risquotere, e ricevere i suoi crediti interi, puri, e liquidi, E percio tutti i beni de Cavalieri, e delle loro Commende sieno obligati al Tesoro.

6.3. DELLE RAGIONI DEL MORTUARIO E DELLA vacante da doversi pagare al Tesoro. Capitolo III

Qualunche volta alcuno Commendatore, o altro Amministratore de beni della Religione si morra, il Tesoro Comune deve ricevere le ragioni del Mortuario, e quelle delle vacante, le ragioni del mortuario sono i frutti d’uno anno delle entrate de beni della Religione che possedeva il morto, quelle della vacante sono i frutti d’uno anno d’essi beni i quali s’hanno ad havere da colui a chi detti beni saranno stati conceduti, e questo s’intende oltra le ragioni delle spoglie, le quali si aspettano per gli statuti dell’ordine nostro al Tesoro.

6.4. OBLIGATIONE DE LUOGHI. Capitolo IIII.

Qualunche volta occorresse mettere alcune impositioni nelli casi che di sopra si dice sopra alcun luogo, ogni parte, e ciascuno membro d’esso luogo sono obbligati à pagare della impositione.

6.5. PROHIBIZIONE DELLO smembrare le Commende. Capitolo V.

Non vogliamo, che le Commende si possano dividere e smembrare eccetto quelle che fussino dotate et fondate di patronato di Comunità, università, o di Particolari, delle quali sole d’una si puonno fare due o piu Commende à beneplacito de padroni, purche ciascuna d’esse habbia d’entrata almeno scudi cinquanta l’anno. Et le Commende divise e multiplicate sieno obligate à pagamenti al Tesoro come l’altre.

6.6. PROHIBITIONE CHE NON SI possa havere piu d’una Commenda di quelle della Religione. Capitolo VI.

Non vogliamo che alcun Commendatore possa havere salvo che una Commenda, eccetto che havendone una per patronato ne possa havere un’altra per Anzianita della Religione.

6.7. DEL ENTRATURA E RECOGNITIONE da doversi fare da Cavalieri. Capitolo VII.

Chiunche vorrà l’habito et esser ad messo nel ordine nostro sia tenuto à pagare, se vuole essere Cavaliere Milite cento scudi d’oro larghi, se Cavaliere Servente cinquanta, se Cavaliere Sacerdote non volemo che paghi cosa alcuna, e se alcuno non paghera, detta entratura non goda l’Anzianita, e di tutti i denari di dette entrature si debbiano comperare subbitamente beni stabili, o cose ferme per farsene come di sopra si è detto per la nostra Religione.

6.8. CHE LE BOLLE DELL’ANZIANITA non siano in pregiudizio del Tesoro. Capitolo VIII.

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Noi non intendiamo, che l’Anzianità, o vero aspettative delle Commende, le quali si danno per giusta cagione pregiudichino alle ragioni del Tesoro, delle spoglie de Mortuarij, delle vacanti, e del altre ragioni sue qualunche siano, o essere potessino.

6.9. DI CHE TENPO SI DEBBONO pagare i debiti al Tesoro, e della pena di chi non gli paga. Capitolo IX.

Tutti i Cavalieri del nostro ordine debbono pagare l’impositioni, i mortuarij, le vacanti, e tutti gl’altri debiti, i quali havessono, così ordinarij, come straordinarij per la festa dell’Assumptione di Nostra Donna, il che se faranno le Commende, e tutti gl’altri beni per cagione de quali saranno debitori, s’intendano essere incorporati al Tesoro, e tanto tempo si ritengano, o s’affittino da chi sarà ordinato, che de i loro frutti, e entrate sia sodisfatto interamente cosi al debito principale come alle spese percio fatte- Et se i possessori delle Commende, e d’altri beni, o alcun altro in lor’ nome, e per loro cagione facessero resistenza à deputati, ne gli lasciassono ricevere i frutti, o affitare detti beni, allhora senza altra monitione, citatione, processo, sentenza, o altra dichiaratione, s’intendino privati di tutti quei beni, et coloro che gli havessero à fitto in qualunche modo non possano rispondere de frutti à Commendatori privati, ma à Procuratori del Tesoro, altramente habbiano à pagare il tutto di nuovo.

6.10. DE DEBITORI DEL TESORO. Capitolo X.

Ordiniamo, che nessun’ Cavaliere del ordine nostro di qualunche conditione si sia, il quale sara debitore del Tesoro Comune, possa in verun’ modo conseguire ne degnità, ne Commenda ne uffizio, ne benefitio alcuno della nostra Religione infino à tanto che non hara pagato interamente tutti i suoi debiti al Tesoro.

6.11. A CHI SI DEBBANO COMMETTERE le Commende tolte à coloro che non pagano. Capitolo XI.


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Le Commende de Cavalieri, i quali non pagono i suoi debiti al Tesoro, si debbono dare à quei Cavalieri, che vorrano pagare al Tesoro comune i debiti de Cavalieri privati, e prima à quegli che non hanno ancora havuto commende, secondo il grado del Anzianità, se vorranno accettare detta Commenda in luogo di quella che aspettono, e pagare tutto quello di che colui, che n’è privato è debitore al Tesoro, e se non si trovasse alcuno Cavaliere che cio fare volesse in tal caso dette commende si possino concedere di grazia indifferentemente così a Cavalieri Comendatori, come Cavalieri Conventuali servato l’ordine della Anzianita, e salve le ragioni del Tesoro, et se per avventura non si ritrovasse alcuno che volesse pagare i debiti del Cavaliere privato, si rimandano nelle mani del Tesoro infino à tanto, che sia sodisfatto interamente.

6.12. CHE I BENI DE CAVALIERI CHE muoiono s’appartengono al Tesoro. Capitolo XII.

Tutti i beni così mobili come se moventi, e ragioni di tutti i nostri Cavalieri di qualunque conditione, e qualità i quali morrano tanto nel Convento quanto fuori, i quali beni si chiamano spoglie s’appartenghino di piena ragione al Tesoro Comune, della quali spoglie, si debbono comperare ben’ sodi per farne quelche di sopra apparisce dichiarato. Vogliamo però, che i vasi d’Argento, o d’oro per servigio del Convento se vene fusse, si mettano per uso del Convento de quali non si possa disporre in altro che in farne danari per comperare i beni ogni volta che così paresse al Capitolo generale, et di piu, che tutti gl’ornamenti Ecclesiastici o d’oro, o d’argento, o indorati o di seta, e ciascuna masserizia, che s’appartiene al ministerio della Chiesa, e cosi i breviarij e salterij si lascino per ornamento del culto divino. Vogliamo ancora, che le masserizie necessarie per l’uso delle case delle Commende, delle quali masseritie si serviva il Commendatore mentre viveva si lascino, eccetto che li letti, e paramenti da camera che verranno al Tesoro si debbano vendeer come di sopra è detto, i carri, le treggie, e tutti gli strumenti che servono à lavorare la terra si lascino il bestiamo, o grosso, o minuto, e tutti li altri animali che si troveranno in dette spoglie, eccettuati li bovi aratorij, e bestie da giogo in quella quantità che saranno necessarij alla coltura de beni della commenda, li quali si relasicno à essa commenda et tutte le altre bestie e animali sidividino per la metà come si e detto. I cavalli, e i muli de Cavalieri, che muoiono fuora del Convento, e gli altri animali che si sogliono cavalcare, s’appartengono con tutti i loro ornamenti, e fornimenti al Tesoro per augumento della Religione.

6.13. DELL’ARME CHE SI RITRUOVONO nelle spoglie de Cavalieri. Capitolo XIII.


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Tutte l’Armi di tutte le sorti cosi da difendere, come da offendere, le quali si troveranno nelle spoglie de Cavalieri morti nel Convento, e di qua dal Mare s’appartengono al Tesoro, e si debbano mettere in alcuno luogo dove si serbino sotto fedele custodia per munitione del nostro Convento, e per servirsene dove e quando bisognera alla Religione delle quali Armi s’eccettuano solamente le spade e i pugnali.

6.14. DEL TESORIERE GENERALE e del Riscotitore. Capitolo XIIII.

Affine, che i crediti del Tesoro comune si possano piu commodamente risquotere e in quelle cose che occorreranno distribuire, vogliamo che dal Capitolo generale e dal Consiglio si deputi un’ Tesoriere generale per tre anni, e si possa raffermare dal Capitolo. Il quale gli risquota gli riceva e serbi e ne disponga, secondo che dal Consiglio ordinato gli sarà. Vogliamo che eleghino ancora uno riscotitore il quale tenga le scritture, i quali Tesoriere, e Riscotitore siano tenuti à giurare se saranno presenti nelle Mani del’ Gran Maestro, se assenti nelle mani del Priore del convento dove saranno di dovere eseguire l’uffitio loro fedelmente e con diligenza, e di piu dare sicurtà per quella somma che al Gran Maestro, e al Consiglio parra ragionevole. Il Risquotitore sia tenuto risquotere da tutti i debitori tutti i crediti del Tesoro, come sono impositioni, entrature, debiti vecchi, cioe residui e tutti e le spoglie, i Mortuarij, le vacanti, e tutti gl’altri debiti di tutte le sorti, spettanti in qual si voglia modo al Tesoro.

6.15. COME S’HANNO A PORTARE I Riscotitori nel raccorre le spoglie. Capitolo XV.

Qualunche volta il riscotitore, o il Procuratore del Tesoro, o alcuno altro accio deputato andera à ricogliere, o ricevere alcuna sorte di spoglie non vogliamo, che egli vada solo, ma pigli in sua compagnia,e meni con esso seco, uno o due Cavalieri huomini da bene, o veramente sacerdoti de luoghi piu vicini al morto, o alcuna persona secolare di buona vita, e non si trovando alcuno di costoro, tolga un’ notaio, nella presenza del quale egli visiti, e faccia notare in un’inventario autentico, alla presenza di testimoni tutti i beni e tutte le masseritie così della Città come delle ville, che egli troverà, il che fatto lasci lo stato della Commenda in quella conditione e qualità nel quale egli lo trovo, e sia tenuto lasciare la meta della masseritie che sopravanzano per metà alla Commenda in augumento di quella, e per l’altra metà al Tesoro, per farne quello che di sopra di è detto, e sia tenuto di tutte quelle cose che egli fara, dar’ne nota per iscrittura autentica al Convento, o al Tesoriere
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generale. Se alcuno de Riscotitori contrafara à quanto havemo detto e il danno passi scudi cento d’oro, incorra la pena della privatione del habito. E oltra cio deono esso risquotitore, o proccuratore, o Commessario sopra detti fare due inventarij separati, uno dello stato della Commenda, e l’altro de beni delle spoglie pertinenti al Tesoro, e facciano in presenza di testimoni notare tutti i crediti del morto e ne mandino la copia al nostro Convento, dove dallo scrivano del Tesoro saranno in alcuno libro percio fatto registrati.

6.16. CHE TUTTI I MINISTRI DEBBANO render conto ogn’anno una volta. Capitolo XVI.

Vogliamo che non solo i Riscotitori ma tutti i Ministri della Religione sieno tenuti à render conto ogn’anno delle loro amministrationi, e a questo effetto si deputi una persona sufficiente, chiamata il Reveditore de Conti, i quali conti s’hanno bene à rivedere, e notare dal Tesoriere Generale, ma nessuno puo spedirgli e quietargli se non il Consiglio, e deve essere approvato dal Gran Maestro e si debbono registrare appresso il Tesoro.

6.17. DELLA CEDOLA CHE DEBBONO mandare i Riscotitori di chi ha pagato e di chi e rimaso debitore. Capitolo XVII.

I Riscotitori siano tenuti tosto che sara fornito il Capitolo di mandare al Consiglio insieme co loro conti del anno precedente una breve cedola, nella quale si contengano i nomi di coloro, che in quel Capitolo haranno pagato e di coloro che saranno rimasi debitori e di che somma, e di piu tutte le somme distintamente de danari, che essi per qualunche cagione, o debito haranno ricevuto, le quali cose, e quelle del Capitolo precedente, chi non adempiera sia privato de frutti d’un’anno della commenda, e se sara Cavaliere Conventuale perda un’anno l’Anzianita in favore de Novizii, cioè di coloro, che hanno fatto professione dopo loro. Ne vogliamo che i Riscotitori presummano in alcun’ modo pigliare cosa alcuna d’alcune spoglie. Et coloro che facessino il contrario s’intendano esso fatto privati dell’uffizio, e debbano pagare il doppio piu di quello, che hanno preso, Et quello che s’è detto delle spoglie, si deve ancora intendere delle cose appartenenti allo stato delle Commende e uso delle Magioni: o attenente à figliuoli, et heredi de Cavalieri morti.

6.18. CHE I RISCOTITORI RIMETTANO subito i danari riscossi al Tesoro. Capitolo XVIII.


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Tutti i Riscotitori siano tenuti à rimettere incontanente per vie sicure al Tesoro tutto quello, che haranno riscosso, altramente incorrino la privazione del habito, i quali riscotitori debbano risquotere da coloro, che in qualunche modo posseggono ancora che ne fussino in piato, ma non per questo si pregiudichi alle ragioni d’alcuna delle parti, et se i Cavalieri, che tengono tali Commende ricusassino di pagare incorrano esso fatto nella pena della privazione e perdano le loro ragioni, e contra loro si proceda, come contra inobedienti e Ribelli.

6.19. CHE I RISCOTITORI PIGLINO LA possessione delle comende senza licenza d’alcuno. Capitolo XIX.

Noi ordiniamo che i Riscotitori e Procuratori dell’Tesoro possano, e debbaiano di lor’ propria auctorita e senza licenza d’alcuno Giudice, o Corte pigliare in nome della Religione nostra, la corporale possessione delle Commende, e ti dutti gl’altri beni della Religione tosto che i Commendatarij di esse, e gl’amministratori di detti beni saranno morti, o haranno vivi rifiutato l’amministratione e similmente raccorre i frutti, le spoglie, i mortuarij, le vacanti, risquotere i debiti, ritenere detti beni per se, o per altri in fino che il Tesoro sia sodisfatto del tutto, et se alcuno de Cavalieri per qual si voglia occasione impedisse in modo alcuno i detti Riscotitori nel pigliare detti frutti e spoglie, o in conseguire dette possessioni, siano privati di tutti gl’uffitij e benefitij del nostro ordine, e se saranno Cavalieri conventuali perdano l’antianità, se se detti Riscotitori saranno negligenti nel risquotere i debiti, e pigliare dette commende per lo nostro Comun’ Tesoro, secondo la forma delli statuti in tal caso siano tenuti essi à pagare pel debitore di suo proprio, e il medesimo vogliamo, che s’intenda di tutti i debiti del Tesoro, se essi venuto che sara il di del pagamento non procacceranno di risquotere. Et vogliamo che à libri de nostri Riscotitori, e alle cedole sottoscritte di loro mano si presti senza altra prova in quanto appartiene à debitori del Tesro intero intera, e indubitata fede.

6.20. DE PROCURATORI DEL TESORO nel Convento. Capitolo XX.

Circa la conservatione delle ragioni e beni del Tesoro, non si puo havere tanta diligente cura che basti, e però desiderando noi, che i beni publici siano bene e fedelmente amministrati. Ordiniamo che oltra il Tesoriere generale si deputi il Commendatore maggiore, o il suo Luogotenente e ancora il Conservatore generale i quali tre mediante il loro giuramento si sforzino con ogni ingegno e s’ingegnino con tutte le forze di
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conservare tutti i beni publichi del Tesoro comune, facendo fare casse ferme e sicure, con forti e gagliardi serrature, le chiavi delle quali casse ciascuno di lor’ tre ne tenga una, similmente procurino, che tutte le altre cose e beni di detto Tesoro, si riponghino in Magazzini, o in volte e luoghi atti à conservarle e le serrino sotto le lor chiavi. Delle quali cose nessuna dare, e destribuire se ne possa, se il Conservadore, e lo scrivano del Tesoro non l’hara prima diligentemente notata su libri, et li predetti Procuratori sien’ tenuti come tutti li altri Ministri ogn’anno à render’ ragione della loro administratione al Consiglio.

6.21. DELLA CONSERVATIONE del Tesoro. Capitolo XXI.

Per la Conservatione del Tesoro della Religione vogliamo per il Capitolo generale si elecchino, et deputinsi ogni tre anni dua Cavalieri l’uno de quali sia il Tesoriere generale, et à questo appartenga la cura, amministratione, et conservatione di tutta la Pecunia, e al’altro la cura, e conservatione di tutte le robbe, vettovaglie beni e cose mobili di qual si voglia sorte in qualunche modo attenenti al comune Tesoro, e questo sia il Conservatore generale, et amenduoi sien’ tenuti continuamente haver’ cura, et tener conto diligentemente ciascuno della sua administratione, et disporne secondo li ordini, e constitutioni della Religione, et che dal Capitolo generale, o dal Consiglio gli sara ordinato, e l’uno, e l’altro debba tenere i suo conti, e libri appartati per esserli rivisti et saldati ogn’anno dal Consiglio come di sopra s’e detto.

6.22. DEL COMENDATORE MAGGIORE, E del Priore del Convento. Capitolo XXII.

Ordiniamo che ogni tre anni s’elegga, o confermi dal Capitolo generale uno che habbia cura del Convento, il quale si chiami il Priore del Convento l’uffitio del quale sia procurare le bisogne del Convento, qualunche volta il Commendatore maggiore per qualunche cagione fusse lontano, percioche quando egli è presente e risiede nel Convento la cura è tutta sua, e il Priore deve ubbidirlo, e aiutarlo in tutto quello che sa, e puo.

6.23. DE CINQUE RIVEDITORI del Tesoro. Capitolo XXIII.


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Noi vogliamo che il Priore del Convento insieme con due Cavalieri Conventuali, e due Cappellani da doversi eleggere dal Consiglio habbiano auctorita e facultà di rivedere tutti i conti, e intendere tutte le faccende Tesoro come elle vanno, e come sono governate, e percio fare deputeranno un’ di d’ogni settimana, e se troveranno cosa alcuna, che dovesse riformarsi ne dieno notitia al Consiglio, e egli posposte l’altre faccende sia tenuto à provedervi, e non vi provedendo sia fatto noto al Gran Maestro il quale vi provegga. Questi cinque Riveditori del Tesoro i quali deono essere huomini buoni e suffizienti si facciano giurare solennemente dinanzi al Consiglio che procureranno fedelmente l’utilità del Tesoro, e sopra la loro conscienza lo conserveranno quanto loro possibile sia da ogni danno. Interverranno ancora à pagamenti, che si faranno dal Tesoro, l’uffitio loro duri tre anni, e non si mutino tutti à un tratto ma ne resti sempre almeno dua di lro in uffitio.

6.24. CHE I DEBITI DE CAVALIERI MORTI si paghino à creditori. Capitolo XXIIII.

Noi vogliamo, che i debiti de Cavalieri morti, che appariranno legitimamente e autenticamente si paghino à creditori, de beni patrimoniali d’esso defunto, e se non havesse beni patrimoniali di quegli delle spoglie, et beni mobili delle Commende, affine che i Cavalieri non s’avvezzino a far’ debito sotto spetie, e speranza che la Religione gli paghi del suo, et essi conservino il lor’ proprio.

6.25. CHE LE SPOGLIE SI debbino far stimare. Capitolo XXV.

Che tutti i beni mobili e se moventi e ragioni, e ciascuna cosa, che si troverranno nelle spoglie de Cavalieri, che morranno nel Convento si debbano fare stimare da cinque Riveditori, del Tesoro, la quale stima si debba fare secondo il vero prezzo chiamati huomini, che se n’intendano, e giurino di stimarli giustamente, e tutti detti beni e spoglie vadano alla Religione per comperare beni sdoi, e farne entrata per armare nuovi legni, o recuperare prigioni, o creare nuove Commende come di sopra s’e detto, ogni volta però che detti Cavalieri fussino morti senza figliuoli maschi legittimi, o nipoti cioe figliuoli di figliuoli, ma morendo con figliuoli, o nepoti come di sopra, vogliamo che li mobili, e spoglie solamente delle Commende, ebeni che possedevano della Religione s’aspettino al Tesoro.

6.26. CHE I CAVALIERI MALATI manifestino i loro beni. Capitolo XXVI.

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Noi volemo che i nostri Cavalieri in virtù della santa obbedienza quando saranno malati sieno tenuti di far’ chiamare à se due Cavalieri de luoghi piu vicini, uno de quali sia Capellano, se si potera trovare e un’altro d’honesta qualità, à quali duoi l’infermo manifesti tutte le masseritie, tutti i danari, e tutte le cose che gl’ha, le quali si mettano in iscrittura, la quale nella loro presenza si suggelli col suggello del Cavaliere malato e degl’altri due, e cotale scrittura cosi suggellata si debba presentare à chi ha l’amministratione, o vero procurazione del Tesoro, ne sia lecito, sotto pena dell’inobbedienza à Cavalieri che saranno presenti à detta scrittura rivelare, mentre che esso Cavaliere infermo vivera vosa alcuna di quelle che vi sono dentro scritte e se contrafaranno sieno privati dell’amministratione delle Commende per dieci anni, e chi non harà Commenda, sia querelato, e si debba giudicar mediante la giustitia della Religione, e se alcuno Cavaliere di qualunche condizione mettesse le mani ne beni di dette spoglie, o ne togliesse alcuna cosa, se ne faccia querela e sia privato del consorzio, e Compagnia de Cavalieri del nostro ordine. Et se alcuno Cavaliere infermo dispregiasse di compire la cose che noi diciamo guarito che sara se ne faccia querela, e come inobediente sia mediante la giustitia giudicato, et il Capitolo soprascritto habbia luogo solo ne Cavalieri li quali non haranno figliuoli legittimi, o nipoti come di sopra.

6.27. CHE LE RAGIONI DEL TESORO non si spendino in liti. Capitolo XXVII.

Che nessuno de nostri Cavalieri, de beni e ragioni del Tesoro, delle spoglie, de Mortuarij, e delle vacanti attenda à piatire e mantenere le liti, o convertirgli in altri usi, ma vogliamo che se ne faccia ragione sommariamente, secondo i Capitoli della Religione, e che dette ragioni, spoglie, mortuarij, e vacanti pervengano al Tesoro. Chiunche contra farà, e mettera mano à detti beni, e ragioni, e n’arrecherà danno, vogliamo che egli se l’danno passera scudi cento d’oro perda l’habito, se no, sia punito in una Quarantena.

6.28. DEL SALARIO degl’Ambasciadori. Capitolo XXVIII.


[p. 37]
Ogni volta che occorrera mandare Ambasciadori per conto della Religione, vogliamo che à ciascuno si dia non ostante, che i Cavalieri siano tenuti à servire la Religione uno scudo il giorno, eccetto che quando occorresse negoziare appresso il Principe, che sara Gran Maestro, percioche in tal caso volemo, che s’elegga uno de Commendatori, o Cavalieri. Che negozii per la Religione di quegli, che riseggono alla Corte, al quale per gratitudine si doni una pezza di velluto, ma quando il Gran Maestro uscira degli stati suoi in tal caso bisognando s’adoperi per gli negotij della Religione alcun’ Cavaliere con uno scudo il giorno.

6.29. DEL SOLDO DA PAGARSI à Cavalieri. Capitolo XXIX.

Tutti quei Cavalieri che per qualunche cagione haranno à tirar soldo dalla Religione affine che possano farne le bisogne loro siano pagati mese per mese.

6.30. CHE NESSUNO PIGLI COSA alcuna delle spoglie. Capitolo XXX.

Che nessuno Cavaliere possa pigliare cosa nessuna delle spoglie de Cavalieri defunti, anzi come s’è detto vadano tutte alla Religione, e si vendato all’incanto per augumento del Tesoro.

6.31. CHE NESSUNO POSSA RIMETTERE i debiti del Tesoro. Capitolo XXXI.

Perche le cose comuni, non deono convertirsi in usi privati, non volemo che nessuno, ne etiandio il Gran Maestro, o il Capitolo, possa rimettere i debiti che si debbono al Tesoro, o in alcun’ modo donargli e chi facesse il contrario s’intenda haverlo fatto di suo, e il Tesoro habbia il regresso contro à lui e contutto cio il debitore come vero debitore non sia assoluto in fino à tanto, che il Tesoro hara havuto o dal donatore, o dal debitore il pien’ suo.

6.32. DELLE LETTERE DI CAMBIO. Capitolo XXXII.

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Non vogliamo che il vice Canceliere, sotto pean di rimaner’ privato del uffitio faccia alcuna lettera di cambio per alcuno Cavaliere, o per alcuna persona secolare se il Consiglio non l’hara prima deliberate, e fatte che saranno, si debbano piombare colla bolla comune e registrare in Cancelleria, e inanzi che elle si consegnino alla parte si debbono sugellare à uso di Bolla per il Conservatore, e per lo scrivano del Tesoro, e se à dette lettere mancasse alcuna di queste solennità sia come se non fusseno scritte, e non habbiano valore nessuno.

6.33. DEL OBLIGO DE CAVALIERI. Capitolo XXXIII.

Havendo la nostra Religione per principal segno e berzaglio il combattere contro gl’infedeli, ragionevole cosa è che tutti i Cavalieri sieno ubbligati andare in persona quando si faccia impresa per terra da Christiani contro gl’infedeli, e non v’andando in persona habbia à pagare à ragione di scudi sei il mese al Tesoro de quali danari la Religione habbia à mandare altri in suo luogo, sotto il governo e estendardo del Connestabile. I Commendatarij similmente sien’ tenuti andarvi in persona, armati à guisa d’huomini d’Arme, e non vi andando devino pagar’ scudi diciotto il mese al Tesoro per servirsene nello stipendio di dua huomini d’Arme sotto lo stendardo del Connestabile come di sopra. Et il simile si debba fare qualunche volta gli stati del Gran Maestro fussino assaltati, o molestati, ma non gia se egli stesso movesse guerra ad altri. Et facendosi l’impresa generale per Mare contro li Infedeli sien’ tenuti parimente servire, et andare in persona sulle Galee della Religione, le quali, quando, non fussono capaci di tanti Cavalieri, devino su altre Galee dell’Armata ritrovarsi nel impresa, e non vi andando il Cavaliere Commendatario, o Precettore debba pagare ogni mese al Tesoro scudi otto per soldarsene altri in suo luogo, et il Cavaliere senza commenda scudi quattro da spendersi come di sopra. Et mancando di osservare quanto per il presente Capitolo in ogni sua parte si dispone, o di supplire con i pagamenti, il Cavaliere Commendatario sia privato imperpetuo della Commenda, et l’altro Cavaliere sia privato esso fatto del habito, ne si possa l uno, ne al altro, ne l’una, ne l’altra cosa mai restituire.

7. Titolo sesto DEL CAPITOLO GENERALE.

7.1. IN QUAL’ MODO SI CELEBRI il Capitolo Generale. Capitolo I.

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Conciosa che quelle cose, le quali s’aspettono, e appartengono à tutti, deono essere da tutti prima considerate, e poi deliberate. Percio vogliamo e ordiniamo, che almeno una volta l’anno si debba intimare, e ragunare, e celebrare il Capitolo Generale, e se la necessita della Religione il richiedesse, la qual cosa al giuditio, e al volere del Gran Maestro rimettere si debba s’intime, si raguni, e si celebri quante volte à lui piacera, nel qual concilio generale debbono intervenire tutti quegli che poco di sotto si diranno, e in esso si deve trattare delle cose publihce, e allo stato della Religione pertinenti. E perche nessuno atto per minimo che egli sia, non che impresa cosi grande si debbe incominciare, senza l’invocatione dell’aiuto divino. Vogliamo, che tutti i capitolanti subito che saranno ragunati insieme prima che procedano ad alcuno atto Capitolare, chiamino ciascuno tra se divotamente la gratia, e il favore dello Spirito santo, pregandolo, che gli piaccia di spargere tra essi alcuna scintilla del suo Santissimo fuoco, per illuminare, e riscaldare gl’occhi, e la menti loro, dopo la quale invocazione e preghiera partendosi ordinatamente dal luogo del Capitolo insieme col Gran Maestro, o suo Luogotenente, se ne vadano alla Chiesa del Convento, dove da Priore si canti solennemente la mattina à buon’ hora la messa dello Spirito santo, la quale fornita il Gran Maestro, o suo luogotenente con tutto il drappello de Capitolanti partendosi in processione dalla Chiesa se ne ritorni al luogo del Capitolo, e il Priore del Convento in habito Pontificale, i Cappellani, i Diaconi, e i Cherichi sonando tuttavia la campana cantino l’Hinno dello spirito santo, e giunti che saranno al luogo del Capitolo cantino Salvos fac servos tuos etc. e dicano l’Oratione dello spirito santo di poi uno de Cappellani canti il vangello Cum venerit filius hominis etc. le quali tutte cose in cotal modo dette e fatte li graduati del Capitolo, cio sono i primi capi degl’uffizi e dignità della Religione si ponghino quietamente à sedere ciascuno secondo il grado della maggioranza e preminenza sua. Allhora si legge altamente tale che ogn’uno possa udire la regola dell’ordine, e li statutti Appresso questo alcuno Cavaliere di buona dottrina, e chiara eloquenza faccia un’ sermone divotamente trattando dell’utilità pubblica della Religione, e della salute del ordine, de Cavalieri, mostrando loro quanto sia profittevole quel ordine, e confortandogli non solo à mantenerlo colle parole, ma etiandio d’accrescerlo co fatti, esercitandosi ogni giorno piu, si nelle virtù intellettive, e nelle morali, come nel mestiero della guerra, e spetialmente Marittima, la quale è la loro propria progessione. Fornito il sermore i Cappellani, e tutti gl’altri, i quali non debbono intervenire al Capitolo, reverentemente si partano, e il Gran Maestro parendogli o il Vice Maestro fa alcune parole sopra lo stato della Religione, mostrando in qual’ terme ella si truovi, e in che modo indirizzare si debbono e ordinare le bisogne publiche, lodando l’opere virtuose di que Cavalieri di qualunche maniera i quali si fussino, o giustamente nella pace, o fortemente nella guerra, portati, e biasimando le contrarie, se alcuna il che Dio non permetta, accaduta ve ne fusse. Fatte e dette questo cose si licenza ciascuno.
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Poi il primo di del Capitolo, il quale feriato non sia, ragunatosi i Capitolanti s’eleggono in esso Capitolo dal Gran Maestro, o suo Luogotenente, e da tutti coloro solamente i quali sogliano intervenire nel Consiglio, alcuni di loro medesimi, i quali s’appellono i Commessarij, il cui Uffizio sia, chiamato con loro il Vicecancelliere, leggere, e esaminare molto bene i mandati, o vero procure di coloro, i quali essendo assenti son’ tenuti à dover’ venire al Capitolo e quelle che sono legittime accettare, e quelle che no ributtarle, secondo che di sotto si dichiarerà, il che fatto, li Graduati del Capitolo havendo in mano un’ ruotolo, nel quale è scritto lo stato di loro uffizij, e di piu i loro pareri di tutto quello che giudicono, che in honore e utile della Religione, nel presente generale Capitolo fare si debbia, i quali Ruotoli insieme co suggelli de loro uffizii in segno d’humiltà, e d’ubbedienza porgono di mano in mano secondo i gradi, o dignità loro al Gran Maestro, o Vice Maestro baciandogli inchinevolmente le mani, e il Connestabile colla medesima humiltà, e reverenza gli presenta il Gonfalone, o vero lo stendardo della Religione Presentati detti Ruotoli e lo stendardo tutti coloro, i quali sono incorporati nel Capitolo si scrivono nominatamente, e i ruotoli secondo l’ordine del gradi si piegono dal Vicecancelliere e si leggono forte à uno, à uno, letto i ruotoli si procede ad elezzione di sedici Capitolanti in questa maniera. I Cavalieri incorporati in esso Capitolo con licenza e per commissione del Gran Maestro o del suo Luogotenente si ragunono separatamente in un’ luogo del Capitolo, et eleggono sedici di quegli che nel Capitolo incorporati paiono loro piu prudenti, e piu idonei degl’altri, e gli presentono al Gran Maestro, o Vice Maestro, in presenza del quale e di tutto il Capitolo giurano solennemente ciascuno dovere bene, o senza alcuno affetto, o passione giudicare, allhora il Gran Maestro, o il suo Luogotenente da loro e concede piena, e libera autorità di potere disaminare, e deliberare tutte le cose, qualunche siano in profitto, e augumento de buoni ordini della Religione, ma non gia in danno, e detrimento et insieme con tutti gl’altri promette e giura, che approvera, e ratifichera tutte le cose che saranno da loro nel modo che s’è detto di sopra, e che si dira di sotto deliberate. Fatto questo il Gran Maestro, o Vice Maestro, e gl’altri del Capitolo rimanghino à spedire l’altre bisogne del ordine, e i sedici capitolanti eletti se ne vanno indisparte, e insieme con esso loro il Procuratore del Gran Maestro il quale Procuratore puo bene render’ partito nelle consultationi, ma non gia nelle deliberazioni, tra i quali sedici interviene ancora di necessità il Vicecancelliere per iscrivere tutto quello che deliberono. E questo cose si dicono e fanno tutte colla debita gravita e modestia pacificamente, percioche se alcuno nel favellare, o nel rendere il suo voto usasse atti inconvenienti, o dicesse parole villane o superbe o ingiuriasse alcuno durante il Capitolo deve essere gravemente secondo che parra al Consiglio punito, et perche ogni Commendatore qunado piglia l’habito deve havere un’ libro degl’ordini d’essa Religione, e de privileih e concessioni di Pai, e altri Principi. Vogliamo che nel Capitolo generale s’osservi questo principalmente. La prima cosa deono i sedici Capitolanti ragionare, dello stato della Religione, e massimamente, se ella ha bisogno di dovere essere sovvenuta, o no, nel qual caso vogliamo che s’eleggano tanti Cavalieri Commendatarij, e altre tanti Cavalieri Conventuali, cioè senza commenda de piu antichi e la diliberatione spetti al maggior’ numero passando il partito i dua terzi nel modo che dicemmo disopra. Trattino secondariamente del governo, e reggimento del Tesoro comune. Finalmente considerato i ricordi, e li avvertimenti de Ruotoli intendino alla riformatione de costumi, et
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all’elettione delle Consiglieri e graduati, et delli altri uffizj che per il Capitolo generale eleggere o confermare si deveno, e à tutte l’altre bisogne, le quali al ben’ publico della Religione hanno risguardo, secondo, che ne Capitoli si contiene. E quando à loro paresse che fusse di bisogno accrescere, o scemare, o altramente correggere e rimutare gl’ordini, e gli statuti del nostro ordine. Vogliamo, che possano non solamente consultare, ma ancora farne partito. Non vogliamo gia, che tal’ partito habbia forza o vigore nessuno senza la confermazione piombata del Gran Maestro, la quale non si possa poi alterare in modo alcuno, salvo per altra in simil modo fatta. Fornite tutte queste cose si chiamano à suono di campana tutti i Cavalieri, e i Capellani ancora, i quali vengono processionalmente, e allhora il Vicecancelliere legge ad alta voce tutte quelle cose, che da sedici Capitolanti e dal Capitolo sono state conchiuse e deliberate, il che fatto si rendono i Ruotoli, e i sugelli à Cavalieri, che li diedero, e lo stendardo al Connestabile che lo presentò. Dopo la qual cosa i Cappellani dicono l’orationi sottoscritte, le quali essendo fornite tutte le cerimonie s’intende chiuso, e fornito il Capitolo generale. ORATIO PRO PACE. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus pacem, quietem, et concordiam omnibus fidelibus Christianis concedat, bella, et seditiones reprimat, Infidelium rabiem refrenet, et omnium Christianorum semitas in viam dirigat salutis aeternae. ORATIO PRO FRUCTIBUS TERRAE. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus fructus terrae dare, multiplicare, et conservare dignetur. ORATIO PRO SUMMO PONTIFICE. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus Pastorem Gregis sui N. non deserat, sed continua protectione defendat, Fidem, et charitatem augeat, ut una cum commisso sibi grege ad vitam perveniat sempiternam. ORATIO PRO CARDINALIBUS ET PRAELATIS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus Sacro Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinales, Patriarchas, Archiepiscopos, et caeterum universum Clerum in suo Sancto obsequio confirmare, et conservare dignetur. ORATIO PRO IMPERATORE, ET PRINCIPIBUS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus Imperatorem, Reges et Principes catholicos in pace, et vera concordia conservet, ac eos ad
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subigendam Barbarorum et infidelium gentem, atque Terram Sanctam Hierusalem à servitutis iugo, liberandam, ferventius animare dignetur. ORATIO PRO MAGNO MAGISTRO. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus Magnum Magistrum nostrum N. ad gubernationem. Religionis nostrae fratrumque nostrorum illustrare, et instruere dignetur, ipsumque longaevum, et in prospero statu conservet. ORATIO PRO FRATRIBUS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus fratres nostros conservare dignetur, ac eos à votis promissis declinare non permittat. ORATIO PRO INFIRMIS, ET CAPTIVIS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus omnibus infirmis, et captivis salutem tribuat, ut captivitate, ac aegritudine liberati ad Ecclesiam sanctam veniant gratias reddituri. ORATIO PRO PECCATORIBUS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus omnes peccatores à vinculis peccatorum absolvat, et aeternam faciat obtinere salutem. ORATIO PRO BENEFACTORIBUS NOSTRI ORDINIS. Oremus, ut Deus, et Dominus noster Iesus Christus, pro piis operibus illorum dignam mercedem tribuat, et post mortem aeternam salutem concedat. ORATIO PRO FRATRIBUS ET CONSANGUINEIS. Oremus, pro animabus confratrum, parentum, et coniunctorum nostrorum, et pro his qui in nostris Cimiteriis per universum Orbem requiescunt. Psalm.Deus misereatur etc. Psalm. De profundis etc. Kirieleison Christe eleison, Kirie eleison. Pater noster etc.. Vers. Fiat pax in virtute tua. Resp. Et abundantia in turribus tuis Vers. Salvos fac servos tuos Resp. Deus meus sperantes in te. Vers. A porta inferi Resp. Erue Domine etc. Vers. Domine exaudi orationem meam Resp. Et clamor etc. Vers. Dominus vobiscum. Resp. Et cum spiritu tuo. ORATIO. Deus à quo sancta desideria, recta Consilia, et iusta sunt opera da servis tuis illam, quam mundus dare non potest pacem, ut et corda nostra mandatis tuis dedita, et hostium soblata fomidine, tempora sint tua protectione tranquilla. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

7.2. QUALI CAVALIERI DEVENO INTERVENIRE al Capitolo generale. Capitolo II.

Al Capitolo generale sono obligati à intervenire quei Cavalieri, i quali, o saranno in Toscana, o haranno alcuna dignità, uffizio, o Magistrato, nella Religione, oltra questi, quegli si troveranno fuora di Toscana faranno bene à venire al Capitolo, ma non comparendo non sono sottoposti à pena nessuna. Tutti quegli che sono tenuti à comparire, se al debito tempo non compariscono, incorrono la pena della privazione del habito, la qual’ pena si possa dal Gran Maestro commutare, o modificare in tutto, o in parte, se gia non fussono stati da legittimi impedimenti, e giustissime cagioni ritenuti, come verbi grazia, se in quel’ tempo à punto si trovassino ammalati, e le strade per le quali passare dovessero non fussero sicure, o le persone loro in carcere, o in servitù delli Infedeli, la qual dichiaratione s’aspetti al Consiglio.

7.3. CHE I PROCURATORI DEGL’ Assenti non siano ammessi. Capitolo III.

Non vogliamo, che i Procuratori, che hanno i mandati, e le Procure de Cavalieri assenti, i quali sono obligati à intervenire al Capitolo generale, siano ammessi, ma che i proprij Cavalieri, sotto pena detta di sopra debbano presentarsi essi, se gl’impedimenti da loro allegati non saranno come havemo detto dal Consiglio accettati, e giudicati per legittimi.

7.4. CHE GL’INTERESSATI NON POSSONO essere presenti nelle deliberazioni. Capitolo IIII.

Perche egli non è ragionevole, che un’ medesimo sia parte e giudice, ordiniamo, che ogni volta, che si trattera d’alcun’negozio, colui, o coloro i quali haranno in detto negozio alcuno interesse, ne alcuno de loro parenti, cosi per linea masculina, come feminina infino in quarto grado, secondo la ragione Canonica non vi possino à patto nessuno intervenire.

7.5. CHE A NESSUNO DE CAVALIERI SIA LECITO appellar’ dalle determinazioni del Capitolo. Capitolo V.

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Non vogliamo, che ad alcuno de nostri Cavalieri di qual si voglia grado, e conditione sia lecito di potere appellare da alcuna delle determinationi del Capitolo, eccetto quando fussero fatte contra gl’ordini degli stati nel qual caso chi si sente, o si tiene gravato ricorra e appelli al Gran Maestro, e il disposto in ogni cosa sia di nessun valore precedente la dichiaratione del Gran Maestro.

7.6. QUANTI GIORNI DEBBA DURARE il Capitolo generale. Capitolo VI.

Non vogliamo, che siano determinati i giorni che debba durare il Capitolo generale, ma sieno piu, o meno secondo la necessita de bisogni il che determinino il Commendatore Maggiore insieme con il Consiglio, non potendo in modo alcuno passare un’ mese dal giorno che si sara aperto il Capitolo, e celebrata la Messa dello Spirito Santo.

8. Titolo settimo DEL CONSIGLIO E DE GIUDIZII. TITOLO SETTIMO.

8.1. LA FORMA CHE SI DEVE servare ne giudizii. Capitolo I.

Conciosia cosa, che i Cavalieri deono piu tosto spendere il tempo nel esercitarsi coll’arme, che perderlo nel piatire per le Corti, ordiniamo, e comandiamo che tutte le liti e differenze, le quali per qual si voglia cagione nasceranno tra l’un Cavaliere del nostro ordine, e l’altro si debbiano vedere, e diffinire sommariamente, e come s’usa dire terminarsi sola rei veritate inspecta sanza strepito, o figura di giudizio, e che s’amministri la giustitia à ciascuna delle parti egualmente, senza havere alcuno rispetto a cosa nessuna, se non alla verità, la quale vogliamo che vinca sempre, e rimanga in sella, ma non per questo vetiamo, che le prove de Testimoni, e tutte l’altre cose, le quali lealmente, e solo per meglio trovare la verità si produrranno non si possano ridurre in scrittura, le quali scritture dal Consiglio, o da quei Commessari, i quali dal Consiglio ordinati, e accio deputati saranno si debbino diligentemente leggere e considerare

8.2. DEL CONSIGLIO DELLA RELIGIONE e sua auctorita. Capitolo II.

Vogliamo che alla cura, e vigilantia delle cose, e negotij della nostra Religione, stia continuamente un numero di Cavalieri eletti, li quali insieme con il Gran Maestro o suo luogotenente intervenghino, nelle consulte e deliberazioni maggiori, et essi congregati legittimamente s’intendino essere e sieno il Consiglio della Religione, nel qual Consiglio vogliamo e ordiniamo sia il Gran Maestro, o suo Luogotenente, il Commendatore maggiore, il Connestabile, l’Admiraglio, il Priore, il Gran Canceliere, il Tesoriere il Conservatore generale il buono huomo dello spedale, e quattro Cavalieri Commendatarij li piu anziani, di quelli che saranno nel Convento, e mandando de Commendatarij supplischino li altri, salvo sempre il grado del Anzianità. Et similmente se uno, o piu de Graduati mancassino si supplischa con i Commendatarij o altri Cavalieri come di sopra, di maniera che l’effetto sia che dodici si adunino oltre al Gran Maestro, o suo Luogotenente, et il numero de predetti sia il Consiglio il quale habbia quella utorita, e facultà, e tanta, e quanta per li capitoli e statuti del ordine se li attribuisce, secondo li quali, vogliamo possa e debba deliberare espedire, e terminare le cause, e li negozii li occorreranno per conservatione, e augumento della Religione e suo Tesoro.

8.3. DEL LUOGOTENENTE DEL GRAN MAESTRO. Capitolo III.

Vogliamo che il nostro luogotenente s’intenda essere sia sanza altra dichiaratione il Commendatore maggiore ogni volta sara nel Convento, e in sua assenza il Gran Connestabile e mancando l’uno e l’altro sia l’Admiraglio, et in suo deffetto il Priore, e successivamente il Gran Canceliere il Tesoriere, il Conservatore, et il buono huomo.

8.4. LA FORMA DEL GIURAMENTO DELLI Deputati al Consiglio. Capitolo IIII.

Non si riceva alcuno al Consiglio se egli prima non hara nelle mani, e alla presenza del Gran Maestro, o vicemaestro solennemente giurato, che egli non rivelera à persona del mondo cosa veruna, la quale si sia trattata, o deliberata, o conchiusa in essi Consigli, e che egli non si muovera à consigliare, o giudicare, ne da amore, ne da odio, ne da speranza, ne da timore, non usera inganno, ne pigliera prezzo nessuno, e oltre cio, che egli tanto ne giudizij, quanto in tutte le faccende publiche osservera sinceramente, e fedelmente le leggi e gli statuti del ordine nostro. Chiunche accio contro fara sia inhabile
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à potere impetrare administratione o offizio alcuno del ordine nostro, e sia tenuto spergiuro, e le sentenze, che egli in tal modi, percosi fatte cagioni dato havesse, sieno nulle, e non vagliano cosa alcuna.

8.5. CHE NESSUNO CAVALIERE POSSA ESSERE Citato senza licenza del Consiglio. Capitolo V.

Non vogliamo, che alcuno de nostri Cavalieri di qual si voglia grado possa esser citato dinanzi a tribunali della religione se prima non si deliberi dal Consiglio se egli debbe esser citato, o no data sempre di tutto participatione al Gran Maestro accio sia informato, et la notitia se lidia in scriptis, et in particolare.

8.6. DELLA MODESTIA DE CONSIGLIERI. Capitolo VI.

Accio che i negotij si trattino ne consigli piu quietamente, e piu presto si spediscano ordiniamo che i Consiglieri e tutti coloro che ne i Consigli intervengono, stiano ad ascoltare con silenzio, et patientemente amendue le parti quando dinanzi à essi le lor cause racconteranno, o de meriti di esse disputeranno, e odano sanza interronpere il parlare di chi favella, le ragioni et allegationi di ciascuna delle parti, ne mostriano voluntà, o inchinatione di favore piu al’una che l’altra, anzi si portino inguisa, che si vegga e conosca chiaramente, che non sono piu amici ne favorevoli à questa, che à quella, et se alcuno de i Consiglieri per qualunche cagione fara altramente, quella parte la quale sara, o in cio che le parra essere offesa, possa allegare sospetto chiunche sia colui che sia etiandio se fusse il Gran Maestro, e colui il quale sara allegato per sospetto, senza che si debba rendere altra cagione di cotale sospetto, si debba partire incontanente dal Consiglio.

8.7. CHE IN UN CONSIGLIO SI POSSANO PROPORRE e spedire tante cause quante parranno a Consiglieri. Capitolo VII.

Perche i litiganti si levino piu prestamente dalle spese brighe, e incredibili impacci, che si tirono dietro necessariamente le liti, e affine che i nostri Cavalieri possano vacare al Armi, e altri esercitij loro della guerra concediamo che in un Consiglio tante cause disaminare, et espedire, e terminare si possino, quande ad essi Consiglieri parra, che spedire si debbiano.

8.8. CHE SI DEBBIANO ESAMINARE I TESTIMONI. Capitolo VIII.


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I Testimoni che sieno prodotti nel Consiglio giurino in presenza delle parti, ma si disaminino in loro assenza, e siano separatamente l’uno dal altro interrogati sopra quello di che si quistonera, e coloro, i quali gli disamineranno, non cercando altro che di trovare il vero, senza alcuna cavillatione gli dimandino diligentemente del luogo, e del tempo, e come sanno quello che dicono, e in che modo avvenisse la cosa della quale si dubita, i detti de quali testimoni, e tutte quelle cose che deporranno, vogliamo se sara giudicato necessario, che fedelmente si scrivano.

8.9. CHE NELLA DISCETTATIONE DELLE CAUSE non possa comparire piu che uno Procuratore per ciascuna delle parti. Capitolo IX.

Per ischifare la confusione della lunghezza delle liti, ordiniamo, che ogni volta che saranno differenze tra i nostri Cavalieri, per le quali differenze comporre e terminare facciano mestiero che compariscano procuratori, non possa comparirne piu che un solo per ciascuna parte, i quali sien tenuti à comparire in vesta lunga, e sanza alcuna arme, e chiunche contra fara sia punito d’una quarantena.

8.10. CHE UN CAVALIERE NON POSSA procurare per un altro Cavaliere il quale sia presente. Capitolo X.

Come si è detto altra volta, i Cavaliere deono attendere al’armi, e non alle liti à orare, e non a piatire e percio interdiciamo, che un Cavaliere possa per un altro Cavaliere procurare, se non in due casi soli, il primo quando il Cavaliere in nome del quale egli procura fusse assente, il secondo, qunado egli di tal maniera si trovasse malato che egli da se comparire non potesse, ma quando un Cavaliere procura per uno absente gli bisogna mostrare il mandato suffitiente accio fare, della quale sufficienza deve il suo superiore essere Iudice. Hora se fusse alcuno Cavaliere di strano paese il quale non sapesse il parlare, che si usa ordinariamente nel Convento à constui si concede che possa ancora che egli sia presente havere chi procuri per lui, e per la medesima cagione se alcuno fusse talmente della lingua impedito che egli, o non potessi, o malagevolmente potesse esprimere i sua concetti, à questo tale sia lecito negotiare e spedire le sue faccende per Procuratore, solo che intervenga presenzialmente in quello, che gl’ordini lo astringono à presentarsi, e se il vizio, e mancamento della lingua sara tale, che meriti Procuratore si rimette al giuditio del Consiglio.

8.11. CHE NESSUNO IL QUALE NON SIA DELLA Religione possa essere ammesso à procurare ne giudizij del ordine. Capitolo XI.


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Affine che i giudizij del nostro ordine, i quali deono essere summarij, non sieno ingarbugliati da false interpretationi, o corretti da fallaci argomenti, oprolungati da ingannevoli cautele. Deliberiamo che niuna persona secolare, o ancora Regolare, ma d’altro ordine che del nostro di qualunche grado o condizione si sia, non possa essere ammessa, à negoziare, ne ricevuta à procurare per alcuno de nostri Religiosi in giudizio alcuno, o principale, o delegato ne per questo intendiamo di volere pregiudicare, o derogare alle persone secolari, che non possano difendere ne Capitoli, e Consigli nostri le cause loro.

8.12. CHE LE CAUSE DE CAVALIERI MILITI Cappellani, e serventi si dicidano dal Consiglio- Capitolo XII.

Desiderando noi che si proceda verso i Cavalieri nostri colla bilancia pari, e che il minore non sia oppresso dal maggiore, ma à ciascheduno si ministri egualmente giustitia. Ordiniamo che tutte le differenze, che per cagione delle Commende, et altre cose attenenti alla religione, fra Cavalieri Militi da una parte, e i Cavalieri Cappellani, o serventi d’Arme dal’altra nasceranno, si debbano terminare dal Consiglio.

8.13. DEL MODO COL QUALE SI DEBBONO vincere i partiti nel Consiglio. Capitolo XIII.

Ciascuna volta, che in qualche Consiglio si havera à trattare, e deliberare d’alcuna cosa, inanzi che si venga à mettere à partito vogliamo che si proponga chiaramente quello, di che trattare, e deliberare si deve, e ciascheduno de Consiglieri possa, non servato ordine alcuno di grado, dignità, o preminenza allegare, dire, e proporre secondo che bene li verra, senza che possa esserne ripreso, anzi debba esserne lodato, tutte quelle cose che egli giudichera, che facciano à proposito della discussione, e deliberazione della causa, e quando la cosa sara molto bene da ogni parte ventilata, e quasi digesta, quante sopra essa saranno l’oppinioni de i Cavalieri diverse l’una dal altra, tante se ne mandino à partito, e si squittinino, e quella parte, e opinione la quale passando i dua terzi hara havuto piu fave, o veri voti, e suffragii in suo pro, s’intenda havere havuto la sentenza in favore, e per conseguente vinta la causa, e se andato che sara il partito à torno tre volte i suffragij non haranno passato i dua terzi allhora il giudizio sia per lo maggior numero de suffragij, e vogliamo che possino mettere il partito o in piu volte, o in uno medesimo di secondo che saranno daccordo i Consiglieri.

8.14. DEL MODO E ORDINDE DELLO SQUITTINARE. Capitolo XIIII.


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A volere che i giudizii sieno liberi, come esser’ deono importa assai, che i giudicanti habbino gli squittini segreti, cioè possano in rendendo il partito dare illor’ voto di maniera che nessuno conosca, se eglino, o aiutano, o disaiutano la causa. Et però c’aggrada l’uso del ballottare, o vero squittinare colle fave. La onde ordiniamo, che quantunche saranno piu competitori d’un’ medesimo uffizio, o degnità si mandino à partito tutti quanti à uno à uno secondo l’ordine del Anzianità, se gia alcuno di loro non fusse de maggiori del ordine, i quali noi chiamiamo Cavalieri della Croce grnde, perche in tal caso il primo che si mandi à partito deve essere egli, e lo squittinio si fa così. Dato che sara il giuramento secondo l’ordine degli statuti, e nominato quello, il quale deve primo andar’ à partito il Vicecancelliere andera porgendo il possolo prima al Gran Maestro, o al Vice Maestro, e poi à tutti i Consiglieri à uno per uno secondo l’ordine, che sederanno di mano in mano, nel qual bossolo ogn’un di loro metta il suffragio e voto suo colle fave bianche e nere, percioche la nera vogliamo si pigli per il voto affermativo, et importi il si, e la fava bianca si pigli per il negativo, e importi il no il che fatto s’annoverino le fave, e li suffragij distinti come di sopra palesemente, e il ViceCancelliere noti, e scriva fedelmente, il numero delle fave bianche, e delle nere di tutti i Bossoli, e nel medesimo modo à punto si debbono mandare à partito, e squittinare tutti gli altri competitori. Et di poi annoverati i suffragij di ciascuno, colui il quale n’hara havuto maggior numero degli altri passando i due terzi, come di sopra, si pronunzii dal ViceCancelliere essere stato eletto, o veramente haver’ vinta la causa. E se gl’accadessi, che tra li squittinati fussono concorrenti, cioè due di loro, o piu, i quali havessono il medesimo numero di suffragij, allhora ciasucno de concorrenti si rimetta à partito, e si incominci dal piu Anziano e chi havera maggior numero di suffragij prevaglia alli altri, e s’intenda, eletto, o havere ottenuto in suo favore. Dove nasca concorrenza di fave si rimetta il partito, e il maggior’ numero di suffragij prevaglia.

8.15. CHE SI OSSERVINO GLI STATUTI E non si alleghino consuetudini e abusi. Capitolo XV.

Noi vogliamo che nelle cause differenze, e controversie, e brevemente in tutte le cose, le quali s’hanno à risolver’ e deliberare in Consiglio, e nel Capitolo generale, s’osservino puntalmente gli statuti, e le leggi scritte dalla nostra Religione, e non vogliamo si possano allegare, e addurre consuetudini e abusi. Et se occorresse, che lacosa, della quale si disputa non fusse compresa sotto statuto, o legge alcuna delle nostre, vogliamo in tal caso che la giudichi, e determini il Consiglio e poi nel Capitolo generale si reformi e statuischa. Et occorrendo dubio alcuno, sopra l’interpretatione, et osservanza de presenti statuti il Gran Maestro habbia autorità di dichiararli. Della quale dichiaratione, ne debba apparire scrittura.

8.16. DELL’APPELLAGIONI. Capitolo XVI.


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Perche il nostro intendimento e che tutti i giudizij, che si faranno nella nostra Religione, e tutte le sentenze che si daranno si facciano secondo le leggi, e si diano conformi agli statuti del nostro ordine. Non permettiamo che in giudizio nessuno si possa da veruna persona appellare ad alcuno Iudice salvo che nelle contravenzioni delle leggi è statuti. Percio che sempre, che il giuditio fatto, o la sentenzia data fusse fuora delli ordini, o contro i Capitoli della nostra Religione vogliamo che si possa anzi si debba ricorrere da ciasucno, e appellare al Granmaestro solo fra il termine di quattro mesi, et se i Cavalieri Cappellani d’ubbedienza, o i Cavalieri serventi d’uffizio si tenessino gravati per qual si voglia cagione da i loro Commendatarij, al obbedienza de quali sono sottoposti consentimo che possano appellare al Consiglio, per lo qual Consiglio si decideranno le controversie, e concorderanno le dissensioni, che potessono nascere fra i detti Cavalieri d’ubbedienza, o d’uffitio e i loro superiori.

8.17. CHE LE SENTENZE SI DEANO scrivere e publicare. Capitolo XVII.

Deliberiamo che i decreti, e le sentenze de Capitoli generali, e di tutti i Consigli, che si farano nel Convento si debbano scrivere dal vicencancellieri e quelli che fuor dal Convento si faranno dal segretario che appresso il Granmaestro havera la cura, et il maneggio delle cose della Religione, i quali vicecancellieri e segretario sien tenuti di tutte le sentenze, e decreti far libri e registri.

8.18. DELLE LETTERE CHE SI DEONO SPEDIRE dal Gran Maestro, e dal Consiglio. Capitolo XVIII.

Quando si haranno à fare lettere, le quali contengano salvicondotti, o concedino licenza ad alcuno de Cavalieri di potersi assentare dal Convento, o si facciano per instrutione, o si debbiano mandare ad alcuno. Dichiaramo che cio si faccia col interventione del Consiglio, e la soscriptione del Grancancelliere eccetto, che le patenti delle dignità, commende e uffitij, o simili sieno fermate solamente dal Granmaestro e dal Grancancelliere del ordine, e dal segretario che le scrivera. Dovendo il registro esser doppio, uno al ordine, l’altro al Granmaestro il quale Granmaestro habbia à tenere un secretario per le cose del ordine appresso di se sempre. Et di piu vogliamo che le lettere missime, sieno sigillate del sigillo del Consiglio colla ferma del Grancancelliere.

8.19. DEL UDIENZA PUBLICA. Capitolo XIX.


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Egli pare cosa convenevole e cosi giudichiamo che un giorno d’ogni settimana, come dire il venerdi si spenda, o tutto, o parte in dare publicamente udienza, quando pero sara necessario il cio fare, nel che si stia al giuditio del Commendatore maggiore, del Priore del Convento, e del Grancancelliere tutti e tre daccordo, se tutti e tre saranno presenti, se non di quelli, o di quello che presente di troverà. Nel udienza publica debbono intervenire il Granmaestro, o il vicemaestro e tutti li altir che devono intervenire nel Consiglio come di sopra si e ordinato col vicecancelliere, e quivi si hanno à leggere, e udire tutte le suppliche date, e tutte le querele fatte in qualunche persona secolare, e secondo che ricercheranno i bisogni de casi che nasceranno, discussi prima prudentemente e resoluti i meriti della causa si provegga quanto piu presto e il meglio che si poterà à quanto fia giusto, e ragionevole, accioche nessuno habbia, non che cagione occasione di dolersi, e à ogn’uno si faccia sommariamente ragione, e à tale udienza si possono bisognando e parendo al Consiglio chiamare dua assessori.

8.20. DELLA BOLLA DELLA Religione e del Granmaestro. Capitolo XX.

Affine che non possa cadere dubitatione nessuna sopra alcuna delle cose ordinate, e deliberare dalla Religione, notifichiamo che tutte le concessioni procurationi permutationi, obbligationi, provisioni, e tutte l’altre cose che dal Granmaestro, e dal Consiglio, o da Capitoli Generali si spediranno si debbano segnare colla bolla del Granmaestro piombata col arme della Religione, e con quella del Granmaestro altramente si reputino per non fatte, e non sieno di valore alcuno.

8.21. CHE UN CAVALIERE NON POSSA TIRARE un altro Cavalieri ad altrio Giuditio che a quello del ordine. Capitolo XXI.

Noi haviamo detto piu volte che i Cavalieri del nostro ordine deono attendere non à litigare inutilmente tra se, ma à combattere tutti insieme utilmente controa gli infideli per la fede, e Religione Christiana, per la qual cosa noi desiderosi oltra modo, che le differenze, che nasceranno tra i nostri fratelli e Cavalieri, attenenti, connesse, o dependenti dalle commende et altre cose del ordine, si compongono in breve tempo di piano, e di cheto confortiamo, e comandiamo che nessuno Cavaliere della nostra Religione possa in alcun modo tirare alcuno altro Cavaliere ad alcuno altro giuditio, o secolare, o ecclesiastico fuora solamente che à quelli, che sono stati ordinati da Capitoli e statuti nostri, e chiunche fara il contrario perderà l’Anzianità, sara privato per cinque anni da qualunche amministratione
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del ordine nostro, e oltre cio s’intenda haver perduta la causa, e se alcuno fusse tanto ardito, o temerario, che egli osasse da giudizii di questo ordine appellare ad alcuno altro Iudice fuor della religione, gli facciamo intendere, che egli ancora che non proseguisse l’appellagione s’intenda haver perduto il piato, et di tutto quello di che si contende senza altra dichiaratione in tutto e per tutto privato. Eccettuandone sempre le cause, e controversie Civile concernenti in qualunche modo li beni patrimoniali de Cavalieri, pee le quali vogliamo possino andare liberamente à fori secolari, e à quelli Iudici e Tribunali, alli quali, se non fussono Cavalieri ordinariamente sarebbono tenuti per non confondere, e moltiplicare liti, e iudizi nella Religione. Ma per cause criminali, non vogliamo sieno li nostri Cavalieri sottoposti ad altri Iudici che al Consiglio, et al Capitolo generale, et al Gran Maestro della Religione in quel modo e forma, che per le presenti constitutioni sara statuito. Salvo sempre e reservata ogni querela, e delitto di lesa Maiesta, humana, et divina.

8.22. DELLE FERIE, CHE SI DEVONO OSSERVARE ne Iudizii della nostra Religione, oltre alli giorni della Domenica. Capitolo XXII.

Nel mese di Gennaio. Il di della Circumcisione del Signore Di Santo Antonio Abbate Di Santo Fabiano et Sebastiano Della conversione di Santo Paulo Febraio. La purificatione di nostra Domma Il giorno di S. Biagio Di S. Agata Le Cathedre di S. Piero S. Matthia Apostolo Marzo. S. Gregorio papa S. Ioseph S. Benedetto Abbate L’annunciatione di nostra Donna Aprile. S. Giorgio martire S. Marco Evangelista Maggio. S. Iacobo et S. Philippo Inventione di S. Croce Giugno. S. Barnaba Apostolo S. GiovanBaptista con tutta l’ottava S. Pietro et S. Paulo Apostoli Luglio. La visitatione di nostra Donna Maria Magdalena S. Iacobo Apostolo S. Anna Agosto. S. Piero ad vincola S. Stephano Papa Advocato e protettore del ordine La transfiguratione del Signore S. Lorenzo martire L’Assumptione di nostra Donna S. Bartolomeo Apostolo S. Augustino Doctore De collatione di S. GiovanBaptista Septembre. La Nativita di nostra Donna
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Exaltatione di S. Croce S. Mattheo Apostolo et Evangelista S. Michele Archangelo S. Hieronymo dottore Octobre. S. Francesco confessore S. Luca Evangelista S. Simone e Iuda Novembre. Tutti i Santi Commemoratione de morti S. Martino Vescovo Presentatione di nostra Donna Santa Caterina vergine S. Andrea Apostolo Decembre. S. Niccolao Vescovo S. Ambrosio doctore La conceptione di nsotra Donna S. Lucia vergine S. Thomaso Apostolo La nativita del Signore sino al di dell’epiphania inclusive Ferie mobili Dal Giovedi grasso innanzi al Carnevale sino al di delle cenere inclusive Dal Sabato innanzi alle Palme sino allo octava di Pasqua inclusive La Ascensione del Signore La Pentecoste con dua giorni seguenti Il di del Corpo di Christo con tutta l’octava inclusive.

9. Titolo ottavo DEL GRAN MAESTRO. TITOLO OTTAVO.

9.1. CHE I CAVALIERI UBBEDISCHINO al Gran Maestro. Capitolo I.

E scritto ne sacri libri, che e gl’è meglio ubidire che santificare, e ciascuno nella sua professione e tenuto fare à modo de sua superiori, o massimamente li Cavalieri della nostra Religione, alli quali di qualunche grado autorità, è preminenza si comanda, sieno obbedienti al Gran Maestro in tutte quelle cose le quali nelli ordinamenti e statuti si contengano, nelle altre, intorno alle quali li stati non danno al Gran Maestro autorità di comandare, chi sara disubediente non percio contra fara alla Regola, ne incorrera in pena veruna, e se li Cavalieri serventi di qual si voglia sorte e li Conversi Donati, e dedicati alla Religione non saranno obbedienti alli altri lor’ superiori perdino il vitto, e tutti i commodi che traessino dalla Religione se non haveranno scusa legittima da dovere essere conosciuta dal Consiglio.

9.2. DELLE STANZE DEL COMMENDATORE maggiore, e del Priore del Convento. Capitolo II.

Al commendatore Maggiore, il quale è nel ordine nostro di tanta dignità, e preminenza, vogliamo per honore del grado, e per utilità della Religione se li assegnino nel Convento capaci, e honorevoli stanze, dove possa commodamente colli suoi servitori albergare, e far’ residenza, e sieno appartate dalle stanze del Priore, se bene in assenza del Commendatore deve il Priore succedere in suo luogo.

9.3. QUALI COSE IL GRAN MAESTRO puo concedere à Cavalieri. Capitolo III.

Puo il Gran Maestro per giuste cagioni, che egli giornalmente vederà convenirsi al’honore, e commodo, così de Cavalieri come della Religione dar licenza d’andare in peregrinaggio, à chi per voto, o per devotione gle la domandasse. Similmente dar’ licenza à Cavalieri di potersi partire dal Convento, di ritornarvi, d’andare sulle Galee, o in altro servizio della Religione, digiunare, e non digiunare, di dispensare, circha il portar’ l’habito fuor’ del Convento nelli giorni che fussino obligati, et d’alcune altre cose somiglianti, le quali si rimettono cosi alla volontà, e discrezione, come al giudizio e coscienza sua delle quali licenze, e facultà, che per il Gran Maestro si concederanno, vogliamo n’apparisca scritto particolare fermato di sua mano, et sigillato et sottoscritto dal Segretario. Non puo gia il Gran Maestro mutare la pena di coloro, che sono stati giuridicamente condennati alla privazione del habito, ne restituirli l’habito, se non in quei modi, e per quelle cagioni, e come per li stati e constitutioni della Religione è permesso.

9.4. CHE IL GRAN MAESTRO NON POSSA alienare le cose, che risguardono la conservatione, e bene essere della Religione. Capitolo IIII.

Il Gran Maestro non puo ne vuole havere autorita d’alienare in alcun modo cosa, che fusse in pregiudizio della conservatione delle facultà del ordine, o di persona alcuna, se gia per li statuti non gli fusse permesso, o il Capitolo generale non confermasse le donagioni, o alter alienazioni fatte dal Gran Maestro, le quali confermazioni non debba il Capitolo fare, sanza gran risguardo, e molto urgenti cagioni, Salve
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sempre le permutazioni, separationi, et unioni delle Commende e beni di esse, le quali il Gran Maestro possa fare a benefitio della Religione.

9.5. DEL BOLLO O VER SIGILLO del Granmaestro. Capitolo V.

Deve il Granmaestro havere una bolla, o vero bollo particolare, nellaparte di sopra della quale deve essere scolpita l’arme sua e dal’altra banda la croce della Religione, la qual bolla deve essere di piombo, e usarsi nel dar credenza, e fermezza à tutte quelle cose che si spediranno per autorità, e maggioranza del Granmaestro. Deve ancora tenerne un altra d’argento, colla quale si bollino, e segnino in cera rossa le patenti, e altre lettere tali secondo che sara giudicato convenirsi.

10. Titolo nono DEGLI OFFIZII E DIGNITA DE CAVALIERI. TITOLO NONO.

10.1. DEL AUTORITA DEL GRAN CONNESTABILE. Capitolo I.

L’Autorità del Granconnestabile vogliamo, che si extenda sopra tutte le genti d’Arme, cosi da pie, come à cavallo, nelle Guerre di terra. Onde come egli, o il suo luogotenente puo in tutte le Guerre terrestri comandare à tutti i Cavalieri, cosi militi, come serventi d’arme, e à tutti li altri fanti, o cavalli, cosi ciascuno di loro deve fedelmente in tutte le cose appartenenti alla guerra di terra, obbedire al uno, o al altro di loro essendo l’esercito terreste, cosi di fanteria, come di Cavalleria sotto posta al Imperio del Granconnestabile del ordine della nostra Religione il quale, puo, con participatione del Granmaestro o del vicemaestro dare il suo vessillo, o Gonfalone, cioe lo stendardo della Religione à chi piu li piacera purche sia Cavaliere milite. Puo ancora correggere, e gastigare i Cavalieri, e tutti i soldati, che fallasseno secondo la qualità delli errori e colpe loro, intendendosi sempre, che dove sara la presenza del Granmaestro, il Connestabile stesso, e tutti li altri sieno in tutte le cose sottoposti al imperio, e obbedienza di esso Granmaestro.

10.2. DEL AUTORITA DEL’AMMIRAGLIO Capitolo II.

Dopo il Granconestabile segue l’Ammiragli che ha il Carico delle cose di mare, come il Connestabile di quelle di terra, ma tanto piu è necessaria la sua autorità, e vigilanza, quanto piu spesso si ha occasione di combattere in mare contro li infedeli che in terra percio ordiniamo, che tutte le genti di mare di qualunche maniera si sieno, o stipendiate o no non volendo il GranMaestro nelle Guerre Navali e cose marittime altro vicemaestro, che l’Ammiraglio del ordine, obbedischino à lui, o suo luogotenente e quante vole la Religione aremra Galee o altri legni, l’autorità, e il carico sara del Ammiraglio, et a lui s’appartiene far pagare delle pecunie del Tesoro i soldati le vettovaglie, e tutto quello che bisognasse, per al provisione delle quali cose, vogliamo che egli, o il suo luogotenente elegga, uno pratico, e sollecito Cavaliere in Proveditore del Armata, il quale provegga, e tenga diligente conto delli stipendij et altre spese necessarie, con riscontro del Conservatore generale, o suo Ministro per poterne a suo tempo e luogo darne ragguaglio, e renderne conto secondo che per li statuti, e constitutioni sara ordinato, reservando l’elettione de Capitani di galee et d’altri legni grossi al Consiglio.

10.3. DEL MODO D’ARMARE LEGNI e vasselli latini e quadri. Capitolo III.

Nissuna Galera, che s’armi, o vada in armata di nostra Religione, non possa uscire di Porto senza l’infrascritti corredi, e gente come appresso. Prima il vasello sia ben calefato, rivisto, e spalmato con tutti li sua corredi d’artiglierie dovendo portare oltre à quelli di prua dua cannonetti, uno al focone, e l’altro allo schifo per lo mancho sia fornito di sartie, puleggi, roscioni et ancore, alberi, et antenne di buona qualità, accio che veleggiando non si rompino, portino il bastardo grande, borda, treo, e trinchetto, et un bastardo mezzano per rispetto, catene, e traverse à bastanza. Porti tutto il suo palamento ben corredato, e buona quantita di remi per rispetto porti dua timoni, barile, à suffitienza, tenda d’albagio e di canovaccio, la ciurma vestita con camiscia calzoni, Gabbano, e camisciuola. Delle armi venticinque corsaletti, cinquanta corazze, cinquanta rotelle, cinquanta celate, cinquanta piche, cinquanta pezzi d’arme corte, cento archibusi tutti d’una palla con lor fiasche e polverini, palle dugento da cannone con lor’ polvere. Ogni Galea non possa tenere piu che uno stiavo à bancho debba menare un huomo à bancho che di buona voglia tiri il remo, cinquanta Marinari, compresivi li uffiziali quanti sieno à bastanza, venticinque Cavalieri della nostra Religione, soldati piu e meno secondo sara espediente per l’imprese e viaggio che faranno Medicine e vettovaglie à sufficienza secondo il costume e non possino altramente che di sopra s’è detto partire dal Porto, o navigare. Li legni quadri, che vadino in Armata, Navi, o Galeoni
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o Caravelle alla latina, passando la portata di mille salme, oltra che si fornischino di buona Artiglieria di bronzo, e di tutti gli altri corredi necessarij à navigare, non ci possa andare su mancho che quaranta homini, et ogni mille salme che creschi di portata si accreschino almeno XX homini di piu, sia grande come si voglia il vassello, e cosi alavvenante dalle mille salme in su secondo detta portata, dovendo essere provisto d’arme à bastanza per li homini detti, e d’altri corredi e vettovaglie munizioni et Artiglieria. Altrimenti non possa navigare in armata alcun legno di nostra Religione, andando detti legni Quadri in mercanzie se ne osservi quanto al buon iudizio e discretione dell’Ammiraglio e del Consiglio che le mandasse parra espediente, avvertendo sempre, che vadino bene armate e corredate.

10.4. DEL MODO DEL’ELEGGERE l’infermiere e suo scrivano. Capitolo IIII.

Il Buon’huomo del Convento debba eleggere uno Infermiere qual piu gli parra à proposito pur’ che sia Cavaliere servente d’Arme, e presentarlo dinanzi al Consiglio, il quale parendogli idoneo lo confermerà, altramente il Buon’huomo ne presenti tanti,l’un’ dopo l’altro, che uno ne sia confermato, l’uffitio del quale Infermiere duri dua anni, et il Consiglio havuto de suoi prtamenti diligente informatione possa raffermarlo per dua altri anni. Et cosi continuando di dua in dua anni secondo il servito altrimenti si elegga il successore come di sopra. E lo scrivano dell’infermeria, si muti non essendo raffermo come di sopra ogni dua anni.

10.5. DE SALARII E STIPENDII DA pagarsi per il Tesoro alli Cavalieri Graduati. Capitolo V.

Ancor che confidiamo, che li Cavalieri di questa Religione habbino per propria virtu à operare, e volentieri affaticarsi à benefitio universale, nondimeno per riconoscimento piu che per premio delle fatiche, et affin’ che possino secondo il grado piu honoratamente apparire nelli servizii della Religione vogliamo, e ordiniamo che delle pecunie del Tesoro al GranConnestabile si paghi, ogni volta che sarà in espidizione, et impresa di Guerra à ragione di scudi 300 l’anno e fuor’ d’espedizine scudi cento ogni anno e le spese del Convento per se e tre serventi ogni volta, che sara nel Convento. Al Ammiraglio scudi 200 in ogni tempo, e le spese in Convento, o in Galea con tre serventi. Al Priore in ogni tempo scudi cento, e le spese in Convento con tre serventi. Al Grancancelliere in ogni tempo scudi 100 e le spese in Convento con dua serventi. Al Tesoriere, Conservatore generale, e Buon’huomo dello Spedale Scudi cento à ciascuno di loro in ogni tempo, e le spese con dua serventi nel Convento, e fuor’ del’
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Convento non habbino à conseguire altro che lo stipendio. Al Commendatore maggiore quando sara in Convento le spese solamente per se e per quattro serventi: senza stipendio. Et quanto alli altri Ministri, e Officiali del Convento non graduati debba il Consiglio ordinar’ loro il salario condegno alle lor’ fatiche et offitio, non possendo passare scudi cinque il mese et habbino le spese nel Convento per le persone proprie, non comprehendendo in modo alcuno con questo statuto gente da guerra, soldati, o marinari del Armata. I quali quanto à loro stipendij si relasciono a gl’ordini consueti della milizia Terrestre e Marittima.

10.6. DELL’ELEZIONI DELLE DIGNITA. Capitolo VI.

Tutte le dignità maggiori della nostra Religione s’hanno à eleggere dal Capitolo generale, e cio sono li otto graduati del consiglio per tempo d’anni tre, i quali finiti li possino confermare per altanto tempo secondo i meriti loro. Et la elettione de graduati predetti vogliamo si faccia in questo modo. Tutto il Capitolo si divida in otto parti, et di ciascuna parte si elegghino, o estragghino dua à sorte ciascuno de quali ha à nominare uno quale egli giudichino piu à proposito et tutti e sedici nominati si deono mandare à partito à uno à uno, e chi harà maggior numero di suffragij di ciascuno altro s’intenda essere, e sia eletto, pur che passi i dua terzi, e se niuno squittianato dua volte non arrivasse à cotal numero si deve pigliare la terza volta quello, il quale harà havuto piu voti di tutti gl’altri, e questo modo si osservi e continui in tutte l’elettioni di tutti li graduati e dignità maggiori, e se occorresse, che li sedici elettionarij nominassino una medesima persona, quello che sara piu volte nominato, si metta solamente tre volte à partito, come di sopra, et al segreto del contare i suffragij vi sieno presente il Grancanceliere, o il Priore, e qualunche altro parra al GranMaestro, o al suo luogotenente.

10.7. DEL TESORIERE GENERALE. Capitolo VII.

Il Tesoriere Generale, deve risedere continuamente nel Convento e tenere tutte le pecunie del Tesoro, e custodirle con ogni diligenza e fede, e tenerne conto con quelli oblighi che di sopra s’è detto.

10.8. DEL OFFIZIO DEL GRANCANCELLIERE Et del vicecancelliere. Capitolo VIII.


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Al Gran Cancelliere si deve dare dal Gran Maestro, e dal Consiglio una persona dotta e reputata per suo ViceCancelliere. L’uffizio del quale ViceCancelliere sia spedire tutte le provisioni di tutte le sorti della Cancelleria del nostorordine, et farle fermare et segnare come per li presenti statuti si dispone, non pigliando piu di quello, che per giusta mercede della Cancelleria gli sara ordinato, e sia tenuto, con licenza pero del Grancancelliere quando sara presente à dar copia delle scritture della Cancelleria à chi s’appartengano ogni volta che li sara domandata salva pero la mercede et tassa della Cancelleria, la quale il Consiglio sia tenuto dichiarare, et fermarla per regola da osservarsi continuamente.

11. Titolo decimo DE PRIORI. TITOLO DECIMO.

11.1. CHE I CAVALIERI CAPELLANI ET i Cherichi obbedischino al Priore della Chiesa. Capitolo I.

I Capellani, e cherici del nostro ordine che stanno in Convento sieno sottoposti à comandamenti, e obbedienze del Priore della Chiesa, à quali egli puo commettere, e comandare, che celebrino gli uffizii divini, confessino, e comunichino, e amministrino tutti li altri sacramenti della Chiesa con carità, e devotione, massime se il Priore impedito da faccende, o per alcuna altra cagione non gli potesse amministrare egli stesso.

11.2. CHE IL PRIORE DEL CONVENTO, ET i Commendatori nelle lor Commende habbiano iurisdictione sopra i Cavalieri Capellani. Capitolo II.

Come il Priore del Convento ha iurisdictione sopra i Cavalieri Cappellani, e gli puo correggere e gastigare secondo la qualità del delitto cosi possino fare i Commendatarii sopra i Cappellani delle lor’ Commende, affin’ che i peccati non rimanghino impuniti per la lontananza del Priore, che sta nel Convento il quale se mai arrivasse, o si trovasse presente nelle Chiese del’altre Commende possa dovunche, egli sara personalmente exercitare la iurisdictione, e corregere i Cavalieri Cappellani. Vogliamo ancora sia obligato visitare le Chiese, e bisognando riformarle e ordinare, che gl’offizii
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divini si celebrino all’hore debite e ne modi convenienti, non vogliamo gia, che alcuno altro fuor’ che il Priore habbia iurisdictione, e possa gastigare i Cavalieri Cappellani, e i serventi d’Arme che saranno nel Convento se non il Consiglio, e se altri presumesse fare il contrario sia come inobediente punito. Non possa gia il Priore in alcuno modo intramettersi nelli delitti, che ricerchassino gravissima pena, come è confinare in Galea, o à perpetua carcere, privare del habito, sententiare à morte, le quali pene non si possino imporre da altri che dal Capitolo Generale. Possa il Consiglio sospendere i Cavalieri dalle loro amministrazioni, processarli, e chiarire i lor’ delitti, et in tutte le pene minori gastigargli, secondo le lor’ colpe meriteranno. Et havendo ricorso al ordinario.

11.3. DE REGISTRI DA FARSI DAL Gran Cancelliere e suo ViceCancelliere. Capitolo III.

Sia tenuto il GranCancelliere far’ fare dal suo ViceCancelliere un’ Registro della valuta di tutte le Commende, Magioni, luoghi, poderi possessioni, e beni immobili di tutta la Religione con tutto quello che tempo per tempo si accrescera commutera, o diiminuerà, et una copia autentica ne stia appresso il Secretario del Gran Maestro.

11.4. DEL ARCHIVIO. Capitolo IIII.

Per conservatione delle scritture, e perpetua memoria delle cose, che nella nostra Religione giornalmente si faranno, nel piu atto, e securo luogho del Convento si faccia un Archivio, nel quale si riponghino tutti i contratti, privilegij, lettere autentiche, et in somma tutte le scritture publiche et in qualunche modo pertinenti alla nostra Religione. Il quale Archivio stia serrato con due chiavi, l’una delle quali tenga il Commendatore maggiore l’altra il Grancancelliere, e di tutte le scritture, che si conserveranno in detto Archivio, vogliamo che la copia autentica si tenga ancora nel Archivio del Gran Maestro accio per fuoco, o altro accidente non si perdesseno, ne se ne possino trarre gl’originali, salvo ch col decreto del Consiglio e per casi spettanti alla Religione, e sempre che se ne tragga alcuna scrittura, si debba rimettere la medesima nel medesimo luogo in presenza di testimoni dal ViceCancelliere, o da altri à chi dal Consiglio sara commesso, e si faccia nota particolare dellapersona che le cava, delle scritture che si cavono, sotto pena à chi fusse negligente in esequire le cose spèrascritte d’una Quarantena, e à chi commettesse fraude d’esser’ privato per X anni di tutti gl’uffizii e benefizii della Religione.

12. Titolo undicesimo DEL OFFIZIO ET ESERCIZIO DE CAVALIERI. TITOLO UNDECIMO.

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12.1. CHE GL’UFFITII DEL ORDINE si dieno à Cavalieri. Capitolo I.

Tutti gl’uffizii della nostra Religione si deveno distribuire nel ordine,e darsi à quelli che ne sieno meritevoli, e sappino esercitarli, et se nella Religione non si trovassero Cavalieri, o tanti che fussero atti ad exercitare qual si voglia uffizio, in tal caso, il Consiglio possa eleggere persone secolari, le quali li exercitino infino à tanto che nel ordine si trovino Cavalieri per quello offizio sufficienti.

12.2. CHE I CAVALIERI SERVENTI d’Arme esercitino i loro offizii. Capitolo II.

Volemo che i Cavalieri serventi d’arme esercitino quelli offizii, che al grado loro s’appartengono quali osno la volta il granaio, l’armerie, et altri simili, che convengono allo stato loro e se alcuno Cavaliere Milite chiedesse alcuno di detti offizii, sia reputato non piu Cavalieri Milite ma servente, e giudicandolo il Consiglio essere idoneo possa conseguirlo, e resti disautorato come di sopra.

12.3. IN CHE MODO I CAVALIERI s’habbino à portare nel Convento. Capitolo III.

Comandiamo à tutti i Cavalieri, che tutte le volte che saranno nel Convento debbiano non solo riverir’ il Priore et li altri loro superiori, ma portarsi in ogni cosa modestamente senza fare tumulto, ò strepito alcuno, et quando saranno nel Refettorio, mangino quietamente, et osservino silentio, ne si levino da Tavola prima che da Alcuno de Capellani non saranno
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le debite gratie rendute à Dio, alle quali debbono rizzarsi e udirle stando in pie, se gia non fussero impediti da alcuna cagione legittima, et n’havessino ottenuto licentia dal Priore, Qualunche cio non osserverà, caggia per la prima volta nella pena della settena, la seconda nella Quarantena, la Terza sia condennato alla carcere per quanto al Consiglio piacerà.

12.4. CHE I CAVALIERI S’ESERCITINO nell’Armi. Capitolo IIII.

Nessuno fa bene quelle cose, delle quali egli non hà l’arte, tutte le arti sono habiti, ciascuno habito si fa mediante lo studio, et continua esercitatione. Et perche l’arte della guerra, o terrestre, o marittima è sopra tutte le arti, et conseguentemente hà bisogno anzi necessità di maggiore studio, et piu continua eesrcitatione di tutte l’altre: Però vogliamo et comandiamo, che tutti e ciascun’ de Cavalieri Conventuali si debbano esercitare ogni giorno hora in lanciare il Palo, hora in saltare al Cavallo, et quando nel tirare gl’Archibusi, presupponendo che ciascuno sappia notare, et habbia imparato, ò debba imparare l’arte della scherma et sia esercitato, ò si debba esercitare sotto pratichi Maestri nel maneggiare tutte l’Armi di tutte le sorte, et quelle massimamente che alle guerre Marittime piu si convengano, le quali deono apportare à loro gloria et honore, et alla fede Christiana sicurezza et tranquillità.

13. Titolo dodicesimo DELL’ELETTIONE. TITOLO DUODECIMO.

13.1. DEL MODO DELL’ eleggere i Priori. Capitolo I.

Il Priore del Convento sara uno de Cavalieri commendatarij, il qual’ vogliamo si elegga in quel modo, et per quel tempo che di sopra s’è detto nel Titolo del Tesoro al Capitolo XXII. Et eletto che sarà sia obligato far’ residentia nel Convento, dalla quale non si possa partire, se non per urgente necessià, et con licenzia del Consiglio che aparisca in iscritto, et debba il Consiglio prefigerli il tempo piu breve à tornare che si possa, atteso il bisogno et l’urgentia del Priore. Per la cura
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et reggimento della Chiesa, Vogliamo si elegga per il Consiglio ogni tre anni del numero de Cavalieri Cappellani un Priore di buona qualità et lodati costumi, il qual possa con l’esempio della vita, et con la solleditudine ammaestrare li altri sacerdoti, intervenire all’hora debite agl’offizij divini, et insieme conli altri procurare continuamente il culto della Chiesa, udire le confessioni, et sumministrare alli Cavalieri, et all’infermi del del Convento li sacramenti della Chiesa, et obbedirà al Priore del Convento, et osserverà tutto quel che per li statuti sarà imposto. Si altri Priori, crescendo con l’aiuto di Dio, la nostra religione saranno necessari, si provederà per il Capitolo generale de la loro elezione.

13.2. CHE I CAVALIERI IN DOMANDANDO LE Dignità non usino parole ingiuriose. Capitolo II.

Noi non vogliamo che i nostri Cavalieri nel chiedere le dignità possano scoprire i vitij, o publicare i peccati de competitori, et concorrenti loro, ne allegare cosa brutta l’uno del altro, ne contendere con parole, et in somma dineghiamo loro cosi il dire come il fare cosa alcuna, la quale potesse arrecare danno, ò vergogna alla vita et costumi del competitori, potranno bene per difendere le loro ragioni produrre in mezzo que manchamenti, mediante i qualis econdo la forma dellis tatuti nostri deono essere gl’adversarij exclusi dagli uffizij e degnità come dire che sieno debitori del Tesoro Comune, che non habbino fatto la debita residenza, o nel Convento, o sulle Galee, che habbino peggiorate le Commende che non habbino fatto que meglioramenti che dovevano e altre cosi fatte cose. Chi fara altramente di quello havemo comandato caggia dalla domanda sua, ne possa ottenere per quella volta la dignità, o l’uffizio che egli chiede, e se alcuno honore, gli rinfacciasse alcuna di dette colpe, esso fatto inanzi che si proceda à elezione sia privato dell’Anzianita di dua anni.

13.3. DELL’ELETTIONE DELLI Ambasciatori e Mandatarij. Capitolo III.

Tutte le volte che si celebrera il Capitolo Generale, tutti li Ambasciatori e Mandatarij s’intendino essere rivocati, et si deono fare gli scambi loro dal Capitolo, e nondimeno se al Consiglio paresse per alcuna giusta cagione possano tra l’un’ Capitolo, e l’altro richiamarli,e mandare gli altri in luogo loro, e il Capitolo, parendoli possa confermargli.

14. Titolo tredicesimo DELLE COMMENDE E AMMINISTRATIONI. TITOLO TERTIODECIMO.

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14.1. A CHI SI DEVONO DARE LE Commende et quante ne possa tenere un Cavaliere. Capitolo I.

Quelli che s’hanno a preporre à governare altri e ragionevole sieno piu saggi e piu prudenti, e percio stabilimo. Che le Commende, e i beni della nostra Religione si commettano à reggere, et administrare à quei Cavalieri. I quali sono piu degl’altri buoni, prudenti Anziani, e bene meriti del ordine nostro. Non consentiamo gia che alcuno Cavaliere possa havere in un’ medesimo tempo dua priorati, ne due Commende, salvo se una gli toccasse per anzianità, e l’altra gli fusse conferita da Padroni, o dal Gran Maestro di quelle che sono riservate alla sua elettione.

14.2. TRA QUANTO TEMPO I CAVALIERI possono conseguire Commende. Capitolo II.

Due cose necessariamente si ricerchono à un Cavaliere inanzi che egli possa conseguire nel nostro ordine alcuna Commenda. La prima è che egli habbia fatto professione nel Convento almeno per sei mesi. E ben’ vero che egli stato che sara due mesi nel Convento potra stare gl’altri quattro in sulle Galee, o in altro esercitio della Religione. La seconda è che bisogna che egli sia stato, al Convento, o sopra le Galee, almeno tre anni, computando in essi gli sei mesi della professione, i quali tre anni non importa, che si compiano in una volta, o in piu nel Convento, o sulle galee, basta che tra tutti i tempi d’amendue i luoghi facciano la somma did etti tre anni ne quali si dee contare ancora il tempo che egli fusse stato in alcuno offizio o dignità principale della Religione, quali sono il Connestabile, l’Ammiraglio il Commendatore maggiore, il Tesoriere, il GranCancelliere, et li altri graduati, et simigliamente gl’Ambasciadori, o Mandatarij che si mandassino fuor’ della Corte al Gran Maestro. Devesi ancora avvertire, che questo s’intende di quelle Commende solamente, le quali concede la Religione, percioche quelle che da Padroni o Fondatori si
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daranno, non sono à questa legge sottoposte, salvo che gl’eletti deono fare la professione solamente de dua mesi al convento, ma nel resto del altre Commende sieno come tutti gl’altri Commendatarij, e non altramente. Riservate ancora le diece Commende del GranMaestro, le quali egli possa dare à suo modo, fatta pero detta professione de dua mesi, e non altrimenti, e i commendatarij eletti da lui, possono toccando loro per Anzianità una Commenda migliore della sua, lassar’ quella che tengono, e havere quella che lor’ tocca.

14.3. DELLE LETTERE dell’Anzianità. Capitolo III.

Tutti quei Cavalieri, i quali haranno per cagione, e vigore di qualunque Anzianità, o vero aspettativa conseguito alcuna commenda deono fra l’termine d’un anno dal di che conseguita l’haranno, ottenere dal Consiglio la dichiarazione della loro Anzianità.

14.4. CHE NEL CONSEGUIRE LE Commende migliori si segua l’ordine del’ Anzianità. Capitolo IIII.

Tutti i Cavalieri à quali sara stato proveduto d’alcuna Commenda, possono lasciarla, quando ne toccasse loro una migliore, nella qual’ cosa ci piace, che s’attenda l’ordine del anzianità, e tutti i Commendatori, che mediante questo miglioramento si transferiscono d’una in un’altra Commenda, sono ubbligati di lasciare quelle, che essi abbandonano in quello stato medesimo che le trovarono, et se contrafaranno à questo, e non restituissino fra un’anno tutto quello che dello stato e beni della prima Commenda tolto havessino, siano esso fatto privati delle Commende, e non possano per lo spatio di cinque anni conseguirne alcuna altra in alcuno modo.

14.5. CHE SI PROCEDA SENZA indugio à dare le Commende de Cavalieri morti. Capitolo V.


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Come prima il Granmaestro, e il Consiglio, saranno legittimamente avvisati, e certificati della morte d’alcun Cavaliere, deono procedere incontanente a provedere di nuovo Amministratore, e affine che non nasca dubio sopra cotale avviso, e certificatione, ci contentiamo che ogni volta si debba per il Consiglio colla informatione del Granmaestro come di sopra provedere à detta Commenda, ogni volta che alcuno de Cavalieri del nostro ordine, il quale non v’habbia interesse, scriva d’haverlo veduto morto, o vero che n’appaia uno strumento autentico per mano di publico Notaio.

14.6. CHE I BENI DELLA RELIGIONE NON SI diano affitto à secolari. Capitolo VI.

Affine che i beni della Religione non si smarriscano Poribiamo spressamente, che nessune terre di nessuna sorte, o altri beni della Religione si possano alienare in modo alcuno sotto qualunche colore, ne etiamdio dare affitto, se non per un’anno, al piu per tre, con questo inteso, che doppo cotale fitto annuale, o triennale non si possa ridare al medesimo la confermazione per altri tre anni o ad altri per lui. E chiunche contra facesse s’intenda esso fatto privato d’ogni Commenda e benefizio, e non possa se non dopo dieci anni conseguire ne Commende ne benefizii, e con tutto cio detta rafferma, o nuovo affitto non vaglia. Et il medesimo intendiamo se egli l’havessi o permutate, o donate, o sotto qualunche altro titolo à qualunche persona concedute.

14.7. DE BENI RECUPERATI PER li Cavalieri da secolari. Capitolo VII.

Ordiniamo, che se alcuno de Cavalieri del nostro ordine hara recuperato, e al obbedienze del ordine nostro ridotto alcuna Commenda, o rendita, o poderi, o possessioni, o altri beni, che fussino stati occupati da secolari, o da altre persone aliene dal nostro ordine di maniera che la Religione non havesse notitia di essi, ne sapesse loro essere perduti, o smarriti, che cotali beni si concedano dal Gran Maestro, e dal Consiglio, à quel Cavalieri che recuperati gl’havera, perche gli possegga e goda durante la vita sua, ne debba pagare altro al Tesoro Comune, se non quel tanto che ne pagavano prima quelle persone, le quali occupati gl’havevono.

14.8. DELLA PROVISIONE DE benefizii Ecclesiastici. Capitolo VIII.


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L’Elettione de benefizii Ecclesiastici, eccetto quelli che fussino uniti al Tesoro della Religione si aspettino al Capitolo, e i Cappellani di quelli che sono uniti si deputino per il Consiglio, e i benefizii che si acquistassino si conferischano à Preti, non dal Capitolo, ma per Anzianita, e tutti i benefizii Ecclesiastici, la collatione, o presentatione de quali si appartiene al nostro ordine non si conferiscano ad altre persone se non à Cavalieri, i quali habbin’ fatta professione nel ordine nostro, ne alcuno che del’ordine nostro non sia vi possa essere presentato.

14.9. CHE I SECOLARI NON SI DEPUTINO al Reggimento delle Commende. Capitolo IX.

Noi facciamo intendere à tutti i Commendatarij, e altri amministratori de beni del nostro ordine, che non voglino, sotto pena di dovere esser’ privati delle loro Commende o benifizii sofferire à patto nessuno, che il reggimento e amministrazione delle Commende e altre degnità, e benefizii della nostra Religione si debbano concedere à persone secolari, ma solamente alli Cavalieri del ordine nostro, et eccettuato in caso di necessità che non si trovasse Cavalieri che l’accettassino della Religione, accioche siano con piu amore, e maggior diligenza governate.

15. Titolo quattordicesimo DELLE VISITE TITOLO QUARTODECIMO.

15.1. DELLA VISITATIONE delle Commende. Capitolo I.

Perche cosi la negligenza degl’huomini, come la lunghezza del tempo disordinano, e corrompono tutte le cose se maturamente in quel modo che si puo non si ripara. Pero statuimo, che ogn’anno dal Capitolo generale si deputi uno per ciascuna di quelle Provincie, nelle quale saranno Commende, uffizii, o benefizii, della nostra Religione, i quali siano huomini pratichi et di buona coscienza, l’uffizio de quali sia andare spesati dal Tesoro à visitare tutti i luoghi in questa o in altra piu diligente
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maniera. Arrivati nella Provincia menino con esso seco alcuno Notaio o se parra lor’ meglio alcuno Religioso del ordine, e giunti in sul luogo, in quale vogliono visitare debbono la prima cosa ricercare sollecitamente se le messe e gl’altri divini uffizii si celebrano da huomini buoni e sufficienti debitamente, poi farsi mostrare à una à una tutte le Reliquie se ve ne saranno, tutti i paramenti, tutti i libri, e altri ornamenti della Chiesa, e in somma tutte le masserizie dedicate al culto divino, e ultimamente intendere e vedere con ogni diligenza, come le possessioni e le rendite della Commenda siano governate, e in che modo si porti il Commendatore et generalmente qual’ vita e che costumi siano i suoi. Debbono ancora descrivere nominatamente tutti i titoli di tutte le Chiese, e tutti i nomi di tutte le loro possessioni e poderi, cosi fuori delle Terre come dentro, e tutte le loro valute, e oltre ciò noteranno tutti i censi: Tutte le iurisdictioni, premienze facultà, e privilegij di ciascuno di detti luoghi, e parimente tutti i carichi se fusse stata loro mosso lite nessuna, o alcuna cosa da chi che sia occupata, et tutte le sopradette cose sono tenuti à mettere particolarmente in iscrittura, e portarne o mandarne una copia autentica al Gran Maestro e al Consiglio, e dovunche trovassono mancamento alcuno, o rimediarvi essi del entrate del luogo, o ordinare à chi s’appartiene, che vi rimedij egli, il quale, se nol fara deve esser’ privato non solo di quella, ma di tutte l’altre amministrazioni del nostro ordine, e se detti visitatori mancheranno in alcuna parte del debito del loro offizio, sieno sottoposti à quelle pene, che il Gran Maestro e il Consiglio giudicheranno, che loro si convengano.

16. Titolo quindicesimo DE CONTRATTI E ALIENATIONI. TITOLO QUINTODECIMO.

16.1. CHE I CAVALIERI NON POSSONO in alcun’modo alienare cosa nessuna de beni della Religione. Capitolo I.

Perche le cose dedicate al seevigio del culto divino, o per l’uso di coloro, i quali al culto divino intendono, non deono mai scemarsi da persona nessuna in verun’ modo, ma sempre da ciascheduno augumentarsi per tutti. Ordiniamo e comandiamo severissimamente, come facemmo ancor’ di sopra. Che nessuno de Cavalieri del ordine, o Religione nostra di qualunche dignità, o conditione si sia, ne debba ne possa sotto colore, o protesto alcuno ne vendere ne impagnare ne donare, ne in qual si voglia altro modo cedere, obligare, o alienare, ne dare à livello o à linea ne imperpetuo, ne à tempo, o sotto altro titolo alcuno concedere per qualunche cagione, o necessità sanza spetiale autorità
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espressa licenza del Gran Maestro et del Capitolo Generale, ne Commende ne benefizii, o vero poderi, possessioni, case, vigne, campi, ragioni, proprietà, ne altri beni immobili di dette Commende, e benefizii, o di qualunche altri luoghi per qualunche cagione, e in qual’ si voglia maniera alla Religione nostra spettanti ad alcuno laico, o secolare, o ad altre persone etiamdio regolari, le quali non habbiano datta professione nel ordine nostro, e chiunche di qualunche grado fara contro questo ordine, e comandamento nostro incorra nella pena della privazione del habito, e con tutto questo cotali vendite, pegni, cessioni obbligazioni donagioni, concessioni, e ogn’altra di qual si voglia nome alienatione da ora inanzi annulliamo, e dichiariamo essere in tutto e per tutto invalide, e per non fatte, salvi li affitti triennali come di sopra s’è detto.

16.2. CHE I CAVALIERI NON EXERCITINO Arti, o prohibite, o vili. Capitolo II.

Nessuna cosa è ne piu biasimevole à un’ Cavaliere, ne piu vergognosa, che l’esercitare alcuna arte, o prohibita dalle leggi, o vile per se stessa. Per la qual’ cosa contra la degnità loro, e fuori della volontà nostra faranno, tutti quei Cavalieri i quali, o daranno opera à contratti illeciti, come prestare à usura, o exerciteranno arti meccaniche, e non degne del altezza di coloro, la cui principal’ professione è combattere per la fede cattolica. E se alcuno sara tanto temerario, che egli presumma contravenire à comandamenti della Religione e ordine nostro, se sara Commendatore perda la Commenda, e stia dieci anni senza potere haverne alcuna altra, se Cavaliere Conventuale perda l’Anzianità per dieci anni, nel qual tempo non possa per alcuna cagione ottenere commenda alcuna.

16.3. CHE I CAVALIERI NON FACCIANO contratti finti ne simulati. Capitolo III.

Niuna cosa è piu brutta, e massimamente à un Cavaliere che l’havere la lingua discordante dal cuore, e motrare colle parole di voler’ far’ alcuna cosa, e co fatti farne un’altra, tutta à quella, o contraria, o diversa. Per il che inhibimo à tutti i Cavalieri della nostra Religione, che non ardischino fare alcuno contratto finto, o simulato sotto qual si voglia colore, ne alcuna cedola di lor’ mano finta, o simulata, per la quale s’oblighino à chiunche si sia di pagare, alcuna cosa, somma o quantità. E se pur’ facessero tali contratti, o cedole, e colui in favore di chi saranno state fatte, non hara procacciato d’esser’ sodisfatto dal contraente, o promettente, mantre che egli sara vivo, non possa doppo la morte di lui
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conseguire medianti tali ragioni cosa nessuna, ne sia il Tesoro comune obligato à pagare per tal’ conto cosa veruna à persona, come per cose, o simulatamente fatte, o infraude, e per tali infino da hora le dichiariamo.

17. Titolo sedicesimo DELLE ALLOGAGIONI. TITOLO SESTODECIMO.

17.1. CHE I MORTUARII E LE VACANTI non si affittino se non coll’autorità e licenza del Consiglio della Religione. Capitolo I.

Quando occorresse, che alcuno de nostri Cavalieri passasse à miglior’ vita, nonvogliamo che i Riscotitori o Procuratori del Tesoro presummino allogare, o affitare il mortuario, o la vacante, cioè l’annata se non licenza, e autorità del Consiglio. Non vogliamo ancora, che nessuno de nostri Cavalieri, o essi Riscotitori, o Procuratori piglino per se tocali affitti e allogagioni, o palesemene, o di nascoso ne per terze persone, chi altramente fara sia come come inobediente punito.

17.2. CHE LE SPOGLIE DE CAVALIERI SI debbono vendere, e come s’hanno ad affittare le Commende vacanti. Capitolo II

Ordiniamo che i bene delle spoglie si vendino all’incanto,e si diano à chi piu n’offerisce, eccetuandone i vasi d’oro, e d’argento, e altre gioie, o pietre pretiose, le quali vogliamo che si mandino nella loro propria forma per li riscotitori, e Procuratori al nostro Tesoriere, perche si mettano nel Convento, non vogliamo gia, che contro la forma dello statuto, si mescolino tra le spoglie i beni dello stato delle Commende. Quanto alle vacanti, affine che il Comune Tesoro nostro non sia nell’allogarle, o affittarle defraudato, ordiniamo, che per li Riscotitori cosi nella Contrada dove sara la Commenda, l’administratione della quale sara vacata, come in tutti li altri luoghi circumvicini, si faccia publicamente bandire, e dar’ notitia del fitto, et allogatione che si debbe fare della vacante, à chi piu ne
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dara etiandio se sara secolare, e pi che gl’hara inteso chi colui sia, che piu n’offerisce gli dica à bocca, o gli intendere per lettere che tale affitto non puole haver luogo senza l’autorità e licenza del Consiglio, nel modo che si contiene nellli statuti nostri. Pero se tocherà a lui cotal affitto gli fara fare il partito, ma prima bisogna, che detta vacante si rimetta un’altra volta al incanto, per doversi dare à chi maggior prezzo ne offerira, e se non si trovera alcuno che ne dia piu, si debbe concedere di par pregio à quel primo offeritore, salvo, se il secondo offerente non fusse Cavaliere di pari pregio deono essere preferiti à secolari, ne per questo intendiamo, che s’impedisca lapossessione corporale, che si deve pigliar da colui à chi e stato proveduto dal nostro ordine nel administratione della Commenda affittata, o veramente allogata, come che i frutti, e l’entrate deono essere del fittaiuolo e non del Cavaliere provveduto.

17.3. CHE DURANTE IL MORTUARIO E LA VACANTE non si possono fare ristaurationi o miglioramanti. Capitolo III.

Non vogliamo che i Cavalieri del nostro ordine, ne altre persone, che nel tempo del mortuario, e della vacante pigliono ad affitto le Commende, possano in modo alcuno o debbano per qual si voglia cagione, mentre che dura il mortuario e la vacante farvi alcuna reparatione, o rizzarvi per migliorarla alcuno edifitio se gia dette reparationi non fusseno necessarie, le quali però si debbon fare moderatamente e secondo le facultà della Commenda, havuto prima il giudizio, e consiglio di dua, o tre Commendatarij, affin’ che i nostri Cavalieri, à cui sranno commesse e concedute tali Commende non sieno sotto la coverta di cosifatte restaurationi di maniera gravati, che egli non possino pagarle. Se alcuno fuori del tenore di questo statuto hara fatto restauratione, reparatione, o miglioramento alcuno, non debba esserne, ne dal Tesoro ne da Cavalieri in parte alcuna rifatto, anzi tutto s’intenda fatto à spese di coloro, che reparate, restaurate, o migliorate l’haranno.

17.4. A CHI SI DEBBONO ALLOGARE le Coomende. Capitolo IIII.

Non vogliamo, che le Commende, ne altri beni della nostra Religione si possino allogare, o dare affitto, à Principi, o Signori Potenti cosi ecclesiastici, come secolari, ne ad alcuna università o Collegio, ne possino coloro hce le conduranno o piglierannoa d affitto allogarle à tali persone prohibite di sopra, ne transferire in loro le ragioni del suo affitto, o allogagione. Chi fara altramente perdera i frutti d’un’anno de beni che hara affittati, o allogati, i quali frutti sieno del Tesoro comune e l’affitto, o vero allogagione non vaglia, e non tenga come se fatta non fusse.

18. Titolo diciassettesimo DELLE PROHIBITIONI ET PENE TITOLO DECIMOSETTIMO.

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18.1. QUANDO SIA LECITO A CAVALIERI di fare Testamento. Capitolo I.

L’ultime volunta si deveno sempre favorire et osservare da ciascuno. Percio vogliamo che i Cavalieri del ordine nostro possino fare testamento et disporre come piacerà loro delle facultà et beni loro, ogni volta pero che haveranno figliuoli maschi, ò nipoti cioe, figliuoli de figliuoli maschi legittimamente nati, o pronepoti à quali figliuoli, nipoti o pronepoti possino lasciare quanto hanno di patrimonio, ò acquistato, ò guadagnato mediante l’industria loro, et ancora con beni della religione, salvo i bestiami et altri utensili appartenenti al uso, et bene essere delle Commende. Ma in caso non havessino figliuoli maschi, ò nipoti, ò pronepoti come di sopra, non possino testare ne disporre d’altri beni che dell’immobili et patrimoniali. Ma li beni mobili pervenghino tutti come spoglie al Tesoro della Religione. Et in caso che non lasciassino maschi, ma solamente figliuole femmine non maritate, devensi al hora le sue figliuole dotare condecentemente con i beni patrimoniali, i quali non essendo à bastanza habbino à servire in supplemento le spoglie della sua Commenda da dichiararsi dal Gran Maestro la convenientia della dote. Vogliamo bene, che il Gran Maestro possa concedere licenza à Cavalieri che muoiono nel convento di poter’ disporre ancora d’una qualche parte de beni mobili pagati che saranno i debiti cosi al Tesoro, come all’altri creditori.

18.2. COME ET QUANDO LI CAVALIERI possino liberare li stiavi. Capitolo II.

Nessuno Cavaliere della nostra Religione, il quale habbia uno, ò piu schiavi, può senza licentia del Consiglio liberargli, se gia non fussero battezzati, et divenuti veri Christiani, et qualunche Cavaliere harà schiavi, non volendo fargli franchi, ma vendergli, sia obligato dargli alla Religione volendogli per lo medesimo prezzo, che da altri ne trova.

18.3. CHE I CAVALIERI NON S’INTROMETTINO nelle cause de secolari. Capitolo III.

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A tutti i Cavalieri del nostro ordine si prohibisce l’intromettersi in alcun’ modo, e prestar’ favore, et aiuto per loro ò per altri alle persone secolari, che per le loro sceleratezze meritassino essere condennati à morte, ma devino cotali scelerati lasciare al libero iuditio de Giudici et Tribunali secolari, à fin’ che sieno puniti, et la Iustitia habbia suo luogo: Non possino ancora intromettersi nelle cause Civili de secolari. Et chiunche contrafara secretamente, ò palesemente possa essere punito secondo che al Gran Maestro, e al Consiglio parrà.

18.4. CHE I CAVALIERI NON INTERCEDINO ne preghino per alcuno Cavaliere che habbia errato. Capitolo IIII.

Qualunche volta si hara amministrare Iustistia da alcun’ Cavaliere che habbia commesso alcuno delitto. Non vogliamo sia lecito ad alcuno de nostri Cavalieri intercedere, o pregare per lui infino à tanto, che la sententia non sia data. Percioche data la sententia potrà chiunche vorrà intercedere, e pregare, che la pena del condennato si moderi, e quelli à chi s’aspetterà rimettere la pena, potrà, o mitigarla, o farla eseguire secondo l’arbitrio, et volontà sua.

18.5. CHE I CAVALIERI NON S’ASTRINGHINO à persona alcuna con giuramento ò altra maniera di lega. Capitolo V.

Non sia lecito à nostri Cavalieri per alcun’ modo senza licentia del GranMaestro far’ di se homaggio, ò divenire huomo ligio, o contrarre lega, ò farsi come si dice, fratel giurato con persona alcuna. Non possino anche fare conventicole prohibite, ne intervenire alle fatte sotto pena della privatione del habito, il quale se gli fusse mai restituito, nondimeno non possa per dieci anni conseguire commende ne altro benefitio dalla Religione.

18.6. CHE I CAVALIERI NON SI partino dal Convento senza licentia. Capitolo VI.


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Nissuno de nostri Cavalieri che habbia offitio, ò publica administratione nella religione possa partirsi dal Convento senza espressa licentia del Consiglio la qual debba mettersi in scritto, et chi contrafara esso fatto s’intenda, o sia privato del’habito delle commende, et de benefitij, senza altra citatione, monitione, ò dichiaratione.

18.7. CHE I CAVALIERI NON occupino le Commende. Capitolo VII.

Se alcuno de Cavalieri sarà tanto presuntuoso, che ardisca occupare per forza, ò ritenere con violentia ò contra la volontà del Gran Maestro, et del Consiglio Commende, Magioni, o qualunche altri beni, o Benefitij del ordine nostro, perda l’habito, et sia per sempre incarcerato, et se gli fusse fatto gratia dell’habito, stia dieci anni, che non possa conseguire commende ne alcun’altra dignità, et la possessione della commenda, ò d’altro benefitio nel detto modo occupato si dia pacificamente à colui, che n’era legittimamente provveduto, et si possa bisognando, invocare il braccio seculare.

18.8. CHE I CAVALIERI NON IMPETRINO lettere di raccomandationi per ottenere Commende. Capitolo VIII.

Egl’è prohibito sotto la pena della inobedienza, che nessun’ Cavaliere di qual si voglia conditione impetri da persona alcuna, lettere di favore, ò minaccevoli per potere mediante quelle conseguire ò ottenere Commende, ò benefitij dalla nostra Religione, è ben lecito cavare lettere da coloro, che hanno fatto professione del ordine nostro, per le quali lettere si commendi la virtù, et la suffitientia di coloro, che il meritano, ne debba nuocere al raccomandato, se coloro, i quali lo raccomanderanno scriveranno cose contrarie et repugnanti. E chiunche hara impetrato cotali lettere perda l’Anzianita per anni tre. Dassi ancora facultà à ciascheduno d’accusare senza pena, et provare contra tali à fine, che l’insolentia de Cavalieri si raffreni.

18.9. CHE I CAVALIERI CHE HANNO uffitij nell’ordine, non armino legni. Capitolo IX.


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Statuimo che nessuno Cavaliere dell’ordine nostro di qualunche grado, et dignità, che habbia cura, et administratione di Giustitia, o che hanno incustodia i beni della Religione, come il Conservatore, ò vero Tesoriere generale, et quegli che sono sopra l’Arsanale, ò sopra la munitione dell’Artiglierie, ò sopra grascie, e vettovaglie, ne alcuno che da loro, ò come ministro, ò come compagno dependa: possa per se, ò per interposte persone nascosamente, ò palesemente sotto alcuno colorato arbitrio armare legni di sorte nissuna per far guerra à gli infedeli, o per andare in corso, senza l’autorita, et espressa licenza del Gran Maestro di che ne habbia apparire scritture. Non può ancora alcuno de nostri Cavalieri essere à parte d’alcuno Arsanale fatto da altri, o perseverare negl’Arsanali gia fatti, sotto pena di perdere l’uffizio, il quale si dia subito, non altramente, che se tutto il tempo fusse fornito, et sotto confiscatione del prezzo dell’Arsanale, et del guadagno, che n’havesse cavato, et tutto vada al Tesoro comune, eccetto la terza parte, che si dee dare all’Accusatore, senza alcuna diminutione ò rimissione, et questo medesimo d’ordina de Capitani delle Galee, et de loro uffitiali, sotto le medesime pene, se armeranno per corseggiare et far’ sua la roba altrui. Concedesi nondimeno, che per accompagnare le Galee, ò per far’ loro scorta ò scoprire Navi, ò altra simile necessità, et faccenda possono senza alcuna pena, ò riprensione armare ò fuste, ò Brigantini, et se alcuno, ò Cavaliere, ò secolare presumerà fraudolentemente di mettere il nome suo falsamente in detto Arsanale, ò partecipare segretamente co predetti uffitiali, incorra la medesima pena della confiscatione, et sia punito come falsario, et trattato come spergiuro: Et vogliamo che la licentia d’Armare, che si deve concedere dal Gran Maestro si metta in scrittura, et chi la otterrà sia tenuto dare sufficiente sicurtà di non molestare danneggiare, ò depredare i Cristiani , ne alcuno de nostri Cavalieri ne i loro legni o Vaselli. Concediamo bene à chi d’altra parte venissi in aiuto della nostra religione, possino armare senza licentia. Et quei Cavalieri che con la licentia del Gran Maestro armeranno, godino l’Anzianità, come se facessino residentia nel Convento.

18.10. CHE NON SI DIA SALVOCONDOTTO à Corsali. Capitolo X.

Nessuno del nostro ordine vogliamo che possa concedere salvocondotto à Corsali, se non il Gran Maestro et egli non debbia cio fare, senza grandissima necessità, sotto pena à chi contrafacessi di perdere l’habito. Non si possa ancor’ dare salvocondotto, à huomini fuggitivi, o à Mercatanti falliti, se non dal Gran Maestro, et chi facesse il contrario perda ogni commenda, et benefitio, ne possa se non doppo tre anni ottener’ cosa alcuna dalla Religione.

18.11. CHE NON SI POSSA FAR’ TREGUA senza il Consenso del Gran Maestro. Capitolo XI.

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Non si possa in alcun’ modo per qual si voglia Cavaliere del ordine nostro conchiudere ne pace, ne tregua con Turchi, Mori, ne altri infedeli, se non solamente con l’autorità, et licentia del Gran Maestro et chiunche facesse altramente incorra nella pena et gastigo, che al’ Gran Maestro parrà di darli, tutto quello che egli farà s’intenda vano, et di nessun’ valore.

18.12. DELL’ARTIGLIERIE ET ALTRE Armi della Religione. Capitolo XII.

A nessun Cavaliere sia lecito alienare in modo alcuno ò transportare altrove, senza consentimento del Gran Maestro, ò del Capitolo generale Artiglieria, ò munitione di qual si voglia sorte, ne Arme da offendere, ne da difendere, salvo spade, o pugnali, ne altre cose pertinenti all’uso della guerra che sieno della nostra Religione, et contra facendo caschi in quella pena, et preiuditio, che parrà convenirsi al Gran Maestro.

18.13. I CAVALIERI NON INTERVENGHINO nelle Guerre de Christiani Capitolo XIII.

Essendo l’obligo de Nostri Cavalieri di combattere contra l’Infedeli, Prohibimo, che si mescolino, ò intromettino nelle Guerre che da Christiani si faranno contra i Christiani, salvo che per difesa delli stati del GranMaestro. Et s’alcuno non osserverà perda l’habito il quale se gli fusse restituito non possa per dieci anni ottenere il governo, ò administratione d’alcuna Commenda, ò benefitio. Et nessuno possa dar licentia ad un Cavaliere di stare, et esercitardi nelle Guerre tra Christiani et Christiani, se non solo il Gran Maestro et in tal caso non possa portar’ l’Arme, ò insegne della Religione se gia tal’ guerra non fusse per difensione del ordine nostro, o della Religione Cristiana, o contro heretici et scismatici, et per defensione della Sieda Apostolica contra ognuno, il che giudicherà il Gran Maestro.

18.14. NESSUNO CAVALIERE POSSA DOMANDARE uffitio nel Consiglio o nel Capitolo Generale. Capitolo XIIII.

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I Cavalieri del nostro ordine non possino chieder offitio alcuno al Gran Maestro, o al Consiglio, ò al Capitolo li quali debbeno secondo che e permesso loro dalli statuti dare li offizii et commettere il governo à coloro che essi conosceranno atti ad administrarli fedelmente, et s’alcuno Cavaliere contrafarà non possa per tutto quel anno conseguire offitio alcuno.

18.15. CHE NESSUNO VADA SENZA L’HABITO. Capitolo XV.

Qualunche Cavaliere anderà senza l’habito del nostro ordine cioe che non porterà la croce rossa palesemente cucita nella sua vesta in quella parte che è tenuto, per la prima volta sia condennato alla quarantena, per la seconda per tre mesi di Carcere, per la terza spogliato del habito, non vogliamo gia, che non possino portar croce d’oro al collo conforme alla nostra del ordine, et in tal caso possino anco portare su la cappa ò altra sopravesta la Croce cucita secondo le constitutioni.

18.16. LI ACCUSATI INANZI SIENO condennati possino conseguire Commende. Capitolo XVI.

Se alcuno de nostri Cavalieri sarà per cagione d’alcun’ delitto, ò colpa, ò negligenza inquisito, ò accusato non perciò segli vieta, che non possa ottenere quelle commende, che gli toccassero anchor che fusse ritenuto in prigione, se non poi che egli per tal delitto sarà stato condennato: et uno che sia stato condennato, non può durante la condennagione, prima che egli non sia legittimamente absoluto, ò habbia compita la pena, che gli fu imposta, conseguire commende ò benefitij, ò altri offitij del ordine nostro.

18.17. CHE I CAVALIERI NON FACCINO Tumulti nelle Magioni.

Capitolo XVII.
[p. 78]
Se alcuno Cavaliere nelle magioni, o alberghi dove si mangia si porterà insolentemente, et con inmodestia se levera romori, se rompera usci, ò porte, ò sgabelli, ò tavole, ò altre cose somiglianti, gittandole fuora, ò avventandole à chi che sia, sarà punito di quella pena, che al Consiglio piacera insino al diminuirgli l’anzianità inclusivamente, come si dice, et se alcuno battera i famigli, ò i ragazzi ò li schiavi del Priore del Convento, ò d’altri superiori se nel dare loro delle busse, non harà cavato lor sangue, per la prima volta si punischa con la quarantena, per la seconda sei mesi di Carcere per la terza persa due ani della sua anzianita. Ma se harà fatto uscire loro sangue, et la ferita sia leggiera, per la prima volta stia sei mesi in prigione, se la ferita sarà grave, et enorme perda l’Anzianita.

18.18. I CASI PER I QUALI I CAVALIERI si privano dell’habito. Capitolo XVIII.

Indegna cosa è che coloro che si macchiano d’alcuna gravissima scelerità, vadino armati dell’habito della nostra religione. E perciò ordiniamo, che tutti coloro che commetteranno l’infrascritte sceleraggine et ribalderie, si privino inperpetuo del nostro habito, cio sono heretici soddomiti, assassini, ladri, coloro che si fuggano à gl’infedeli, chiunche lascera nelle zuffe et battaglie contra l’infedeli, lo stendardo spiegato della nostra religione, chiunche combattendo abbandonerà alcuno Cavaliere, chi dara alcun luogo all’infedeli, ò sara consigliere, o consapevole di detta tradigione, la qual congnitione si riserva al Gran Maestro et al Consiglio, chiunche hara tre fiate abbandonato senza licenza lo stuolo, et il Consortio de Cavalieri ò si sarà transferito ad altra religione, non possa piu ritornare alla nostra. Chiunche harà fatto testimonanze false. Chiunche, ò a cavallo, ò à piede hara nel combattere atteso à predare, perda l’habito, lo quale ripigliare non possa, se non passato un anno, qualunche Cavaliere hara accusato qualunche altro Cavaliere d’alcuno de casi sopradetti et si sarà proferto à provarlo, se egli non lo proverrà perda l’habito. Similmente tutti coloro che haranno falsato lettere tanto del ordine nostro, quanto d’altri. Chiunche harà commesso homicidio, sia privato senza tempo dell’habito, et condennato à perpetua carcere, à fine che gl’altri Cavalieri, non osino commettere cosi grande scelerateza et lo tuolo de nostri soldati si renda pacifico, e quieto. Medesimamente chiunche à sangue freddo, et con superchieria harà ferito alcuno Cavaliere à tradimento, sia privato dell’habito.

18.19. DE PERCUSSORI. Capitolo XIX.

Se alcuno Cavaliere percoterà un altro Cavaliere si punisca con la quarantena, et se l’hara ferito di maniera, che egli sia uscito sangue altronde che del naso, ò per bocca, perda l’habito, et se si sia sforzato percuoterlo con la spada, ò con sassi, ò con altra sorte d’armi, nè percio l’habbia percosso, si punisca con la quarantena.

18.20. DI CHI DISFIDA A DUELLO. Capitolo XX.

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Se un Cavaliere sfidera un altro Cavaliere, ò per cartello, ò per terza persona, ò con parole à Duello, et l’altro accetterà, se venuti che saranno in sul Campo, ò in altro luogo, seguira effusione di sangue ancora che leggiera, ambi senza alcuna remissione sieno privati perpetuamente dell’habito, et posti in prigione senza fine. Ma se non si sara versato sangue, tanto si levi della loro anzianita in favore de novitij, quanto al Gran Maestro, e al Consiglio ragionevolmente parrà, ma se uno harà chiamato l’altro e l’altro non hara accettato, il provocante perda almeno tre anni d’anzianita.

18.21. DE CAVALIERI CHE DI DI, O, DI NOTE faranno Tumulto. Capitolo XXI.

Se un Cavaliere contra un altro, ò piu Cavalieri nel Convento, ò in altri luoghi nostri, harà fatto con qual si voglia sorte d’arme, ò di di ò di notte tumulto perda l’habito. Chiunche di notte mascherato in quadriglia, ò con habito sconosciuto, ò con arme d’hasta, ò con i scoppi, ò vero Archibusi, ò con arme segrete, ò solo, ò accompagnato con quadriglie, ma senza arme d’asta sarà stato trovato, stia tre mesi in prigione.

18.22. DELLE BESTEMIE. Capitolo XXII.

Qualunche Cavaliere bestemmierà, ò rinegera il sacratissimo nome di Dio et della beata Vergine Maria, et de suoi Santi, la prima volta sia punito con la quarantena, la seconda con la prigione di dua mesi, la terza sia posto in carcere per quanto ordinera il Gran Maestro et il Consiglio.

18.23. DELL’INGIURIE. Capitolo XXIII.

Qualunche Cavaliere harà hauto parole con alcuno altro Cavaliere, et acceso dal calore della iracundia l’harà sbottoneggiato, et dettogli villania, si punisca conla pena della quarantena, ancora che confessasse se haver mentito per la gola, et si pentisse d’havergli dette cotali ingiurie. Ma se egli per onta, et dispregio l’havessi mentito per la gola preda due anni d’Anzianità, e se l’havesse infamato dandogli alcuna cattiva voce, il
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Consiglio gli dia quella pena che giudicherà convenirsi secondo la qualità delle persone, et dell’infamia se egli l’harà percosso con un bastone, ò con una Canna, ò datogli una ceffata, ò l’harà battuto con altre cose simiglianti, perda tre anni d’Anzianità.

18.24. DE PERCUSSORI DE SECOLARI. Capitolo XXIIII.

Qualunche Cavaliere del nostro ordine batterà, ò percoterà di nascoso, ò palesemente per se, ò per mezzo d’altri alcuna persona secolare con bastone, ò spada ò altra maniera d’Arme, sia tenuto per due mesi in prigione, et se la ferita sarà grave, ò enorme perda l’Anzianità, la qual pena medesimamente incorra se egli sarà stato patrigno, ò harà preso parte per alcuno Duellante: Ma se egli harà commesso alcuno homicidio, privisi dell’habito, lo quale non possa mai per alcun tempo racquistare, ma si tenga perpetualmente incarcerato, inguisa, che per detti casi, non possono i delinquenti essere puniti in alcun’ modo con la settena, ò con la quarantena, et se pure ne fussino puniti, sieno nondimeno ancora con le sopradette pene gastigati.

18.25. DE MOLESTATORI del Populo. Capitolo XXV.

Qualunche Cavaliere del nostro ordine senza licentia del suo superiore entrerra senza essere invitato,e t non essendo in compagnia d’alcuno de suoi maggiori in alcuna Casa, dove si facciano nozze, convito, o balli, ò altri cosi fatti tafferugli, perda l’anzianità di due anni, senza speranza di poterla racquistare in favore de Cavalieri novitij. Ma se egli di giorno, ò di notte tempo rompesse ò usci, ò finestre, ò usasse alcun’altra violenza oltre la pena detta, sia messo in una stretta prigione per quanto ordinerà il Consiglio: et l’accusatore potra servirsi de Testimonij di persone secolari. Similmente s’alcuno Cavaliere harà turato, o usci, o finestre con calcina, ò l’harà imbrattate con alcuna lordura, ò datovi dentro de sassi, perda l’anzianita d’un anno, et il Consiglio possa (se cosi li parra) piu gravemente et con maggior pena gastigarli, et se v’havesse messo fuoco, et abbrusciatole, sia privato dell’habito, ma se il fuoco non si fussi appiccato, ò non havesse fatto danno privisi dell’anzianità di tre anni.

18.26. CHE NESSUNOPONGA LE MANI nelle spoglie, ò nelle Ragioni del Tesoro. Capitolo XXVI.

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I beni delle spoglie de nostri Cavalieri s’appartengono di buona ragione al nostro Tesoro comune, la onde non è lecito ad alcuno, ne in alcun’ modo si permette, se non à coloro, i quali hanno di cio l’autorità dal Thesoro di poter pigliare, ò maneggiare, ò ricevere ne danari contanti, ne vasi d’Argento, ne Oro, ne Argento, ne gioie,ne qual si sieno altri beni de Cavalieri, che muoiono. Chi harà contrafatto, se quello, che egli harà preso passerà cento scudi d’oro, sia privato dell’habito, se non gli passerà, sia punito alla Quarantena: similmente chi pssa le mani sudanari, ò altre cose, et ragioni pertinenti al Thesoro, al Gran Maestro ò al Convento et se le usurpera, se gli spogli l’habito. Et con tutto cio tutto quello che sarà stato tolto, ò involato da lui, si rimetta et rifaccia al Tesoro de beni del delinquente. Et perche questo statuto, che alcuno religioso perda l’habito per ogni eccesso che passi cento scudi, potrebbe parere troppo rigido, et severo, conciò sia cosa, che i delitti s’aggravino, et allegeriscano grandissimamente dalle loro circunstantie: Pero vogliamo, che ancora in questo si consideri, et pesi la qualità, et si proceda con maturo consiglio. Qualunche volta dunque alcuno sara querelato d’alcun’danno, il quale passi venticinque scudi, vogliamo che la querela sia rimessa al Consiglio et quivi levate tutte le gavillationi, et tutti i sutterfugij rimossi, s’attenda solamente la verità del fatto in tutti i modi possibili per gli nsotri statuti, et si faccia giustitia, secondo che meriterà la qualità del delitto et i meriti ò demeriti del Reo.

18.27. DE CONCUBINARII. Capitolo XXVII.

Nessuno de nostri Cavalieri deve in modo alcuno tener’ concubine, ne nella casa sua propria, ne fuori d’essa, et se alcuno posta da parte la buona fama farà il contrario, et sarà convinto da cotale errore ò per la fama publica, ò per le testimonianze d’huomini degni di fede, o per confessione di propria bocca, vogliamo che sia ammonito prima tre volte dal suo superiore, che si levi da cotal pratica, et fugga cotale infamia, et s’egli non ostante l’admonitione tre volte fatta, perseverera contumacemente nel delitto, vogliamo che passato quaranta giorni dalla prima ammonitione, se sarà commendatario, sia privato esso fatto senza altra solennità di tutti i frutti della sua commenda per tre anni et se sara Cavaliere conventuale perda tre anni d’Anzianità, et se sara Cavaliere d’obedienza sia privato per tre anni di qualunche administratione del ordine nostro. Et chi fusse per lo medesimo errore condennato tre volte, essendo perduta speranza sia disvestito del habito.

18.28. ALCUNI CASI PER LI QUALI I Cavalieri incorrono la pena della settena. Capitolo XXVIII.

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Chi si parte dalli uffitij divini. Chi è nella settena et rizzandosi non rende gratie à Dio. Chi interrompe nel Consiglio il parlare de Consiglieri. Chi mangia senza l’habito. Chi calunnia alcuno, anchor che gli da lui si calunniato, se il loro superiore ne farà querela, deve ciascuno di questi essere punito con la settena.

18.29. ALCUNI CASI, PER CAGIONE DE quali i Cavalieri incorreno la pena della Quarantena. Capitolo XXIX.

Primieramente chi non ubbidisce à comandamenti del Connestabile et Ammiraglio nelle giornate et fatti d’Arme di Mare, ò di Terra, non può incorrere in minor’ pena della Quarantena. Coloro che si trasmettano nell’offitij d’altrui. Qualunche Cavaliere mangia in Camera, o in alcun’ luogo prohibito senza licentia incorrono tutti nella Quarantena.

18.30. LA FORMA DELL’ESECUTIONE della pena della settena. Capitolo XXX.

Ciascuno Cavaliere, che harà havuto per suo gastigo la pena della settena, digiunera sette giorni continui, et la quarta et la sesta feria, cioe il Mercoledi et il Venerdi d’essi sette giorni digiunerà: in pane et acqua, et riceverà la disciplina in questa guisa. Cavatosi il Mantello starà humilmente inginocchioni dinanzi all’altare in presentia d’alcun’ sacerdote del nostro ordine, il quale percotendogli il dosso con una bacchetta dirà il Salmo. Deus misereatur nostri etc. Chirieleyson, Criste. ect. Chire. etc. Pater noster etc. Versetto. Salvum fac servum tuum. Rispondasi. Deus meus sperantem in te. Versetto. Mitte ei Domine auxilium de sancto. Rispondasi. Et de Syon tuere eum. Versetto. Esto ei Domine turris fortitudinis. Rispondasi. A facie inimici. Versetto. Domine exaudi Orationem meam. Rispondasi. Et clamor meus ad te veniat, Oratione. Deus cuius proprium est. etc. . Dette queste cose, drizzesi in piedi il Cavaliere, et rimettendosi indosso il suo mantello, baci riverentemente il superiore suo.

18.31. LA FORMA DELL’ESECUTIONE della pena della Quarantena. Capitolo XXXI.

Qualsivoglia Cavaliere, il qual sia stato condennato alla pena della Quarantena, dee digiunare quaranta giorni continui, et ogni quarta, et sesta feria di detti quaranta giorni, non gusti altro che pane et acqua, stando à mangiare in terra, et ogni Mercoledi, et Venerdi riceverà la disciplina in questa guira. Egli ignudo et scalzo comparirà dinanzi al Sacerdote, il quale percotendogli le reni con una bacchetta dirà. Miserere mei Deus etc. con tutte l’oratione predette. Coloro che saranno stati condennati alla settena, o alla quarantena non si debbono partire dalle loro case, se non quando vanno alla Chiesa, et deono essere presenti à tutti gli offitij divini. Coloro i quali saranno stati condennati à due o tre quarantene, o settene, basta che piglino la disciplina d’una sola, o quarantena, o settena.Chiunche sarà giudicato alla pena della quarantena o settena sofferi solamente la disciplina della quarantena nel qual tempo non possono portar’ Armi, et e necessario che vadino con veste lunga, et secondo l’habito della nostra Religione.

18.32. DI COLUI CHE SARA STATO condennato tre volte alle Carcere. Capitolo XXXII.

Qualunche Cavaliere sara stato per gli sua demeriti condennato tre volte alle carcere, si privi di tre anni d’antianità, riservandosi però all’arbitrio del Consiglio poter modificare la pena secondo la qualità de peccati.

18.33. DI COLORO CHE FUORI DEL Convento hanno lasciato l’habito. Capitolo XXXIII.

Se uno Cavaliere, ò per incostanza sua, ò ingannato dall’insidie del demonio, hara di sua propria autorita fuori del Convento lasciato l’ordine nostro, et poi di cio pentendosi, voglia ritornare alla religione, vogliamo che egli sicuramente, et liberamente possa venire al convento, et entrare nello spedale degl’infermi, et l’infermiere sia tenuto a provederlo di tutte le cose necessarie infino a tanto che il Consiglio determini sopra il fatto suo
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se vogliano concedergli ò negargli misericordia, et se egli non conseguira la misericordia, segli concede faculta di poter andare liberamente dovunque piu gli piacera. E se alcuno non fusse Cavaliere del nostro ordine, et si mettesse l’habito della religione nostra, sia condennato in Galea perpetua.

18.34. DELL’OBBEDIENZA Capitolo XXXIIII.

Noi havemo detto di sopra piu volte, che nissuna cosa è ne piu utile, ne piu necessaria in qualunche congregatione che l’obbedienzia, senza la quale ciascuna compagnia tostamente si risolve. E percio ordiniamo, et commandiamo che tutti i Cavalieri nostri, e ciascuno d’essi qualunche si sieno, obbedischano a giusti et honesti precetti, et comandamenti del Granmaestro e di tutti i loro superiori. Onde se alcuno Cavaliere stando nel Convento non sarà obediente, come havemo detto, per la prima inobedienza, sottentri alla pena della settena, per la seconda deve soggiavere alla quarenta, et se sara tanto contumace, che ancora la terza volta non voglia obedire, privisi dell’habito, il che cosi si deve intendere, se gli sara posta querela dopo qualunche comandamento non adempiuto. E il medesimo vogliamo che s’osservi fuora del Convento, reservando però la pena della privatione sempre al Consiglio et al capitolo et se alcun Cavaliere non volesse obbedire al primo comandamento del Consiglio tosto, che sara certa l’inobbedienza, et ribellione sua, senza altra citatione, ammonitione, ò processo, sia privato dell’habito, se gia fra debito tempo dal di dell’intimatione del mandato, non producesse legittime et suffitienti cagioni dell’impedimento suo.

18.35. DE CATTIVI ADMINISTRATORI. Capitolo XXXV.

Tutti coloro, i quali per loro colpa, ò negligenza haranno deteriorate, et fatte peggiori, le Commende, le magioni o alcuni altri beni alla loro cura, et amministratione commessi, subito che detta deterioratione, o peggioramento sara chiaro, sieno privati delle Commende, dell’offitij, et d’ogni altra amministratione ad arbitrio del Consiglio secondo la qualita della negligentia, et mancamento, come Amministratori inutili, et dissipatori de nostri beni. Della medesima pena saranno puniti tutti coloro, che taglieranno le selve antiche, cioe i boschi ombrosi dove si va per diporto per starvi al fresco, se gia non facessino cio per riparatione della Commenda et delli edifitij, de quali hanno cura, et per honesto uso della Casa, dove habitano, il qual uso s’intende dell’arbori secchi, et che non producano frutto. Possono bene servirsi secondo il costume del Paese, et del luogo dove elle sono poste, di quelle selve, le quali rinascano, et rimettano, et si sogliono tagliare ogni tanti anni.

18.36. DELLA PENA DI COLORO CHE NON intervengono all’offitij Divini. Capitolo XXXVI.

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I nostri Cavalieri, i quali ne giorni delle feste non saranno presenti a gli offitii divini nella Chiesa del nostro Convento, et massimamente alla Messa grande, al vespro, et alle Processioni solenni, se non saranno legittimamente impediti, sottentrino alla pena dela settena. E quegli, che quando i di festivi si celebrino i divini offitij, saranno trovati à spasseggiare super le piaze, ò per le strade ò andare ingiù et insu per l’altre Chiese, sieno puniti di due settene.

18.37. CHE I CAVALIERI NE GIUDITII non si dichino villanie. Capitolo XXXVII.

Noi prohibimo di sopra et hora prohibimo di novo à tutti i Cavalieri nostri, che eglino nel litigare l’un’ con l’altro dinanzi al Gran Maestro et al Consiglio, ò in qualunche altro Tribunale del ordine nostro ò impresentia di qual si sieno Commissari, non dicano villanie l’un all’altro, ò si mordano con parole ingiuriose. Chi contrafara se l’ingiuria sara grave à dichiaratione del Consiglio, caggia dalla causa si fattamente, che esso fatto senza alcuna provatione, ò allegatione si dia la sententia in favore della parte avversa, à cui sara stata fatta l’ingiuria, et oltre cio sa racchiuso in carcere per quattro mesi, se l’ingiuria sarà leggiera per due solamente, et per maggior fermezza di tali Capitoli, et constitutioni. Noi COSIMO Medici Duca di Fiorenza et di Siena etc. Supplichiamo la Santita di Nostro Signore Papa Pio IIII che li voglia confirmare. Placet. I. Io. B. Card. S. Clementis.
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