ARCANGIOLI – (12 luglio 1756). Cesare e fratelli. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche (gonfalonierato) [XL, 1].
ARCANGIOLI – (12 luglio 1756). Monsignor Donato e fratelli. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche (gonfalonierato) [XL, 2].
BACCI – (23 agosto 1756). Giovanni Jacopo. Si attestò il godimento del terzo e quarto dei quattro distinti gradi di nobiltà [XL, 3].
BACCI – (11 settembre 1793). Leopoldo di Tommaso e Niccola di Pietro, di Zenna (podesteria di Rassina). Si ammettono per aver dimostrato la discendenza dall’avo Nicola, già compreso nella nobiltà aretina di IV grado nel 1720 e promosso al III nel 1746 con decreto del Consiglio cittadino929 [LXVIII, 3].
929 Possedevano beni immobili nell’aretino, pur non avendovi domicilio.
BONAMICI – (17 gennaio 1757). Giovanni Francesco. Dimostrò il godimento del secondo grado di nobiltà930 [XL, 4].
930 Il comparente è impiegato col figlio nella Canova del Sale in qualità di scrivano, «senz’altro mestiere – cosí scrive il Laparelli – di arte vole o meccanica derogante a nobiltà».
BONCI – (17 gennaio 1757). Giovanni Battista di Fabiano. Dimostrò il godimento del secondo e terzo
grado di nobiltà931 [XL, 5]
931 Il comparente «vive in parte colle sue entrate ed in maggior parte colle sue industrie, essendo egli scrivano pubblico di questo paese».
BONCI – (17 gennaio 1757). Giovanni Battista di Antonio Fabrizio 932 [XL, 6].
932 Il comparente «vive miserabilmente» esercitando il mestiere di sarto. La famiglia è dello stesso stipite del casato iscritto nell’ins.5, in questa stessa filza.
CAGLIANI – (17 gennaio 1757). Stefano e figli. Si dimostrò il godimento del terzo e quarto grado di nobiltà933 [XL, 7].
933 Il comparente «possiede circa 1600 scudi di beni stabili, col frutto dei quali non possendo tirare avanti» è costretto a far lavorare il figlio come cassiere alle porte della città.
CAGLIANI – (17 gennaio 1757). Giovanni Maria. Dimostrò il godimento del terzo e quarto grado di nobiltà934 [XL, 8].
934 Stesso stipite della famiglia iscritta al precedente ins. 7, anche in questo caso si hanno gravi problemi economici. Il comparente non possedeva in proprio alcuno stabile, aveva esercitato anche il mestiere di sarto e «vive unitamente con i figlioli quasi per elemosina non avendo in proprio alcuno stabile».
CASINI – (8 maggio 1756). Antonio Filippo. Dimostrò il godimento del primo grado di nobiltà (gonfalonierato) e l’ammissione all’Ordine stefaniano per giustizia935 [XL, 9].
935 Aveva richiesto l’ascrizione al patriziato.
CELLESI – (17 gennaio 1757). Pier Antonio. Dimostrò il godimento del secondo grado di nobiltà936 [XL, 10].
936 Il comparente viveva della sua professione di medico.
CHERICI – (18 gennaio 1762). Orazio di Piero e Orazio di Francesco, cugini. Ottengono grazia granducale tramite diploma di nobiltà del 16 novembre 1761, approvato con rescritto del Consiglio di Stato e di Reggenza del 6 gennaio successivo937 [XL, 11].
937 Ci si dice originari dell’antico castello di Bibbiena, nel Casentino. In possesso della cittadinanza di Arezzo e di Prato.
936 Il comparente viveva della sua professione di medico.
CHERICI – (1° marzo 1773). Ascanio di Francesco, di Bibbiena. Fu graziato di diploma granducale di nobiltà da Pietro Leopoldo938 [XL, 12].
938 Ascanio è il fratello di Orazio, già annoverato nel precedente diploma di nobiltà e descritto alla classe nobile aretina dal 1762. Ma Ascanio era stato «per innavvertenza» dimenticato da quel diploma di grazia, quindi chiedeva di esserne compreso. Lo stesso Pompeo Neri chiede a Leopoldo, l’undici maggio 1772, che si provveda a fare giustizia. Si pagò una tassa di segreteria.
938 Ascanio è il fratello di Orazio, già annoverato nel precedente diploma di nobiltà e descritto alla classe nobile aretina dal 1762. Ma Ascanio era stato «per innavvertenza» dimenticato da quel diploma di grazia, quindi chiedeva di esserne compreso. Lo stesso Pompeo Neri chiede a Leopoldo, l’undici maggio 1772, che si provveda a fare giustizia. Si pagò una tassa di segreteria.
CICATTI – (23 agosto 1756). Bernardino. Dimostrò il godimento del quarto grado di nobiltà [XL, 13].
CIPOLLESCHI – (17 gennaio 1757). Francesco Vincenzo. Dimostrò il godimento del quarto, terzo e secondo di nobiltà939 [XL, 14].
939 Il comparente viveva ancora in seminario, data la sua giovane età, e non possedeva alcun stabile proprio per l’esiguità del patrimonio posseduto (poteva contare solo su mille scudi di entrate annue).
CORNACCHINI – (17 gennaio 1757). Ulisse, dimorante a Napoli. Dimostrò il godimento del terzo e quarto grado di nobiltà. Ammesso all’Ordine stefaniano per convocazione e fondazione di commenda940 [XL, 15].
940 Il commissario Laparelli non può testimoniare se il comparente viva con proprietà o piuttosto faccia mistura di arti deroganti lo stato nobiliare, essendo questi residente a Napoli.
CORSETTI – (12 luglio 1756). Santi, di Bibbiena, cavaliere stefaniano. Dimostrò il godimento del primo grado di nobiltà (gonfalonierato). Ammissione all’Ordine stefaniano per fondazione di commenda. Aveva chiesto l’ammissione al patriziato in virtù dell’articolo V della legge per la nobiltà del 1750941 [XL, 16].
941 Il comparente è capitano di una compagnia del Reggimento di Romagna. Si era inizialmente chiesto la descrizione alla classe del patriziato. Si allega anche una sentenza in contraddittorio giudizio espressa dal Magistrato dei Nove del 6 luglio 1712 di reintegrazione alla nobiltà di Arezzo di un discendente della famiglia Poltri, unita in matrimonio con un Corsetti nel 1565.
CORSI – (8 maggio 1793). Benedetto, di Anghiari. Già ammesso nei registri della nobiltà di San Sepolcro [LXVI, 3].
DONATI FIRMINI – (23 agosto 1756). Antonio Filippo. Dimostrò il godimento del quarto, terzo e secondo grado di nobiltà [XL, 17].
DUCCI – (4 marzo 1765). ). Pier Francesco, di Bibbiena. Ottenne grazia granducale di diploma di nobiltà nel 1764. Il comparente aveva presentato richiesta di ammissione all’Ordine stefaniano per mezzo della fondazione di una commenda di diecimila scudi, ma il Consiglio della Religione l’aveva rifiutato non ritenendo il suo patrimonio sufficiente a mantenere lo status nobiliare942 [XL, 18].
942 In realtà la questione dell’offerta del comparente, avanzata nel 1740, di fondare una commenda di padronato nell’Ordine di S. Stefano resta piuttosto oscura. Parrebbe infatti che il Ducci, dopo un primo rifiuto del Consiglio dei Dodici, avesse ripresentato nuovamente tutta una serie di documenti tesi ad attestare un patrimonio tale da convincere delle sue capacità a mantenersi conformemente a quanto richiesto a un cavaliere stefaniano. A questo punto però, «nulla ne seguì, perchè dal Consiglio non si procedè più avanti». Il Ducci, offesosi da quel comportamento, aveva ritirato i suoi documenti, riservandosi sempre aperta la possibilità di cominciare nuovamente il procedimento di fondazione.
DURANTI – (5 aprile 1756). Bartolomeo di Francesco. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche [XL, 19].
FONTANA – (25 novembre 1790). Ruberto e fratelli. Già ammessi all’Ordine stefaniano943 [LXV, 9].
943 I comparenti, oriundi dello Stato pontificio, già ammessi alla nobiltà della città di Bertinoro, furono descritti nei libri d’oro aretini in virtù dell’articolo XXI della legge del 1750 e come città più prossima al luogo di loro residenza.
FORZONI ACCOLTI – (27 dicembre 1756). Stefano e Giuseppe. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche fin dal XIV secolo, ma dal 1695 non avevano più fatto istanza per essere imborsati negli uffici cittadini944 [XL, 20].
944 Sono del casato Forzoni, ma pretendono di discendere dalla consorteria degli Accolti, come vorrebbero dimostrare in base ad una sentenza del Magistrato Supremo dell’undici gennaio 1695. Inizialmente ci si era presentati per la descrizione nella classe del patriziato. Richiesero l’ascrizione al patriziato.
FRANCESCHI – (9 luglio 1804). Auditore Giuseppe e nipoti. Rilevato il cospicuo patrimonio ed i parentadi nobili, benigno rescritto sovrano concesse la grazia dell’ascrizione945 [LXXIII,4].
945 Godendo della cittadinanza fiorentina, si ottenne anche la nobiltà della capitale.
GATTESCHI – (24 settembre 1770). Orazio, di Poppi. Ottenne grazia di diploma di nobiltà dal granduca Pietro Leopoldo946 [XLI, 1].
946 Pagò la tassa alla Comunità. Come discendente dallo stesso stipite della famiglia Gatteschi di Firenze, all’estinzione di questa ricevette un assai ricco fidecommesso in eredità.
GENTILI – (30 luglio 1759). Giovanni Giulio, di Santa Sofia nella Romagna fiorentina, podesteria di Galeata. Per l’impossibilità di allegare documenti familiari originali rimasti distrutti da un incendio, chiese ed ottenne grazia di diploma di nobiltà dal granduca nel 1759. [XLI, 2].
GIORGI – (5 aprile 1756). Cavaliere Sebastiano, di Monte San Savino, già ammesso all’Ordine stefaniano per fondazione di commenda dal 1693 [XLI, 3].
GOLFI – (5 aprile 1756). Francesco Antonio di Bartolomeo947. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche aretine [XLI, 4].
947 Famiglia originaria della Marca anconetana.
GRISOLINI o CRISSOLINI – (si ebbero due decreti, uno del 20 aprile 1761 e l’altro del 19 maggio 1786). Simone Domenico di Santa Sofia in Romagna. Allegò un diploma granducale concesso da Vienna nel 1754 con cui il comparente era dichiarato consigliere cesareo948 [XLI, 5].
948 La deputazione avanzò in realtà alcune perplessità sul valore costitutivo o meramente dichiarativo del detto diploma. Non si comprendeva perché questa famiglia avesse chiesto l’iscrizione alla classe dei nobili aretini, visto che era già in possesso di un diploma di grazia. Se in tal modo i Grisolini intendevano esser dichiarati nobili per giustizia in virtù di quel diploma stesso, non si sarebbero potuti accontentare senza la produzione dei documenti previsti dalla legge del 1750. Quanto poi a volersi basare sulle parole del diploma:«cum igitur relatum nobis sit Dominicum Grissolinium di Massa e Casalecchio a praecipuis in insula Scio familiis a pluribus retro saeculis nobilitate claris originem trahere», i deputati replicavano come quelle parole non significassero altro che «all’imperatore senza cognizione di causa, senza esame di documenti, senza relazione di giudice, fu narrato ed asserito che questa famiglia Grissolini veniva dalle principali famiglie di Scio. E non constando che siano stati per prova allegati documenti autentici, il riportato periodo di diploma si riduce ad una formula di cancelleria germanica».
GUADAGNI – (29 novembre 1782). Giovanni Mattia, di Monterchi. Ottenne grazia di diploma di nobiltà da Pietro Leopoldo nel 1782949 [XLI, 6].
949 Già in possesso della cittadinanza aretina e di numerosi beni posti nell’area rurale della città. Si avanzarono alcuni dubbi per l’esercizio della concia e del traffico dei guadi che era stato mantenuto da questa famiglia già da diversi anni:«Potrebbe fare ostacolo la consuetudine di attendere al mantenimento della concia e al lucroso traffico dei guadi, occupazioni che occupate per se stesse non sembrano combinabili[…], ma è da riflettersi in contrario che le predette negoziazioni non sono che regolate e dirette per mezzo di subalterni estranei, somministrandosi solamente dal supplicante e sua famiglia una remota soprintendenza e l’opportunità dei convenienti capitali».
LAURI – (23 maggio 1756). Tre rami: Giovanni Battista di Pierfrancesco e fratelli; Baccio di Lionetto e figli; Pierfrancesco di Lionetto di Settimio e fratelli. Allegarono attestato pubblico del godimento della nobiltà aretina [XLI, 7].
MASSI – (23 agosto 1756). Giovanni Battista e figli. Allegarono attestato pubblico della Cancelleriaaretina della loro nobiltà [XLI, 8]
MAURIZI – (25 luglio 1757). Leon Giovacchino. Dimostrò il godimento del primo onore pubblico cittadino [XLI, 9].
MAZZA – (17 gennaio 1757). Bernardino di Domenico. Allegò attestato pubblico di nobiltà [XLI, 10].
ONESTI – (12 luglio 1756). Antonio Maria, da Castiglion Fiorentino, gentiluomo aretino e patrizio ravennate. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche950 [XLI, 11].
950 Dimostrò il possesso della cittadinanza aretina fin dal 1586, del quarto grado di nobiltà dal 1693, del terzo grado dal 1701 e del gonfalonierato nel 1737.
ORLANDINI – (31 luglio 1758). Ruberto di Orlando, abitante nella Terra di Monteschi. Allegarono diploma di nobiltà del 1624 conferitogli dall’imperatore Ferdinando II. Ci si appellò all’articolo VI della legge sulla nobiltà del 1750951 [XLI, 12].
951 Prima di riconoscerlo un casato idoneo all’ascrizione, la deputazione volle comunque accertarsi del patrimoio del comparente e dei parentadi contratti.
PAGLICCI – (24 settembre 1770). Achille e fratelli, di Castiglion Fiorentino, conti per volontà del duca Francesco I di Parma e Piacenza. Ottennero grazia di diploma di nobiltà da Pietro Leopoldo nel 1770, a condizione del pagamento della consueta tassa e spese comunitative. Si attestarono i godimenti pubblici avuti fin dal XIV secolo e il possesso di un cospicuo patrimonio [XLI, 13].
PAGLICCI – (7 aprile 1802). Cammilla. Ottiene diploma di grazia, ramo trasversale dei Pagliacci già ammessi dal 1770952 [LXXI, 6].
PANZANI – (5 aprile 1756). Angiola di Giovanni Jacopo. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche dal 1654 (gonfalonierato) [XLI, 14].
PERELLI – (18 gennaio 1762). Zanobi e figli. Ottennero grazia granducale di diploma di nobiltà da Vienna nel 1761 [XLI, 15].
PESCARINI – (25 luglio 1757). Cavaliere Francesco Maria, già ammesso all’Ordine stefaniano come titolare di una commenda di padronato [XLI, 16].
PONTENANI – (23 agosto 1756). Bernardino e figli. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche dal 1562 (gonfalonierato e altri gradi nobili) [XLI, 17].
RICCI – (14 giugno 1756). Cavaliere Giuseppe. Già ammessi all’Ordine stefaniano come beneficiari della commenda Bruna di Arezzo [XLI, 18].
RICCIARDI – (14 giugno 1756). Cavaliere Giovanni del capitano Fabiano. Dimostrò l’esercizio del Magistrato Supremo aretino [XLI, 19].
ROMANELLI – (14 giugno 1756). Cavaliere Giovanni Battista del cavaliere Donato. Già ammessi all’Ordine stefaniano come titolari di commenda. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche (gonfalonierato) [XLI, 20].
ROSSI – (23 agosto 1756). Angiolo di Tommaso. Dimostrò il godimento del secondo grado di nobiltà953 [XLI, 21].
953 Attestò il possesso di un assai pingue patrimonio.
ROSSI – (1 maggio 1795). Proposto, Ippolito e nipoti, di Piantravigna. Diploma di grazia granducale di nobiltà aretina954 [LXIX, 13].
954 Come cittadini fiorentini, ottennero anche la nobiltà di Firenze. Parentadi nobili e patrimonio considerevole (80mila scudi in beni stabili).
ROSSI – (16 dicembre 1805). Tommaso, Luigi e Ugo, fratelli. Diploma di grazia sovrana di nobiltà (19 settembre 1805)955 [LXXIV, 7].
955 A loro favore: un patrimonio assai cospicuo di oltre 60mila scudi, il possesso della cittadinanza dal 1691 (come Rossi Moderni), la continuata parentela con famiglie nobili e il non aver mai esercitato arti vili o meccaniche.
TANCIANI – (4 settembre 1786). Pietro di Francesco. Già in possesso della nobiltà di Cortona, ma trasferitosi ad Arezzo nel 1764 aveva già riseduto per due volte come gonfaloniere. Pagò la tassa dei duecento scudi alla Comunità [XLI, 22].
TERI – (14 giugno 1756). Cavaliere Pompeo, già ammesso per commenda all’Ordine stefaniano956 [XLI, 23].
956 Famiglia oriunda di Castel di Salutio.
TIGRINI – (25 luglio 1757). Fabbrizio di Pier Francesco. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche [XLI, 24].
TRADITI – (23 agosto 1756) Giuseppe di Francesco. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche di Arezzo e dei principali onori civici a Portoferraio. I figli del comparente, Giuseppe Antonio e Giovanni Battista, ottennero l’ascrizione al patriziato aretino con decreto del 29 agosto 1792, attestando la residenza al priorato fin da un loro avo nel 1572 [XLI, 25].
VANTINI – (14 giugno 1756). Ferdinando, fratelli e figli. Già ammessi all’Ordine stefaniano come fondatori di commenda. Originari di Portoferraio. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche (gonfalonierato) [XLI, 26].
VIVARELLI – (17 gennaio 1757). Francesco Antonio e figli. Residenze nelle maggiori magistrature pubbliche [XLI, 27].
VIVARELLI – (15 gennaio 1790 e alla nobiltà senese con decreto del 15 giugno 1791). Giovanni Battista e fratelli. Famiglia originaria di Magliano, località dello Stato senese. Si chiese il riconoscimento della propria nobiltà come collaterali di un altro ramo già ammesso alla nobiltà di Arezzo dal 1757 e come entrambi discendenti dal casato originario aggregato alla stessa nobiltà aretina nel 1667 per deliberazione del Collegio e del consiglio generale [LXIV, 14]. Ottennero anche il riconoscimento della nobiltà senese, con decreto del 15 luglio 1791 [LXVI, 15].
VIVARELLI FABBRI – (7 dicembre 1795). Abate Pietro Paolo e nipoti, e la consorte di uno di questi ultimi. Diploma di nobiltà per grazia di Ferdinando III957 [LXIX, 15].
957 Il loro patrimonio oltrepassava i 2000 scudi annui di entrata, parentadi nobili, nessun esercizio di arti deroganti la nobiltà.