Orazione funebre di Ferdinando I

Ferdinando (1549-1609), figlio del grande Cosimo I, salì al trono (1587) per caso, ma il suo governo non fu guidato dal caso bensì dalla sua sensibilità e intelligenza.

Nominato cardinale nel 1563, durante il suo soggiorno a Roma apprese le buone regole della saggezza politica, si addestrò al negotiar dolce et pieno di modestia che era proprio della corte romana ma si dedicò anche a qualche passatempo come la caccia e il gioco d’azzardo.

Fu nella liberalità, nella magnanimità e nell’impegno encomiabile, nelle avversità coraggioso, nella prosperità temperato, nella convivialità diligente e avveduto in ogni suo negozio[1].

Egli fu grave nel consultare, paziente nell’ascoltare, umano nel rispondere, savio nel giudicare, tardo nel condennare, discreto nel comandare e veloce nell’eseguire[2].

La sua lungimiranza unita alla sua acutezza e al suo equilibrio gli permise di compiere imprese vantaggiose non solo al granducato ma anche al proprio patrimonio personale ma quest’ultimo aspetto non diminuisce la statura di questo sovrano decisamente illuminato e direi anche l’ultimo notevole esponente granducale della dinastia medicea.

Questa suntuosa cappella ortogonale ideata dal Granduca Cosimo I, come è noto, fu realizzata proprio da Ferdinando, palese dimostrazione di quanto egli fosse seguace delle auguste tradizioni paterne ma anche tanto fermo nelle sue intenzioni al punto da prendere in mano il 6 agosto 1604 una pala dorata […] con la quale zappando il luogo, ove gettarsi doveva il fondamento, egli cavò alquanto di terra […] e si cominciò il lavoro del fondamentare come si legge in una sua biografia manoscritta[3].

Subito dopo il suo decesso l’ambasciatore veneziano Francesco Badoer definì Ferdinando un principe timido e ansioso ma di grandi pensieri e stimato […] di molta virtù e prudenza e che si maneggiasse nel governo con le sue vere maniere che sono necessarie all’arte del ben governare, la quale si trova con la prudenza, si diffende con la scienza e si conserva con l’esperienza.

Con la sua morte nel 1609 perde l’Italia un invittissimo Augusto, perde la Toscana un serenissimo Figliuolo, perde Firenze un amatissimo Padre. Era la vita di Ferdinando refrigerio d’Italia, spirito di Toscana, anima di Firenze come venne proclamato nell’orazione durante le sue esequie in S. Trinita[4].

Volgo dunque alla conclusione, poiché oggi si fa un uso smodato delle parole ma esse hanno valore e quindi non devono essere sprecate; ricordo soltanto che il passato ci ha lasciato una lezione profonda che non serve semplicemente per conservare o tramandare ai posteri, limitarsi infatti ad un’entusiastica ammirazione significherebbe tradire il senso stesso del messaggio che il passato ci ha affidato.

Tale lezione è invece indispensabile e utilissima per continuare a costruire il mondo e la civiltà umana facendo tesoro della storia e dei suoi personaggi e per avere sempre il coraggio di procedere innanzi accettando anche l’attuale sfida del terzo millennio.

Davide Baldi


[1] Liberamente tratto da Orazione di d. Crisostomo Talenti, monaco di Vallombrosa, nella morte del Sereniss. D. Ferdinando Medici Granduca di Toscana, recitata in S. Trinita nelle sue Essequie, In Firenze 1609, Appresso Cristofano Marescotti, p. 11.

[2] Orazione funerale di Carlo Bocchineri da lui recitata a dì 9 d’Aprile nel Duomo di Prato, nell’essequie di Don Ferdinando Medici, Granduca Terzo di Toscana […], In Siena 1609, Appresso Luca Bonetti, p. 23.

[3] Biblioteca Moreniana, Moreni 42, f. 90v.

[4] Orazione di d. Crisostomo Talenti cit., p. 18.

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