I DIRITTI DI SUCCESSIONE IN TOSCANA

di M. de Saint Prest (1711)

Memoria riguardante i diversi diritti che vari principi e altri potrebbero pretendere sugli Stati posseduti da Cosimo III, Granduca di Toscana, nell’eventualità che lui, il figlio Principe e la figlia Elettrice Palatina morissero senza discendenza.

La memoria è stata pubblicata a cura di Édouard Driault (*1) in “Raccolta delle istruzioni date agli ambasciatori e ministri di Francia dai trattati di Westfalia fino alla Rivoluzione Francese, Volume XIX (Firenze, Modena, Genova) pubblicato a Parigi nel 1912 dalla Libreria Félix Alcan, 108, boulevard Saint-Germain, sotto gli auspici della Commissione degli Archivi Diplomatici presso il Ministero degli Affari Esteri- (Tutti i diritti di traduzione e riproduzione riservati).

Questa memoria fu presentata e discussa durante il trattato di Londra del 1718 e fu determinante in quell’occasione per attribuire alla Spagna la successione eventuale di Toscana.

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Jean-Yves de Saint-Prest (morto nel 1720) è stato un archivista francese. Fu nominato direttore del deposito degli archivi del Ministero degli Affari Esteri nel 1682, nonché direttore dell’Accademia Politica creata all’interno di tale ministero alla sua fondazione, nel 1710. Fu anche segretario degli ordini di Maria Francesca di Borbone, duchessa d’Orléans, moglie del Reggente Filippo II di Orleans che fu reggente di Francia al tempo della minorità di Luigi XV.

È autore dell’opera intitolata: Storia dei trattati di pace e di altre negoziazioni del XVII secolo, dalla pace di Vervins alla pace di Nimega: nella quale si espongono l’origine delle pretese antiche e moderne di tutte le potenze d’Europa e un’analisi accurata delle loro negoziazioni, sia pubbliche che private.
Opera utile ai ministri e negoziatori pubblici, e che può servire da introduzione al corpus diplomatico, o raccolta dei trattati di pace, ecc. (Pubblicata ad Amsterdam nel 1725, in due volumi in folio). Questa importante opera riunisce il testo di tutti i trattati conclusi tra le potenze europee dal 1598 al 1678.


Nota storica sulla memoria di Yves de Saint-Prest

La memoria di Yves de Saint-Prest sulla successione al Granducato di Toscana, oggi conservata presso l’Archivio Diplomatico francese, fu certamente presentata e discussa durante i negoziati del Trattato di Londra del 1718. Questo accordo, firmato tra Francia, Gran Bretagna, Olanda e Austria, con l’adesione successiva della Spagna, ebbe come scopo di ristabilire l’equilibrio europeo dopo la Guerra di Successione spagnola e di prevenire nuove tensioni nella penisola italiana.

Il trattato riconobbe a don Carlos di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese, la successione eventuale ai Ducati di Parma e Piacenza e al Granducato di Toscana, qualora si estinguesse la linea medicea regnante. In questo contesto, la memoria di Saint-Prest fu determinante nel dibattito diplomatico, poiché offriva una ricostruzione documentata dei diritti dinastici e delle possibili soluzioni per la successione, ed ebbe un peso decisivo nell’orientare la decisione a favore della Spagna.

Le conseguenze furono di vasta portata: la questione toscana divenne parte integrante del più ampio gioco di potere europeo, aprendo la strada all’intervento diretto delle grandi potenze nella successione e segnando l’inizio della fine dell’indipendenza politica del Granducato.

Questa memoria resta oggi la miglior prova storica esistente del riconoscimento internazionale dei diritti di successione al trono goduti fin da allora dalla linea medicea di Ottajano, designata come ramo ereditario legittimo della Casa de’ Medici in caso di estinzione della linea regnante fiorentina.

-TRADUZIONE DELL’OPERA-

PRIMA PARTE

Per comprendere bene il fondamento e la validità, o l’invalidità, dei diritti che potrebbero essere invocati – dal Papa, dall’Imperatore, dai re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e di Sicilia, dai duchi di Lorena e di Parma, dai membri superstiti della Casa de’ Medici (tra cui in particolare i principi di Ottajano), e persino dai fiorentini, dai pisani e dai senesi repubblicani – qualora il Granduca, suo figlio e sua figlia morissero senza eredi, è necessario ricordare l’antico Stato di Toscana: come vi si stabilirono le Repubbliche di Firenze, Pisa e Siena; come esse si unirono; come i Medici ottennero la principale autorità a Firenze; perché ne furono due volte cacciati e a quali condizioni furono altrettante volte richiamati; come la dignità di capo della Repubblica fiorentina fu loro attribuita da una decisione arbitrale dell’imperatore Carlo V; come lo Stato di Siena fu concesso in feudo ai duchi di Firenze da Filippo II, re di Spagna; le diverse ramificazioni della loro Casa; la successione dei Granduchi di Toscana; e gli Stati che il Granduca possiede attualmente, insieme con i membri superstiti di questa famiglia e i principi che ne discendono per via femminile.

Questo è ciò che si tenterà di esporre in poche parole nella prima parte di questo breve scritto, che sarà in sostanza una storia destinata a servire da fondamento per comprendere le ragioni che verosimilmente saranno addotte da tutti coloro che potranno avanzare pretese sugli Stati appartenenti alla successione dei Granduchi di Toscana.

(*1) nota del curatore Eduard Driault “Corrispondenza di Toscana, volume LIX, dal foglio 182 al 221. – Nel momento in cui si apre concretamente la questione della successione di Toscana, ci è sembrato interessante riprodurre una Memoria redatta in quell’occasione, nel 1717, in cui tale questione viene presentata, con una certa lunghezza all’inizio, ma nell’insieme con grande chiarezza. Vi si troverà, peraltro, una panoramica utile delle relazioni generali tra la Francia e la Toscana a partire dall’inizio del XVI secolo”.


ARTICOLO I

Della antica Etruria o Toscana

L’antica Etruria era una vasta provincia d’Italia, che comprendeva tutto il territorio situato tra il Tevere, gli Appennini, il mar Tirreno e il fiume Magra (allora chiamato Macra), che la separava dalla Liguria. Essa era anche chiamata Tuscia, da cui deriva il nome attuale di Toscana.

In origine questo paese ebbe re propri, tra cui Porsenna, che visse al tempo in cui Tarquinio il Superbo fu cacciato da Roma. Successivamente passò sotto il dominio dei Romani, poi sotto quello degli Eruli, dei Goti e dei Longobardi, che dominarono in Italia dopo la decadenza dell’Impero romano; quindi sotto Carlo Magno, che distrusse la potenza dei Longobardi; sotto Ludovico il Pio e i suoi discendenti, fino a quando Carlo il Grosso fu privato di tutti i suoi Stati; quindi sotto i Berengari e altri principi italiani che si fecero conferire dai Papi il titolo di imperatori; infine sotto Ottone il Grande, re di Germania, che si impadronì di quasi tutta l’Italia e al quale papa Giovanni XII concesse il titolo di imperatore, trasmesso poi ai suoi discendenti e successori, re di Germania.

Poiché gli imperatori risiedevano ordinariamente in Germania, essi stabilirono in Italia – come negli altri territori della loro dominazione – duchi, conti e marchesi, che inizialmente non erano altro che governatori a tempo determinato, nominati a piacere degli imperatori. Ma in seguito, come avvenne in Francia e in Germania, questi governatori si impossessarono di gran parte dei diritti regali nelle province loro affidate e resero addirittura ereditarie le loro dignità, trasmettendole ai figli o, in mancanza, alle figlie, e disponendo dei loro Stati per testamento come se fossero beni patrimoniali.

Vi furono, tra gli altri, marchesi d’Etruria della Casa d’Este. Il primo fu Tedaldo, figlio di Azzo, conte o marchese d’Este, al quale l’imperatore Ottone II concesse il marchesato d’Etruria in considerazione del matrimonio contratto con una sua figlia naturale. Suo figlio ed erede, Bonifacio, sposò Beatrice, figlia dell’imperatore Corrado II, e ne ebbe una figlia, Matilde, che gli succedette in tutti gli Stati. Non avendo avuto figli nonostante due matrimoni, ella lasciò tutti i suoi beni alla Chiesa di Roma. Tuttavia, di tale eredità, la Chiesa non poté effettivamente godere che della parte di Toscana più vicina al Tevere e all’occidente, oggi chiamata Patrimonio di San Pietro, poiché l’imperatore Enrico IV conservò il resto della Toscana, sia in virtù della sua dignità imperiale, sia come cugino e parente più prossimo di Matilde, erede legittimo.


ARTICOLO II

Come si formarono le Repubbliche di Firenze e delle altre città di Toscana

Le divisioni quasi continue tra i Papi e gli Imperatori – spesso scomunicati dai primi – provocarono grandi spaccature in tutte le città d’Italia, i cui abitanti si divisero in due fazioni mortali nemiche l’una dell’altra: coloro che parteggiavano per i Papi furono chiamati Guelfi, mentre coloro che sostenevano gli Imperatori furono detti Ghibellini.

Poiché i papi Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV non solo scomunicarono l’imperatore Federico II, ma lo dichiararono decaduto dalla dignità imperiale, liberarono i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà e li incitarono a sollevarsi contro di lui, i Guelfi, che in Italia erano i più forti, insorsero ovunque, cacciarono gli ufficiali e i Ghibellini da gran parte delle città, le quali non riconobbero più la sovranità imperiale.

Alcune di queste città si consegnarono alla protezione di principi e signori vicini, altre – specialmente quelle di Toscana – si eressero in Repubbliche, elessero podestà e magistrati per governarle per un tempo limitato, e si allearono fra loro per difendersi dall’Imperatore, che fece ogni sforzo per ricondurle all’obbedienza ma invano, e morì nel suo regno di Napoli nel 1250.

Le cose rimasero così in una sorta di interregno o di scisma dell’Impero, che durò dalla morte di Federico II fino all’elezione di Rodolfo d’Asburgo (1273). Molti lo esortarono a scendere in Italia con un esercito per ridurre queste città, ma temendo che l’impresa fallisse – soprattutto a causa dell’opposizione dei Papi – preferì inviare solo il suo cancelliere per ricevere in suo nome la fede e l’omaggio delle città che dipendevano dall’Impero. Poiché esse rifiutarono, l’Imperatore non ritenne opportuno costringerle con la forza e scelse piuttosto di vendere privilegi e immunità a quelle che accettarono di pagare.

Così, in Toscana: Firenze gli diede seimila scudi, Lucca dodicimila, ottenendo privilegi di cui godettero in seguito. Pisa e Siena non parvero aver versato denaro, ma godettero comunque di piena libertà, così come Arezzo, Pistoia, Volterra e molte altre città toscane.


ARTICOLO III

Del governo della Repubblica di Firenze

Non è necessario, per il mio scopo, riportare in dettaglio tutte le rivoluzioni e i mutamenti che successivamente si verificarono nella forma di governo della Repubblica di Firenze. Basterà ricordare che, poiché gran parte degli abitanti era guelfa e altri ghibellina, e poiché vi erano nobili, mercanti e artigiani, vi furono continue divisioni.

I Ghibellini cacciarono i Guelfi da Firenze, ponendola sotto Manfredi, re di Napoli; poi furono essi stessi cacciati. Il Papa, per rafforzare i Guelfi, nominò Carlo d’Angiò – che aveva conquistato il regno di Napoli – vicario imperiale in Toscana. Successivamente i Ghibellini furono richiamati e fu ristabilita la pace, ma presto nacquero nuove discordie: i nobili volevano monopolizzare il governo ed essere liberi dalle leggi, mentre i borghesi riuscirono infine a escluderli del tutto, salvo i tentativi dei nobili di rientrare facendosi ammettere tra i mercanti. Anche gli artigiani rivendicarono la loro parte di governo e, dopo lunghe contese e spargimenti di sangue, riuscirono a ottenerla.

Dopo molti cambiamenti, la forma di governo che durò più a lungo fu quella della Signoria, composta da nove borghesi detti inizialmente Priori delle Arti e poi Signori, eletti da tutti i cittadini e in carica solo due mesi. Essi sceglievano due capi: il Capitano del Popolo e il Gonfaloniere di Giustizia, custode dello stendardo della Repubblica e comandante di quattromila uomini arruolati in varie compagnie. Con questi soldati e lo stendardo, egli eseguiva gli ordini dei Signori o del Capitano, e divenne in seguito il primo ufficiale della Repubblica.

Per le decisioni più importanti, i Signori convocavano l’assemblea dei cittadini. Fu istituito anche un Senato di ottanta membri.


ARTICOLO IV

Origine e primi autori della Casa de’ Medici

Secondo l’opinione comune, già intorno all’anno 1100 i Medici erano signori del castello di Mugello, presso gli Appennini, nel territorio fiorentino. Trasferirono poi la loro residenza a Firenze, dove entrarono a far parte delle migliori famiglie popolari. Durante l’esistenza della Repubblica, la famiglia diede tre Gonfalonieri di Giustizia e circa cento Priori delle Arti.

Tra i primi: Ardingo de’ Medici, Signore nel 1291, 1295, 1307, 1313 e 1316, Gonfaloniere nel 1292 e 1307; suo fratello Guccio fu Signore nel 1298, 1304, 1308 e 1315, e Gonfaloniere nel 1298.

Averardo II de’ Medici, cugino di Ardingo e Guccio, fu Signore nel 1309 e Gonfaloniere nel 1314. Ebbe due figli: Chiarissimo, capostipite della linea principale, e Giovenco (Juvencus), fondatore della linea da cui discesero i Medici rimasti a Firenze e i principi di Ottajano stabilitisi a Napoli, di cui si parlerà nell’Articolo XV.

Chiarissimo fu padre di Averardo III, nonno di Giovanni di Bicci de’ Medici, stimatissimo dal popolo per la sua liberalità, modestia e cura del bene comune. Giovanni fu Signore nel 1402, 1408 e 1411, Gonfaloniere nel 1421. Morì nel 1428 lasciando due figli: Cosimo il Vecchio, detto il Padre della Patria, e Lorenzo l’Antico.

Poiché i discendenti di Cosimo il Vecchio esercitarono per primi la suprema autorità a Firenze, ma si estinsero oltre centottant’anni fa; e poiché l’autorità passò poi alla linea di Lorenzo l’Antico, che sembra oggi vicina all’estinzione; e poiché, se ciò avvenisse, non resterebbero che i discendenti di Giovenco, parlerò di queste tre linee nell’ordine necessario per chiarire le questioni di cui ci occupiamo.


ARTICOLO V

I Signori della linea di Cosimo il Vecchio, Padre della Patria, fino alla prima espulsione dei Medici da Firenze

Cosimo il Vecchio accumulò immense ricchezze con il commercio internazionale, conquistò i cuori dei cittadini con la sua liberalità, le elemosine, la costruzione di chiese e ospedali. Il suo potere e favore popolare gli attirarono invidie: fu bandito con il fratello Lorenzo nel 1433, ma l’anno dopo fu richiamato e accolto con entusiasmo, ricevendo il titolo onorifico di Padre della Patria.

Fu Gonfaloniere nel 1434, 1438 e 1445; anche senza cariche, esercitò tanta autorità che nessuno otteneva magistrature senza il suo consenso e tutte le grandi decisioni si prendevano a casa sua prima di giungere al Consiglio. Così governò fino alla morte (1464).

Suo figlio Piero I de’ Medici mantenne il potere grazie agli amici della famiglia, malgrado le sue debolezze fisiche e caratteriali. Morì nel 1472 lasciando due figli: Lorenzo e Giuliano.

Lorenzo il Magnifico, celebre protettore delle lettere, succedette al padre e fu amato dal popolo e stimato dai principi stranieri. Solo papa Sisto IV, malcontento di lui, favorì la congiura dei Pazzi (1478). Durante la messa del 26 aprile, Giuliano fu assassinato, Lorenzo ferito ma salvato. Il popolo sterminò quasi tutti i congiurati, impiccando anche l’arcivescovo di Pisa. Il cardinale Riarìo, presente, rischiò la vita ma fu salvato dai magistrati.

Giuliano lasciò un figlio postumo, Giulio (poi papa Clemente VII).

Papa Sisto IV, fingendo di vendicare l’arresto del nipote cardinale e l’uccisione dell’arcivescovo, scomunicò i fiorentini e spinse il re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, a far loro guerra. Firenze allora creò per Lorenzo una nuova magistratura straordinaria, con poteri quasi sovrani: vita e morte sui cittadini, nomina degli ufficiali, guarnigioni, imposte. Egli usò tale potere con moderazione, fece pace con il Papa e il re, e governò fino alla morte (1492).

Suo figlio Piero II de’ Medici, arrogante e inesperto, commise l’errore di consegnare senza consenso del popolo varie fortezze a Carlo VIII di Francia, che marciava su Napoli. Ciò indignò i fiorentini, già irritati dal suo carattere; la Signoria lo condannò ribelle (9 novembre 1494), confiscò i beni, e restaurò la piena libertà repubblicana. Così, per l’imprudenza di un giovane, i Medici persero la quasi sovranità che avevano conservato per sessant’anni.

ARTICOLO VI

Ristabilimento dei Medici a Firenze e loro seconda espulsione

I fiorentini ristabilirono nella loro Repubblica il governo popolare, come era stato in passato; elessero Soderini a Gonfaloniere a vita e mostrarono tanta riconoscenza al re Carlo che, quando l’imperatore Massimiliano, Ferdinando re d’Aragona, i veneziani e Ludovico Sforza duca di Milano si coalizzarono poco dopo contro di lui, essi furono i soli italiani a offrirsi di restare nella sua alleanza. Ma il re rifiutò, restituì loro le fortezze che Piero de’ Medici gli aveva consegnato, e nel contempo confermò la libertà concessa ai pisani.

Luigi XII si alleò nel 1499 con i fiorentini, i quali promisero di aiutarlo a conquistare il Regno di Napoli, purché egli li aiutasse a ricondurre Pisa all’obbedienza. L’anno seguente fornì loro alcune truppe per soggiogare la città, cosa che allora non riuscì. Continuò tuttavia a mostrare grande favore verso Firenze, tanto da opporsi, nel 1502, alla lega che vari signori italiani avevano formato per rimettere Piero de’ Medici alla signoria di Firenze.

Piero de’ Medici, dopo dieci anni d’esilio, si arruolò nell’esercito del re di Francia (Luigi XII) per cercare di guadagnarne le grazie; trovandosi nel 1504 alla battaglia presso il Garigliano, dove i francesi furono sconfitti, cadde e annegò nel fiume. Lasciò un figlio, Lorenzo.

I fiorentini rimasero alleati del re Luigi XII e, anche quando papa Giulio II si ritirò dalla Lega di Cambrai (stretta con quel re, con l’imperatore Massimiliano e con Ferdinando d’Aragona contro Venezia) e fece invece una nuova lega “sacra” con Venezia, lo stesso imperatore e il re Ferdinando contro i francesi, i fiorentini — pur sollecitati dal papa a entrarvi — non solo rifiutarono, ma consentirono che il concilio generale convocato da Luigi XII per deporre Giulio II si tenesse a Pisa (di cui si erano impadroniti nel 1509). Giulio II, fortemente irritato con Firenze, quando i francesi furono cacciati d’Italia nel 1512, convinse gli alleati a muoverle guerra per costringerla a ristabilire i Medici nel governo della Repubblica.

Raimondo de Cardona, viceré di Napoli per il re Ferdinando, avanzò quindi con l’esercito del suo sovrano e delle potenze alleate e fece dichiarare ai fiorentini che l’intenzione della lega non era di privare la Repubblica della sua libertà e del suo dominio, ma di deporre il Gonfaloniere Soderini, del tutto devoto alla Francia, e di permettere ai Medici di rientrare in patria non come capi del governo — come lo erano stati i loro antenati — bensì come privati, soggetti alle leggi e ai magistrati come gli altri cittadini. I fiorentini acconsentirono inizialmente a ricevere i Medici in questo modo e rifiutarono di deporre il Gonfaloniere; in seguito però convennero di deporlo e di ammettere i Medici e i loro seguaci a vivere come privati, con facoltà di riscattare entro un certo termine i beni confiscati e venduti, rifondendo agli acquirenti prezzo e migliorie; inoltre Firenze entrò nella lega.

L’accordo fu concluso il 31 agosto 1512. Ma il giorno dopo, il cardinale de’ Medici entrò in Firenze con il fratello Giuliano e molti ufficiali e soldati; fece prendere le armi, assalire e occupare Palazzo della Signoria. Quindi Giuliano costrinse il nuovo Gonfaloniere a convocare il popolo nella piazza del Palazzo, dove i soldati obbligarono i presenti a emanare un atto con cui il popolo trasferiva tutta l’autorità a cinquanta uomini nominati dal cardinale de’ Medici. Questi ordinarono che la forma di governo fosse ristabilita allo stato anteriore al 1494; i Medici, posta una guardia armata nel Palazzo, ripresero la stessa autorità di un tempo ed esercitarono un potere più arbitrario e sovrano di quanto avesse fatto il loro padre.

Morto papa Giulio II nel 1513, fu eletto al soglio il cardinale de’ Medici con il nome di Leone X. Subito dopo promosse al cardinalato Giulio de’ Medici, figlio del defunto zio Giuliano (allora cavaliere di San Giovanni). Giuliano de’ Medici, fratello del papa, governò Firenze con prudenza e mitezza, e morì nel 1516 senza figli dalla moglie Filiberta di Savoia, duchessa di Nemours (figlia di Filippo duca di Savoia e zia del re Francesco I). Lasciò un figlio naturale, Ippolito, poi cardinale, che però morì giovane. Leone X sostituì a Giuliano il nipote Lorenzo (figlio di Piero II) nel governo della Repubblica e nel 1516 lo investì del ducato di Urbino, sottratto a Francesco Maria della Rovere, che però rientrò con le armi e lo difese contro Lorenzo. Per le spese di guerra Lorenzo trasse dai fiorentini oltre 500.000 scudi. Sposò Madeleine de La Tour d’Auvergne (figlia di Giovanni, conte d’Alvernia e di Boulogne), che morì il 19 aprile 1519, quindici giorni dopo aver dato alla luce Caterina de’ Medici. Lorenzo morì sei giorni più tardi, lasciando, secondo l’opinione più comune, anche un figlio naturale, Alessandro (nato nel 1510), che alcuni autori vollero attribuire a Clemente VII quando era ancora cavaliere di San Giovanni.

Papa Leone X, alleatosi in quel torno di tempo con i nemici del re Francesco I per cacciarlo dall’Italia (come infatti avvenne nel 1521), trasse da Firenze oltre 500.000 scudi per le spese di guerra; morì nello stesso anno. Gli succedette Adriano VI, morto nel 1523.

Giulio, cardinale de’ Medici, aspirando al papato, ottenne dai fiorentini 300.000 scudi da distribuire ai generali dell’imperatore Carlo V e al viceré di Napoli, per guadagnarsene il favore; fu quindi eletto papa con il nome di Clemente VII, e pose il cardinale di Cortona a governare Firenze in suo nome.

Dopo la battaglia di Pavia (1525), che vide fatto prigioniero il re Francesco I, costretto a Madrid a cedere il ducato di Borgogna e a consegnare i due figli maggiori come ostaggi — trattato contro cui aveva protestato prima di acconsentire — papa Clemente VII, temendo la potenza eccessiva dell’Imperatore, concluse nel 1526 a Cognac con quel re, con Venezia e con Francesco Sforza duca di Milano una Lega (detta “Santa”), per ottenere il reintegro dello Sforza nel ducato di Milano e la liberazione dei figli del re dietro congruo riscatto, senza obbligo per Francesco di cedere a Carlo la Borgogna in piena sovranità (cosa che non era in suo potere).

I fiorentini non furono nominati nel trattato, temendo danni al loro commercio; vi si stabilì soltanto che i confederati avrebbero mantenuto la famiglia de’ Medici — cioè gli eredi del papa — nella primazia e dignità di antica data nella Repubblica di Firenze, e che Sua Santità prometteva che la Repubblica non avrebbe fatto nulla contro gli interessi della Santa Lega, anzi sarebbe stata obbedientissima al papa. Con articolo separato si aggiunse che Firenze sarebbe stata trattata dai confederati con pari favore come se fosse parte contraente. Il papa levò da Firenze truppe e 600.000 scudi per sostenere la guerra, che gli riuscì male: Roma fu presa d’assalto il 6 maggio 1527 dalle truppe imperiali comandate dal conestabile di Borbone, e il papa fu costretto a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo, dove fu assediato.

Alla notizia, il cardinale di Cortona, preso dal terrore, decise di lasciare Firenze; convocati i cittadini il 16 maggio, dichiarò di rimettere loro la libera amministrazione della Repubblica, a condizione che Alessandro e Ippolito de’ Medici, pronipoti del papa, potessero restare a Firenze come privati e che vi fosse amnistia per il passato. Si ritirò poi a Lucca con i due giovani. I fiorentini restaurarono il governo popolare, elessero un Gonfaloniere e, irritatissimi verso i Medici — i cui governanti avevano esatto somme enormi e commesso ogni sorta di violenze — colsero l’occasione per vendicarsi e riacquistare la libertà: perseguitarono i cittadini amici dei Medici, cancellarono gli stemmi posti sugli edifici pubblici, distrussero le statue di Leone X e Clemente VII nella chiesa dell’Annunziata e, malgrado i tentativi del Gonfaloniere di frenare gli eccessi, fecero quanto ritenevano più sgradito a Clemente VII.


ARTICOLO VII

La Repubblica di Firenze costretta a sottomettersi all’arbitrato dell’imperatore Carlo V sulla forma del suo governo

Nel giugno 1529 papa Clemente VII concluse la pace di Barcellona con Carlo V, ottenendo, tra l’altro, che l’Imperatore desse in matrimonio Margherita d’Austria, sua figlia naturale (allora di sei o sette anni), ad Alessandro de’ Medici, suo pronipote, e che, in considerazione di ciò, lo ristabilisse in Firenze con la stessa autorità che i suoi antenati vi avevano esercitato prima d’esserne stati cacciati.

Con la pace di Cambrai (luglio 1529) tra l’Imperatore e Francesco I, si stabilì inoltre che il re di Francia si adoperasse perché la comunità di Firenze si accomodasse con il papa entro quattro mesi dalla ratifica; solo a tale condizione sarebbe stata compresa nella pace.

Veneziani e Francesco Sforza fecero anch’essi poco dopo la pace con l’Imperatore a condizioni ragionevoli; soltanto i fiorentini, a causa dell’impegno preso dall’Imperatore con il papa, non poterono ottenerla conservando la libertà come desideravano. Decisi a difenderla fino all’estremo, l’Imperatore li dichiarò ribelli, li privò di tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori e, dopo aver preso le piazze dello Stato fiorentino, il generale Filiberto di Chalons, principe d’Orange, cinse d’assedio Firenze, dove fu ucciso.

Gli succedette al comando Ferrante (Ferrand) Gonzaga, governatore del ducato di Milano, che proseguì l’assedio con tale vigore che i fiorentini, dopo dieci mesi, furono costretti a inviare quattro ambasciatori a Gonzaga. Il 10 agosto 1530 conclusero con il generale imperiale e con Bartolomeo Valori, commissario apostolico, una capitolazione per cui, tra l’altro, il papa — quale capo della casa de’ Medici — e la Repubblica di Firenze conferivano all’Imperatore, per forma di compromesso e arbitrato, il potere di fissare, entro tre mesi, la forma di governo da stabilire nella Repubblica, salva la libertà e l’uso delle antiche leggi. Nell’attesa del responso imperiale, il commissario apostolico, secondo consuetudine, fece adunare il popolo in piazza della Signoria e lo indusse a nominare dodici uomini legati alla casa de’ Medici, con potere di fissare la forma di governo a loro piacimento; i dodici ristabilirono l’assetto anteriore al 1527.


ARTICOLO VIII

Decreto dell’imperatore Carlo V sull’assetto del governo della Repubblica di Firenze

Poiché il decreto arbitrale emanato dall’Imperatore in conseguenza della capitolazione è il titolo principale su cui si fonda il diritto della casa de’ Medici — e in base al quale sembra debba regolarsi la successione — è necessario riportarne per esteso le clausole, come in una fedele traduzione.

L’Imperatore attese oltre nove mesi prima di pubblicarlo, per il tempo occorso a concertare le clausole con il papa; ma poiché la capitolazione di Firenze prevedeva che fosse emanato entro tre mesi, fu datato come reso il 28 ottobre 1530 ad Augusta, durante la Dieta in cui i principi dell’Impero presentarono la Confessione di fede luterana.

L’Imperatore espose innanzitutto che, venuto in Italia per ristabilirvi la pace, solo Firenze, dopo aver preso le armi contro di lui e contro l’Impero e aver attaccato il suo Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa (di cui egli era difensore), aveva rifiutato di rientrare nel dovere, chiudendo le porte a lui e alle sue truppe, benché egli si fosse presentato non per rovinarla ma per salvarla. Per questo aveva ordinato l’assedio fino al pentimento e alla sottomissione. Resasi la città, a condizione che egli potesse disporre a suo piacere della forma del governo, avrebbe potuto legittimamente — per le ragioni dette — privarla di tutti i privilegi concessi dai precedenti imperatori e disporre del suo Stato come devoluto a lui e all’Impero. Tuttavia, volendo usare clemenza e tenendo conto delle intercessioni del Sommo Pontefice Clemente VII, che aveva a cuore la salvezza, la pace e la libertà della città, egli, di sua propria iniziativa, certa scienza e deliberato proposito, con il consiglio di vari conti, baroni e signori dell’Impero e in pienezza di potestà imperiale, rimetteva e perdonava alla Repubblica di Firenze ogni colpa contro di lui e contro l’Impero, e ordinava che la Repubblica, i suoi cittadini, abitanti e sudditi godessero di tutti i privilegi, diritti, esenzioni e libertà in tutto l’Impero e altrove. Inoltre, per non negar nulla al Papa e per far conoscere ai fiorentini il debito che avevano verso Sua Santità, ratificava e confermava tutti i privilegi e diritti concessi dai precedenti imperatori, di cui la Repubblica godeva prima di sottrarsi alla fedeltà dovuta all’Impero; e accoglieva la Repubblica, con il governo che stava per stabilirvi, sotto la sua protezione e quella dell’Impero.

Aggiunse che, per conservare in perpetuo libertà, pace e tranquillità della Repubblica, così che rimanesse per sempre sotto la sua fedeltà e quella dell’Impero, e in forza sia della dignità imperiale sia della convenzione con Ferrante Gonzaga al momento della resa, stabiliva la forma di governo: considerato che Firenze e molte altre repubbliche erano state meglio e più felicemente governate sotto la guida di un solo magistrato con la responsabilità principale, piuttosto che da magistrati popolari; e che, finché la illustre famiglia de’ Medici — a lungo e con ragione fiorita nella Repubblica — ebbe il principale governo, gli affari pubblici e privati prosperarono e il territorio e la dignità crebbero; mentre, quando per malizia e invidia dei nemici fu cacciata e il potere passò alla fazione popolare, allora — come mostrato dall’ultima calamità e dal saccheggio del territorio — gli affari caddero in rovina e la città fu ridotta a tale miseria che, senza la clemenza del Papa e dell’Imperatore, avrebbe perduto dominio e libertà: perciò, volendo provvedere a salvezza, libertà, pace e tranquillità della Repubblica, e insieme salvaguardare la dignità imperiale e dell’Impero, affinché il potere non tornasse alla fazione popolare e il dominio e la libertà non fossero in pericolo né oppressi, ordinava, dichiarava e comandava quanto segue:

Che in avvenire e in perpetuo i magistrati della Repubblica fossero eletti e istituiti come si faceva prima dell’espulsione della famiglia de’ Medici; e che la illustre famiglia de’ Medici, e in primo luogo l’illustre Alessandro de’ Medici, duca della città di Penna (al quale aveva promesso in matrimonio l’illustre Margherita sua figlia naturale), durante vita, e, dopo la sua morte, i suoi figli eredi e successori maschi, discendenti dal suo corpo in ordine di primogenitura, e, a loro difetto, il maschio più prossimo della famiglia de’ Medici, e così all’infinito, fossero e dovessero essere — nel rispetto della primogenitura — capo della Repubblica, del governo dello Stato e del regime di Firenze; che la città, la Repubblica, lo Stato e il dominio fossero particolarmente retti, mantenuti e conservati sotto le loro cure e protezione; e che Alessandro e i suoi successori dovessero assistere e presiedere a tutte le assemblee dei magistrati esistenti o futuri, come se il presidente fosse stato eletto con suffragi pubblici per esserne il capo.

Seguiva la clausola sanzionatoria: se in futuro la Repubblica avesse osato violare o sovvertire l’editto imperiale, sarebbe stata considerata ingrata, ribelle e disobbediente all’Imperatore e all’Impero, priva della remissione, del perdono, delle conferme e grazie sopra indicate e di tutti i privilegi e concessioni ottenuti dai precedenti imperatori, e tutto il suo dominio si sarebbe ritenuto devoluto a lui e all’Impero.

Il resto del decreto conteneva clausole di deroga a qualsiasi disposizione contraria e il divieto di contravvenire direttamente o indirettamente, sotto pena di cento marchi d’oro. Fu sottoscritto dall’Imperatore, controfirmato per suo ordine da Alfonso Valdés e sigillato con sigillo d’oro.

L’autore riporta quindi i termini latini dell’istituzione di Alessandro e della successione perpetua nella casa de’ Medici (testo latino originale):

tenore praesentium, statuimus et decernimus ut deinceps perpetuis futuris temporibus magistratus dictae Reipublicae iisdem modis et forma eligantur et instituantur quibus ante ejectam ipsam illustrissimam Medicorum familiam eligebantur, disponebantur atque instituebantur; utque eadem ipsa illustrissima Medicorum familia et imprimis illustrissimus Alexander de Medicis dux civitatis Penna cui nuper illustram Margaritam filiam nostram naturalem despondimus quandiu vixerit, atque eo e vivis sublato, ejus filii haeredes et successores ex suo corpore descendentes masculi ordine primogenitura semper servato, et illis deficientibus, qui proximior masculus ex ipsa Medicorum familia erit, et sic usque ad infinitum, jure primogeniturae servato, sit atque esse debeat dictae Reipublicae gubernii, status et regiminis caput, etc.

Conclusioni esplicative dell’autore:

  1. Benché Carlo V richiami più volte nel decreto la libertà e le antiche leggi della Repubblica (come previsto nella capitolazione), di fatto egli la assoggetta in perpetuo al dominio della casa de’ Medici, decidendo non solo come arbitro nominato, ma anche in virtù del diritto imperiale su sudditi dell’Impero.
  2. Circa la successione, l’Imperatore chiama espressamente alla successione di Alessandro i soli figli maschi (“e vivis sublato, filii ex suo corpore descendentes masculi”); e, in mancanza di figli maschi, deve succedergli il parente maschio più prossimo della famiglia de’ Medici (“illis deficientibus, qui proximus masculus ex ipsa Medicorum familia erit”).
  3. Questa successione e sostituzione maschile, in difetto di discendenti più prossimi, deve durare all’infinito, con osservanza della primogenitura (“usque ad infinitum jure primogeniturae servato”).

ARTICOLO IX

Alessandro de’ Medici è posto a capo della Repubblica e viene assassinato

Ricevuto a Firenze il decreto, un ambasciatore dell’Imperatore lo fece tradurre in italiano e mostrò l’originale ai principali della città, per far conoscere la volontà di Sua Maestà Imperiale. Convocati poi tutti i cittadini il 6 luglio 1531, fece leggere il decreto in latino insieme con la traduzione italiana. Dopo di che Benedetto Bondelmonte, allora Gonfaloniere, tenne un discorso in cui, illustrata la tranquillità che quel decreto avrebbe riportato in città, dichiarò ad alta voce di accoglierlo e promise di osservarlo; quindi tutti i collegi magistratuali si avvicinarono uno dopo l’altro al tavolo dove il decreto era posato, lo toccarono con la mano, dichiarando parimenti la loro approvazione e giurando di osservarlo; lo stesso fecero alcuni altri notabili, amici della casa de’ Medici, che in quel momento non erano in magistratura.

Furono così aboliti i titoli di Gonfaloniere e degli altri magistrati repubblicani; in Firenze fu stabilito il Principato; cambiò la maniera di eleggere i magistrati, la cui scelta dipese d’ora in poi unicamente dalla volontà del Principe della Repubblica.

Alessandro de’ Medici, che allora si trovava nelle Fiandre presso l’Imperatore, giunse poco dopo a Firenze, fu insediato nella nuova dignità e fu qualificato duca della Repubblica di Firenze — titolo che papa Clemente VII non aveva richiesto per lui e che Carlo V, suo suocero, non usava nelle sue lettere. Per il governo della Repubblica istituì un consiglio di quarantotto membri, da lui presieduto.

Gli si corrispondevano 18.000 scudi per le spese di casa, somma che i fiorentini ritenevano eccessiva e gravosa per lo Stato.

Il re Francesco I, per attrarre papa Clemente VII ai suoi interessi, nel 1533 fece sposare Enrico, duca d’Orléans (suo secondogenito, poi Enrico II) con Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo, duca di Urbino, sorella del duca Alessandro e pronipote del papa Clemente VII, che morì l’anno seguente.

Margherita d’Austria, giunta in età da nozze, sposò nel 1536 Alessandro de’ Medici, il quale fu assassinato il 6 gennaio 1537 da Lorenzo de’ Medici detto comunemente Lorenzino (“il piccolo Lorenzo”), suo parente più prossimo e confidente. Costui prese a pretesto la volontà di restaurare la libertà repubblicana, ma non ne diede alcuna prova e fuggì subito da Firenze. Alessandro non lasciò figli legittimi, ma solo due naturali: un maschio, Giulio, di tre anni, poi capitano delle galere, e una femmina, Giulia, che sposò in prime nozze Francesco Cantelmi e in seconde Bernardo de’ Medici, barone di Ottajano, del quale si parlerà più avanti.

Alessandro e Giulio suo figlio furono gli ultimi maschi del ramo della casa disceso da Cosimo, Padre della Patria.


ARTICOLO X

I signori della casa de’ Medici discesi da Lorenzo de’ Medici detto l’Antico, fino a Cosimo I, successore del duca Alessandro

Lorenzo de’ Medici detto l’Antico, fratello minore di Cosimo, Padre della Patria, visse da uomo onesto e buon cittadino, molto amato dal popolo, e morì nel 1440 in età non avanzata, lasciando un solo figlio:

Pierfrancesco de’ Medici, che fu tra i Signori nel 1469 e morì nel 1474, lasciando due figli, Lorenzo e Giovanni (primo di questo nome), nemici mortali di Piero de’ Medici e, dopo la sua espulsione, detentori delle principali cariche della Repubblica.

Lorenzo fu nonno di Lorenzino (il “piccolo Lorenzo”) che, come detto, assassinò nel 1537 il cugino duca Alessandro, del quale era favorito; poi fuggì e, condannato in contumacia a morte per lesa maestà, vagò a lungo per vari luoghi finché fu ucciso a Venezia per ordine del duca Cosimo de’ Medici.

Giovanni de’ Medici I morì (il testo indica) nel 150?; dal matrimonio con Caterina Sforza, figlia di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, ebbe un figlio:

Giovanni de’ Medici II, detto l’Invincibile (Giovanni dalle Bande Nere), uomo di grande valore e capitano eccellente, che morì nel 1526 per le ferite riportate comandando le truppe di papa Clemente VII contro l’Imperatore Carlo V; dal matrimonio con Maria Salviati, figlia di Jacopo Salviati, lasciò un figlio, Cosimo de’ Medici, che nel 1537 compiva il suo diciottesimo anno quando Alessandro fu assassinato.

Appresa a Firenze la morte di Alessandro, il Consiglio dei Quarantotto, che insieme al Principe deteneva l’autorità sovrana, si riunì per deliberare sulla forma di governo da stabilire. Alcuni proposero di ristabilire l’antica libertà abolendo il nome e l’autorità sovrana di un duca; altri, per evitare i frequenti disordini popolari, volevano istituire un’aristocrazia. Ma la maggior parte opinò che, per non irritare l’Imperatore cambiando del tutto l’assetto da lui stabilito, si dovesse creare un capo della Repubblica appartenente alla casa de’ Medici, con reddito moderato, obbligato a osservare le leggi e gli antichi ordinamenti, e a consultare i principali della Repubblica nelle questioni di rilievo. Qualcuno propose il piccolo Giulio, figlio naturale di Alessandro; ma la tenera età e il vizio di nascita fecero respingere la proposta. Su parere e pressanti istanze del cardinale Cibo — che, trovandosi allora per caso a Firenze, fu invitato all’assemblea, ed era parente dei Medici per parte di madre, sorella di Leone X — il Consiglio scelse a capo della Repubblica Cosimo de’ Medici, testé ricordato, allora parente più prossimo del duca defunto (benché cugino di quinto o sesto grado), a condizione che non portasse il titolo di duca, ritenuto inconveniente a chi governasse una città libera.

Si stesero le capitolazioni o condizioni per offrirgli la Principatura: 12.000 scudi d’assegno annuo; il titolo di Capo e non di Duca della Repubblica; osservanza delle leggi e ordinanze della città. Accettate le condizioni e prestato giuramento, Cosimo fu proclamato il 9 gennaio 1537 Capo della Repubblica di Firenze.


ARTICOLO XI

L’imperatore Carlo V approva l’elevazione di Cosimo de’ Medici (I) alla dignità di Capo della Repubblica di Firenze

Dopo la tragica morte del duca Alessandro, suo genero, l’Imperatore, per prevenire i disordini che potessero sorgere a Firenze, con atto fatto a Valladolid, ultimo febbraio 1537, commise a Juan-Fernando Manrique de Lara, marchese di Aguilar, e a Fernando de Silva, conte di Cifuentes, suoi ambasciatori a Roma, che uno o entrambi si recassero a Firenze per fare quanto opportuno a consolidare la pace pubblica, promettendo di confermare e approvare.

Il conte di Cifuentes si recò dunque a Firenze e, appresa la sequenza degli eventi dopo la morte di Alessandro, fece nel Palazzo de’ Medici, il 12 giugno 1537, un decreto/procès-verbal dove, in primo luogo, esponeva che — in virtù del privilegio accordato al duca Alessandro e alla famiglia de’ Medici — alla morte del duca senza figli da lui generati, il più prossimo della famiglia era chiamato a essere primate e capo del governo e di tutte le magistrature della Repubblica di Firenze; che, se il parricida Lorenzo de’ Medici non avesse commesso quel crimine di lesa maestà, avrebbe potuto aspirare a tale dignità, ma, essendo stato condannato per lesa maestà e quindi privato di ogni diritto, la Principatura era devoluta a Cosimo de’ Medici come parente più prossimo e più avanzato in età della casa de’ Medici; e che, in esecuzione del privilegio e secondo l’intenzione di Sua Maestà Imperiale, egli era stato dichiarato, con pubblico decreto, Primate e Capo della Repubblica, del governo e dello Stato di Firenze. Pertanto il conte, richiamandosi a quel privilegio e in virtù dell’autorità imperiale di cui era investito, dichiarava che la Primazia della Repubblica, dello Stato, del governo della città, del dominio e della signoria di Firenze spettava all’illustre Cosimo de’ Medici, figlio del magnifico Giovanni de’ Medici, escludendo Lorenzo e i suoi discendenti come inhabili e incapaci, legittimamente privati del loro diritto; che l’illustre Cosimo era e doveva essere capo e primate della Repubblica, del governo, dello Stato e del dominio di Firenze, cosicché la Repubblica, con città, Stato e dominio, fosse retta, mantenuta e conservata sotto la sua principale cura e protezione; e che egli, per tutta la vita, e dopo di lui i suoi figli eredi e successori maschi legittimi, potessero assistere e presiedere come primati e capi in tutte le magistrature, godendo, per grazia dell’Imperatore, di tutta l’autorità di cui godeva il duca Alessandro prima della sua morte.

Segue la clausola latina relativa alla successione di Cosimo:

illustris Cosmus de Medicis debeat esse Reipublicae Florentinae gubernii, status, atque dominii et regiminis caput et primatus, etc.; atque eo defuncto ejus filii haeredes et successores ex suo corpore legitime descendentes masculi, ita ut tam praedictus Cosmus quam sui successores praedicti possint et valeant in omnibus magistratibus interesse et praeesse ut primatus et caput omnium magistratuum.

Si evince inoltre che, secondo il decreto del conte di Cifuentes, solo i figli maschi discendenti da Cosimo I possono succedergli nella dignità di Capo della Repubblica di Firenze.(la precisisazione “ex suo corpore discendentes” era necessaria affinchè non si pensasse che in caso di morte del Duca Cosimo si potesse eventulamente nominare come suo “successore” Giulio de’Medici, figlio naturale del defunto Duca Alessandro, oppure Lorenzino de’Medici, che essendo l’assassino del Duca Alessandro era stato escluso per volontà del Senato. NDR)

Soddisfatti di quanto stabilito dal conte di Cifuentes, i fiorentini inviarono in Spagna Averardo Heritori e Giovanni Bandini per pregare Sua Maestà Imperiale di approvare e confermare; ciò avvenne con decreto in forma con tutte le clausole comminatorie e derogatorie, dato a Monzón in Aragona, ultimo di agosto 1537.


ARTICOLO XII

Cosimo de’ Medici diventa signore di Siena e del suo territorio

La città di Siena — come si dirà più ampiamente nella Parte Seconda, art. VII — era una Repubblica con territorio considerevole, che si era sempre difesa egregiamente da Firenze e aveva gelosamente custodito la propria libertà. Ma, lacerata dalle fazioni fomentate da alcune famiglie nobili, si pose sotto la protezione di Carlo V e accolse Hurtado de Mendoza quale governatore inviato dall’Imperatore. Questi persuase i senesi a costruire una cittadella per difendere la loro libertà contro i nobili interni e contro il duca di Firenze.

Costruita la cittadella, vi pose una guarnigione spagnola ed esercitò una tirannide così insopportabile che, per liberarsene, i senesi si posero sotto la protezione del re Enrico II di Francia, che fornì truppe con le quali cacciarono gli spagnoli, distrussero la cittadella, recuperarono la piena libertà e si riappropriarono di quasi tutte le piazze del loro territorio.

L’Imperatore dichiarò i senesi privati di tutti i privilegi, pose assedio a Siena con il suo esercito, al comando del marchese di Marignano, cui il duca Cosimo aggiunse le sue truppe; nonostante i grandi soccorsi inviati da Enrico II, i senesi furono costretti a resa il 22 aprile 1555, capitolando che l’Imperatore avrebbe preso Siena sotto la protezione dell’Impero, mantenuto la città nei suoi antichi privilegi, i magistrati nelle loro cariche e gli abitanti nei loro beni, e che i cittadini desiderosi di partire potessero farlo.

Mézeray aggiunge che il trattato stabiliva che i senesi avrebbero conservato la libertà e la Repubblica, ma che l’Imperatore venne meno alla parola e soggiogò subito la sventurata città.

Coloro che non poterono rassegnarsi a vivere in simile servitù si ritirarono a Montalcino, nel territorio senese, dove vissero in forma di Repubblica; il re Enrico II mantenne la protezione e, per vendicarsi del duca che aveva preso il partito di Carlo V contro di lui, nel 1554 concluse con papa Paolo IV un trattato volto, tra l’altro, a ristabilire Firenze nella sua antica libertà.

L’Imperatore concesse nel 1556 a Filippo II, re di Spagna, suo figlio, l’investitura della città di Siena e del suo territorio, da tenere in feudo dell’Impero, con facoltà di investirne un altro principe a titolo di feudo della Corona di Spagna e retrofeudo dell’Impero. In conseguenza, nel 1557 questo re diede al duca Cosimo, per lui e per i suoi discendenti maschi legittimi, l’investitura della città di Siena e del suo territorio, con riserva di Porto Ercole, Orbetello, Talamone, Portolongone nell’Isola d’Elba e di alcune altre piazze che formano il cosiddetto Stato dei Presìdi, che il re riservò a sé e ai suoi successori.

In forza di tale investitura, il duca Cosimo rese omaggio al re Filippo II e giurò, per sé e per i suoi discendenti maschi legittimi, di essere fedele vassallo e feudatario immediato di quel re e dei suoi successori.

Il re Enrico II rinunciò poco dopo a progetti contro il duca Cosimo, avendo promesso, con il trattato di pace di Cateau-Cambrésis (1559), di ritirare le truppe da Montalcino e dalle altre piazze che ancora teneva nel Senese, a condizione che il duca di Firenze non recasse danno a coloro che vi si erano rifugiati.

ARTICOLO XIII

Cosimo è fatto Granduca di Toscana

Divenuto così sovrano di quasi tutta la Toscana, Cosimo de’ Medici desiderò fregiarsi di un titolo che lo elevasse al di sopra degli altri duchi e, a tal fine, si rivolse a papa Pio V, suo amico. Si propose dapprima di rinnovare in lui il titolo di re d’Etruria o di Toscana, che alcuni principi avevano portato anticamente; ma poiché lo stesso Cosimo giudicò che la sua potenza e l’estensione dei suoi Stati non corrispondessero a un titolo di tal rango, il Papa — fondandosi, come egli stesso dichiara nella bolla del 1569, sull’esempio dei suoi predecessori che avevano conferito a vari principi il titolo di re, e considerando i grandi servigi resi da Cosimo, duca di Firenze, alla Chiesa e il fatto che non dipendeva da alcuno quanto alla signoria libera e diretta di Firenze — dichiarò lui e i suoi successori grandi duchi e principi della provincia d’Etruria, e volle che da tutti fossero chiamati così. Ecco i termini latini della bolla:
eo quod absoluta libertate ratione liberi et directi Dominii Florentini nemini sit subjectus eumdem Cosmum ducem ejusque successores pro tempore existentes Duces perpetuis futuris temporibus in Magnos Duces et principes provincia Hetrurio respective authoritate Apostolica tenore presentium creamus, constituimus prononciamus et declaramus.

Cosimo, in conseguenza della nuova dignità, assunse il titolo di Serenissimo e volle essere trattato con l’appellativo di Altezza, per distinguersi dagli altri duchi d’Italia, ai quali allora si dava soltanto quello di Eccellenza.

L’imperatore Massimiliano II prese molto male che il Papa si fosse ingerito nel conferire un nuovo titolo a un principe i cui Stati egli pretendeva dipendessero dall’Impero; tuttavia, in seguito vi acconsentì, in considerazione del matrimonio di Francesco, principe di Firenze e di Siena, primogenito di Cosimo, con Giovanna d’Austria, sua sorella.


ARTICOLO XIV

I Granduchi di Toscana da Cosimo I fino al presente (1717 NDR)

Cosimo I, Granduca di Toscana, morì nel 1574, lasciando — dal matrimonio con Eleonora di Toledo, figlia di Pedro de Toledo, già viceré di Napoli — tra gli altri figli Francesco e Ferdinando (allora cardinale).

Francesco de’ Medici succedette al padre; dal matrimonio con Giovanna d’Austria ebbe undici figli, maschi e femmine; tutti i maschi morirono prima di lui e, al momento della sua morte (1587), egli aveva soltanto due figlie: Eleonora, sposata a Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova (I del nome), e Maria, non ancora maritata. Poiché le figlie non furono ritenute capaci di succedergli, gli succedette il fratello, Ferdinando I, che restituì la porpora a papa Sisto V e sposò Cristina di Lorena, figlia di Carlo II, duca di Lorena.

Papa Clemente VIII, fiorentino della casa Aldobrandini, soffriva impazientemente che la sua patria fosse privata della libertà goduta per secoli; sollecitò quindi gli spagnoli a unirsi a lui per distruggere la potenza dei Medici e ristabilire Firenze in forma di Repubblica. Gli spagnoli, malcontenti della buona intesa che il granduca Ferdinando manteneva con Enrico IV di Francia, loro nemico d’allora, prestarono orecchio alla proposta e tra le due corti s’intavolò un negoziato per attuare il disegno; ma Ferdinando, avendone avuto sentore, indusse Enrico IV a far intercettare e decifrare lettere che il corriere del Papa portava, attraverso la Francia, a Madrid: scoperchiato così il segreto, Ferdinando poté sventare senza clamore le misure prese contro di lui. L’amicizia fra i due sovrani si consolidò ulteriormente quando, nel 1600, Enrico IV sposò Maria de’ Medici, figlia minore del granduca Francesco e nipote del granduca Ferdinando, alla quale fu assegnata una dote di seicentomila scudi, in cambio della rinuncia alle successioni paterna e materna.

Ferdinando I morì nel 1608.

Gli succedette il primogenito Cosimo II, che sposò Maria Maddalena d’Austria, figlia dell’arciduca Carlo d’Asburgo d’Innsbruck; morì nel 1631, lasciando, tra gli altri, Ferdinando (che segue) e Margherita de’ Medici, sposata a Odoardo Farnese, duca di Parma.

Ferdinando II succedette al padre; sposò nel 1631 Vittoria Della Rovere, nipote e unica erede allodiale di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino suo avo, e morì nel 1670, lasciando due figli: Cosimo (che segue) e Francesco Maria de’ Medici, il quale fu cardinale finché, vedendo che i nipoti non avevano figli, lasciò la porpora e nel 1709 sposò Eleonora Gonzaga, figlia di Vincenzo Gonzaga, duca di Guastalla; morì tuttavia nel 1711 senza prole.

Cosimo III, figlio e successore di Ferdinando II, ebbe da Margherita Luisa d’Orléans, figlia di Gian Battista Gastone di Francia, duca d’Orléans (secondogenito di Enrico IV), due figli e una figlia:

  • Ferdinando de’ Medici, detto Gran Principe di Toscana, morto nel 1712 senza figli dalla moglie Violante Beatrice, figlia di Ferdinando Maria, Elettore di Baviera;
  • Gian Gastone de’ Medici, nato nel 1671, attuale primogenito ed erede presuntivo del Granduca, che non ebbe figli dal matrimonio con la principessa Anna Maria Francesca, figlia minore di Jules-François, duca di Sassonia-Lauenburg, vedova di Filippo Guglielmo, conte palatino di Neuburg, sposata nel 1697;
  • Maria Anna Luisa de’ Medici, nata secondo Imhof nel 1667 e secondo Hübner nel 1677, vedova di Giovanni Guglielmo, Elettore Palatino, senza prole; il Senato di Firenze ha dichiarato che deve succedere al Granducato di Toscana nel caso in cui il Granduca e il Principe Gian Gastone muoiano senza figli.

ARTICOLO XV

Le diramazioni della casa de’ Medici discese da Giovenco (lat. Juvencus) e, in particolare, i Principi di Ottajano

Come indicato all’Articolo IV, Averardo de’ Medici, Gonfaloniere di Firenze nel 1314, ebbe, tra gli altri figli, due maschi: Francesco de’ Medici, capostipite di tutti i Medici fin qui menzionati, e Giovenco (Juvencus) de’ Medici, qualificato cavaliere, che ebbe un figlio Giuliano, padre di due figli, Giuliano e Antonio.

I discendenti di Giuliano II rimasero a Firenze: al tempo della Repubblica, diversi furono tra i Signori e i Gonfalonieri; nel secolo scorso alcuni portarono il titolo di marchesi di Castellina; fino a non molti anni fa — e forse ancora oggi — taluni erano cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano. Essi costituiscono il ramo primogenito dei discendenti di Giuliano I.

Antonio de’ Medici fu padre di Bernardetto, Gonfaloniere nel 1447.
Lorenzo de’ Medici, suo figlio, fu a sua volta Gonfaloniere nel 1485 e nel 1513, e padre di Ottaviano de’ Medici, che raggiunse la stessa carica nel 1531. Questi lasciò, tra gli altri, due figli: Bernardo (che segue) e Alessandro de’ Medici, divenuto arcivescovo di Firenze nel 1572, cardinale nel 1583 e papa all’inizio di aprile 1605 con il nome di Leone XI, morto dopo venticinque giorni di pontificato.

Bernardo de’ Medici fu barone di Ottajano, borgo presso il Vesuvio o Somma, a due o tre leghe da Napoli; sposò Giulia de’ Medici, figlia naturale del duca Alessandro de’ Medici e vedova di Francesco Cantelmi.

Alessandro de’ Medici, loro figlio, anch’egli qualificato barone di Ottajano, lasciò due figli: Bernardo e Ottaviano.

Bernardo II de’ Medici ottenne dal re di Spagna il titolo di Principe di Ottajano e morì senza figli.

Ottaviano de’ Medici, suo fratello, gli succedette come secondo Principe di Ottajano e dal matrimonio con Diana Caracciolo, figlia di Marino Caracciolo, Principe di San Buono, ebbe:

  • Giuseppe de’ Medici, terzo Principe di Ottajano, che il defunto re di Spagna Carlo II fece Grande di Spagna nel 1700; aveva sposato Andreana d’Avalos, figlia di Andrea d’Avalos, Principe di Montesarchio; morì nel 1717.
  • Ottaviano de’ Medici, loro figlio, che in vita del padre portava il titolo di duca di Sarno, è ora quarto Principe di Ottajano e, dal matrimonio con Teresa de Mari, figlia di Carlo, Principe di Acquaviva, ha un figlio di nome Giuseppe de’ Medici, il quale apparentemente porta il titolo di duca di Sarno.

ARTICOLO XVI

Gli Stati del Granduca di Toscana

Il Granduca di Toscana possiede, entro la Toscana, due Stati, detti l’antico e il nuovo.

L’antico Stato comprende il Fiorentino e il Pisano, cioè i territori delle Repubbliche di Firenze e di Pisa. Come già esposto all’Articolo VIII, la Repubblica di Firenze — che aveva riscattato la sua libertà dall’imperatore Rodolfo I — fu ridotta dall’imperatore Carlo V sotto la dominio della casa de’ Medici. Il territorio da essa posseduto prima di sottomettere i Pisani si chiama Fiorentino e comprende le città di Firenze, Arezzo, Pistoia, Cortona, Montepulciano, oltre a Borgo San Sepolcro, antico pegno della Sede Apostolica.

La Repubblica di Pisa fu un tempo assai più potente di quelle di Firenze e Siena: possedette in mare grandi flotte con cui spesso sostenne la lotta contro i maomettani, sottomise le isole di Corsica, Sardegna, Maiorca, Minorca e Ibiza e la città di Cartagine in Africa, e sostenne a lungo guerre sanguinose con Veneziani e Genovesi. In seguito, però, fu spogliata di tutte queste conquiste e, nel 1282, un certo Ugolino impadronendosi della città pose fine alla Repubblica; i pisani poco dopo si sollevarono contro di lui e lo fecero morire. In seguito obbedirono ad altri signori o tiranni; tra questi Gherardo Appiani vendette la città a Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, che la lasciò a Gabriele Visconti, suo figlio naturale; questi la vendette ai fiorentini; ma, non volendo i pisani sottostare ai fiorentini, richiamarono Giovanni Gambacorta, figlio di uno degli ultimi loro tiranni, il quale, lasciatosi persuadere dai fiorentini, consegnò nuovamente la città.

I pisani rimasero sotto il giogo fiorentino finché il re Carlo VIII, passando per Pisa nel 1494, restituì loro la libertà, che conservarono sotto la protezione dei veneziani fino al 1509, quando i fiorentini — alleati di Luigi XII — approfittando della vittoria da lui riportata sui veneziani, assediarono Pisa e la ridussero per fame all’obbedienza. Così, quando la Repubblica di Firenze passò sotto il dominio dei Medici, la città di Pisa vi passò con il suo territorio, che comprende attualmente le città di Pisa, Volterra e Livorno e le isole di Gorgona e della Maille.

Il nuovo Stato comprende quanto in passato dipendeva dalla città di Siena, alla quale l’imperatore Carlo IV nel 1347 concesse libertà e molti privilegi, a condizione che ne sarebbe stata decaduta se si fosse ribellata all’Impero. Avendo cacciato gli spagnoli e accolto i francesi, abbiamo visto all’Articolo XII che l’imperatore Carlo V pretese fosse decaduta dalla libertà, se ne appropriò con lettere patenti del 1552, la prese nel 1555 e la cedette con il suo territorio a Filippo II, suo figlio, che investì di tale città e di una parte del territorio il granduca Cosimo I e i suoi discendenti maschi, da tenere in feudo alla Corona di Spagna e in retrofeudo all’Impero.

Oltre la città di Siena e il suo territorio, questo nuovo Stato comprende anche Montalcino, il vicariato di Radicofani (che dipende dalla Sede Apostolica), le isole della Pianosa, di Montecristo e del Giglio, e la parte dell’isola d’Elba in cui è Portoferraio con due miglia intorno; il resto dell’Elba appartiene al re di Spagna, che vi possiede anche Portolongone.

Il Granduca possiede inoltre:
1º Il contado di Pitigliano, che è nello Stato della Chiesa ai confini di Pastro, già appartenuto alla casa Orsini.
2º Il contado di Santa Fiora, non lontano, appartenuto alla casa Sforza, i cui duchi si dicono tuttora conti di Santa Fiora.
Pontremoli, che gli spagnoli gli hanno venduto e per i cui confini ha controversie con la Repubblica di Genova, rimesse all’arbitrato del duca di Parma.
4º Il marchesato di Castiglione, che Eleonora di Toledo, moglie del granduca Cosimo I, acquistò da Silvia Piccolomini.
5º La signoria di Pietrasanta, situata tra lo Stato della Repubblica di Lucca e il ducato di Massa.
Vari feudi femminili e beni allodiali acquisiti dai duchi d’Urbino, che Vittoria della Rovere, nipote e unica erede allodiale di Francesco Maria della Rovere, ultimo duca di Urbino, conservò quando papa Urbano VIII riunì nel 1631 quel ducato al patrimonio della Chiesa; beni che ella portò in dote al granduca Ferdinando II.
7º Il ducato di Capestrano e la Città di Penna, nel Regno di Napoli.

SECONDA PARTE DI QUESTA MÉMORIA

Dopo aver presentato nella prima parte di quest’opera una storia abbreviata e la genealogia della casa de’ Medici, nonché gli Stati che il Granduca possiede al presente, sarà agevole, in questa seconda parte, esporre le ragioni che coloro i quali avanzeranno pretese sulla sua successione potranno addurre a sostegno dei diritti che riterranno di avere, nell’eventualità che il Granduca e il Principe suo figlio muoiano senza figli maschi. Benché io sia persuaso che non sarà la giustizia delle ragioni addotte dall’una o dall’altra parte a decidere a chi apparterranno in tal caso questi Stati: sarà la forza a deciderlo, tanto più che non si vede neppure davanti a quale tribunale la questione potrebbe essere discussa. Non potrebbe che davanti al Senato/Consiglio di Firenze oppure davanti all’Imperatore; ed è assai probabile che quest’ultimo pretenda di esserne l’unico giudice, pronunci in proprio favore e si serva della sua potenza per far eseguire la sua sentenza.

Non tralascerò, tuttavia, di riportare tutte le ragioni che ciascuno dei pretendenti potrebbe addurre per raccogliere questa successione, in tutto o in parte — e persino quelle di cui potrebbero servirsi fiorentini, pisani e senesi per rimettersi in quella libertà di cui un tempo hanno goduto — aggiungendo il mio parere sulla validità o invalidità delle suddette ragioni, rimettendo poi il giudizio a chi leggerà questo scritto.


ARTICOLO PRIMO

Diritti del principe Gian Gastone de’ Medici alla successione del Granduca suo padre

Non c’è dubbio che questo Principe debba raccogliere sia l’antico Stato, al quale solo i maschi della casa de’ Medici sono capaci di succedere, sia il nuovo o senese, del quale Cosimo I fu investito per sé e per i suoi soli discendenti maschi.

Per quanto riguarda i feudi femminili e i beni allodiali (dei quali possono essere titolari anche le donne), la questione dipende dal sapere se, mediante la dote che il Granduca ha dato alla Principessa sua figlia maritandola a Giovanni Guglielmo, Elettore Palatino, ella abbia rinunciato a favore dei fratelli a tutto ciò che avrebbe potuto pretendere nella successione del Granduca. Se così è, il Principe Gian Gastone raccoglierà tutta la successione; altrimenti, per tali beni si seguiranno le consuetudini locali in tema di divisione.


ARTICOLO II

Diritti dell’Elettrice Palatina sulla successione del Granduca suo padre e del Principe Gian Gastone suo fratello, nel caso muoiano senza figli

  1. È certo, anzitutto, che questa Principessa non può, a causa del sesso, ereditare la città e il territorio di Siena, dei quali — come si è appena detto — Cosimo I è stato investito solo per sé e per i suoi discendenti maschi; le donne ne sono dunque assolutamente escluse.
  2. È verosimile, in secondo luogo, che non possa per la stessa ragione ereditare il Vicariato di Radicofani, che dipende dalla Santa Sede, atteso che i feudi che derivano dal Papato si presumono maschili.
  3. Invece, erediterà senza difficoltà tutti i feudi femminili e tutti i beni allodiali che si trovassero nella successione di chi, tra suo padre o suo fratello, sarà morto per ultimo.
  4. Quanto a Firenze, è certo che — su istanza del Granduca — il Senato di Firenze, quale rappresentante dell’intero Stato, ha deliberato, anni or sono, che, nel caso il Granduca e il Principe suo figlio morissero senza figli, esso si impegnava a riconoscere come erede e Granduchessa l’Elettrice Palatina. Ma è non meno certo che:
    (a) per il decreto emanato dall’imperatore Carlo V il 28 ottobre 1530, accettato dai fiorentini il 6 luglio 1531, la dignità di Capo della Repubblica di Firenze è stata attribuita e sostituita ai maschi della casa de’ Medici, con osservanza della primogenitura: perciò le donne della casa de’ Medici non possono pervenire a tale dignità;
    (b) per il decreto reso dal conte di Cifuentes, commissario dell’Imperatore, il 15 giugno 1537, e ratificato dall’Imperatore l’ultimo agosto 1538, la Primazia nella Repubblica — passata da Alessandro de’ Medici a Cosimo de’ Medici — fu data a quest’ultimo solo per sé e per i suoi discendenti maschi; onde le donne da lui discese ne sono escluse;
    (c) l’esclusione delle donne, quand’anche più prossime nel grado, è stata sempre osservata a favore di maschi più lontani: Cosimo de’ Medici, cugino al quarto grado del duca Alessandro, gli succedette con preferenza a Caterina de’ Medici (sorella del duca); e Ferdinando I succedette al duca Francesco, suo fratello, preferibilmente alle due principesse figlie di quest’ultimo.

ARTICOLO III

Diritti che i principi discesi dalle principesse Caterina, Virginia, Eleonora e Maria de’ Medici possono pretendere sulla successione del Granduca

Vi furono cinque principesse della casa de’ Medici che sposarono principi stranieri e ne rimangono discendenti; ne parlerò in ordine cronologico, riservando all’articolo seguente Margherita de’ Medici (duchessa di Parma).

I. Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, e sorella di Alessandro, primo duca di Firenze, sposò nel 1533 Enrico di Francia, duca d’Orléans, poi re Enrico II. Ebbero quattro figli maschi e due femmine.
– I quattro maschi furono i re di Francia Francesco II, Carlo IX, Enrico III e Francesco, duca d’Alençon: nessuno ha lasciato discendenza.
– Le due figlie furono Elisabetta e Claudia di Francia.
• Elisabetta ebbe da Filippo II di Spagna una figlia che lasciò posterità: Caterina Michela d’Austria, andata sposa a Carlo Emanuele I, duca di Savoia, dalla cui linea discendono il re di Sicilia e tutti i principi e principesse della casa di Savoia.
• Claudia di Francia fu maritata a Carlo II, duca di Lorena: il duca di Lorena e i principi e principesse suoi figli discendono da lei.

II. Virginia de’ Medici, figlia del Granduca Cosimo I, fu sposata nel 1586 a Cesare d’Este, duca di Modena, bisavolo dell’attuale duca.

III. Eleonora de’ Medici, primogenita del Granduca Francesco, sposò nel 1585 Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova; ebbe un figlio, Francesco IV Gonzaga, che gli succedette nel ducato e lasciò una sola figlia, Maria, sposata a Carlo II Gonzaga, duca di Rethel, da cui nacque Carlo III, duca di Mantova (senza discendenza). Ebbe inoltre Eleonora Gonzaga, che dal matrimonio con l’imperatore Ferdinando III generò Eleonora d’Austria, sposa di Carlo IV, duca di Lorena, dalla quale nacque Leopoldo, attuale duca di Lorena.

IV. Maria de’ Medici, figlia minore dello stesso Granduca Francesco, sposò nel 1600 il re Enrico IV e ne ebbe due figli e tre figlie: il re Luigi XIII; Gaston Jean-Baptiste, duca d’Orléans; Elisabetta (sposa di Filippo IV di Spagna); [Cristina di Francia] — indicata nel testo come “Caterina” per errore — sposata a Vittorio Amedeo I, duca di Savoia (reggente a lungo come Madama Reale); e Enrichetta Maria, sposa di Carlo I d’Inghilterra.

Conclusione per i discendenti di queste quattro principesse.
In generale, i loro discendenti non possono pretendere nulla nella successione del Granduca di Toscana se non sui feudi femminili e sui beni allodiali, dopo la morte senza figli dell’Elettrice, e persino dopo l’eventuale estinzione dei principi di Parma (v. art. IV).
Primo: non possono, in base ai decreti di Carlo V (1530) e del conte di Cifuentes (1537), succedere al ducato di Firenze, assegnato in perpetuo ai maschi della casa de’ Medici; e ciò è stato già praticato: maschi più lontani esclusero figlie più prossime (Caterina, sorella del duca Alessandro, fu pretermessa da Cosimo I; Eleonora e Maria, figlie del Granduca Francesco, furono pretermessa dal loro zio Ferdinando I).
Secondo: non potranno mai pretendere allo Stato di Siena, dato da Filippo II in feudo al duca Cosimo I e ai suoi discendenti maschi; al loro difetto, lo Stato deve ritornare al re di Spagna.
Terzo: verosimilmente lo stesso vale per il Vicariato di Radicofani, feudo della Chiesa.
Quarto: non potranno pretendere sugli altri feudi maschili presenti nella successione del Granduca, i quali, in mancanza di maschi medicei investiti in primo luogo, devono refluire ai sovrani da cui derivano.
– Infine: dopo la morte senza figli dell’Elettrice Palatina, non potranno contestare ai discendenti di Margherita de’ Medici, duchessa di Parma (più prossimi parenti del Granduca e dei suoi figli) i feudi femminili e i beni allodiali della casa; tuttavia, se tutti i principi e principesse di Parma si estinguessero, niente impedirebbe che chi, tra i discendenti di Eleonora e Maria de’ Medici, risultasse parente più prossimo, succedesse ai feudi femminili e ai beni allodiali dei Medici.


ARTICOLO IV

Diritti dei principi e delle principesse della casa di Parma discesi da Margherita de’ Medici

Come si è detto, Margherita de’ Medici, figlia del Granduca Cosimo II, sposò Odoardo Farnese, duca di Parma. Ebbero vari figli; soltanto il duca Ranuccio II lasciò posterità: tre figli e due figlie:
– il principe Eduardo, morto prima del padre, che lasciò una figlia, Elisabetta Farnese, sposata a Filippo V, re di Spagna (con prole);
– Francesco, attuale duca di Parma, che sposò la vedova del fratello e non ha figli;
– il principe Antonio Farnese, non sposato;
– una principessa Isabella; oltre a un’altra, morta vedova di Francesco d’Este, duca di Modena.

È certo che, per le ragioni esposte negli articoli precedenti, questi principi e principesse non possono mai pretendere né allo Stato di Firenze, né a quello di Siena, né agli altri feudi maschili della casa de’ Medici. Ma, poiché il duca di Parma, il principe suo fratello e la loro sorella sono cugini di primo grado del Granduca di Toscana, e la Regina di Spagna è sua cugina di secondo/terzo grado, e dunque i più prossimi parenti che il Granduca abbia, sembra che, se egli, il Principe suo figlio e l’Elettrice sua figlia morissero senza figli e senza aver disposto dei mobili e acquisti, questi spetterebbero ai principi e principesse di Parma, così come i feudi femminili e i beni allodiali della loro casa.

Potrebbe sorgere una difficoltà riguardo ai feudi femminili e ai beni allodiali della casa Della Rovere, che Vittoria Della Rovere portò in dote al Granduca Ferdinando II, perché i principi e le principesse di Parma non ne discendono.

Una seconda difficoltà potrebbe riguardare la successione ai feudi femminili e ai beni allodiali della casa de’ Medici tra il duca di Parma, il principe suo fratello e la loro sorella, da un lato, e la Regina di Spagna (figlia del principe Eduardo, fratello maggiore di quei due principi), dall’altro: ciò dipende dal sapere se, in Italia, la rappresentazione valga nelle successioni in linea collaterale; se sì, la Regina di Spagna esclude i suoi zii; se no, saranno essi a escludere lei, e la Regina non potrà pretendere a tali beni se non dopo la morte dei suoi zii e di sua zia senza figli.


ARTICOLO V

Diritti dei signori della casa de’ Medici discesi da Giovenco de’ Medici

Come risulta dall’Articolo XIII della prima parte, esiste ancora un ramo della casa de’ Medici disceso da Giovenco (Juvencus), suddiviso in due ulteriori rami: il maggiore, rimasto a Firenze; l’altro, stabilitosi nel Regno di Napoli, il cui capo è il Principe di Ottajano.

Questo Giovenco de’ Medici era fratello minore di Chiarissimo de’ Medici, capostipite dei rami discesi da Cosimo, Padre della Patria, e da Lorenzo l’Antico. I due fratelli Chiarissimo e Giovenco erano figli di Averardo II, Gonfaloniere di Firenze nel 1314. Dunque da quasi quattro secoli i rami discesi da Chiarissimo e da Giovenco sono separati; calcolando il grado di parentela attuale tra Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, e Ottaviano de’ Medici, ora quarto Principe di Ottajano, risulta che sono cugini all’undicesimo grado.

Sembra chiaro che questi signori non possono pretendere allo Stato di Siena, che — mancando figli maschi discesi da Cosimo I — deve ritornare ai re di Spagna; né ai feudi femminili, ai beni allodiali e agli altri acquisti effettuati dai discendenti di Francesco de’ Medici, fratello di Giovenco, che devono passare all’Elettrice Palatina e, se muore senza figli, ai principi e principesse di Parma.
Ma sembra fuori di dubbio che, seguendo la disposizione del decreto del 1530 dell’imperatore Carlo V sulla forma di governo da osservarsi in perpetuo (perpetuis futuris temporibus) nella Repubblica di Firenze, quando il Granduca di Toscana o il Principe suo figlio morissero, ultimi della loro linea, colui che allora si troverà parente maschio più prossimo, secondo l’ordine di primogenitura, nel ramo discendente da Giovenco, debba succedergli.

Infatti, nel decreto è espressamente stabilito che la illustre casa de’ Medici — e in primo luogo Alessandro de’ Medici; dopo la sua morte, i suoi figli maschi; e, a loro difetto, il maschio più vicino della casa de’ Medici — siano, all’infinito e secondo l’ordine di primogenitura, capi della Repubblica di Firenze.

Allora esistevano tre rami della casa de’ Medici: quello disceso da Cosimo, Padre della Patria; quello da Lorenzo l’Antico; e quello da Giovenco. Alessandro, ultimo del primo ramo (da Cosimo), essendo morto senza figli legittimi, il Senato, conformemente al decreto, scelse quale successore Cosimo del secondo ramo, parente più prossimo, benché cugino di quinto/sesto grado.
Dunque, chi si troverà parente più vicino del Granduca o del Principe — sia che appartenga al ramo stabilito a Firenze, sia che sia il Principe di Ottajano — potrà a buon diritto sostenere che, venendo meno il secondo ramo in difetto di maschi discesi dal Granduca e dal Principe Gian Gastone, la dignità di Capo della Repubblica di Firenze, affettata e sostituita all’infinito (usque ad infinitum) alla casa de’ Medici, gli sia ipso facto devoluta, in quanto parente mediceo più prossimo.
Quando, infatti, la successione a una principatura è vincolata e sostituita all’infinito ai maschi della casa regnante, la lontananza del grado agnatico non può essere ostacolo: lo mostra l’esempio del re Enrico IV, succeduto alla corona di Francia al re Enrico III, suo cugino al decimo/undicesimo grado.

Si concederà che il duca di Parma, il principe Antonio suo fratello, la regina di Spagna e i principi suoi figli (discesi da Margherita de’ Medici) e persino i re di Francia, Spagna, Inghilterra e Sicilia e i duchi di Lorena e di Modena (discesi da Caterina, Virginia, Eleonora e Maria de’ Medici) siano parenti più prossimi del Granduca e del Principe suo figlio; ma egli replicherà che, non essendo della casa de’ Medici, sono — secondo il decreto di Carlo V — incapaci di succedere alla dignità di Capo della Repubblica di Firenze, in pregiudizio dei maschi legittimi di questa casa.

Potrà anzi sostenere che l’atto deliberato dal Senato di Firenze in favore dell’Elettrice Palatina, su richiesta del Granduca suo padre, non ha forza; e che ella non può succedere al padre più di quanto Eleonora de’ Medici sia succeduta al suo, finché rimangano maschi della casa de’ Medici ai quali la dignità di Capo della Repubblica di Firenze è affettata e sostituita all’infinito dal giudizio di Carlo V — giudizio che tutti i magistrati promisero allora di osservare e che va considerato regola inviolabile per tale successione.


ARTICOLO VI

Diritti dei fiorentini a riacquistare la loro libertà

Dopo aver trattato dei diritti che il figlio e la figlia del Granduca e i suoi parenti — tanto per linea femminile (cognati) quanto per linea maschile (agnati) — possono pretendere sulla sua successione, passo ora ai diritti dei sudditi di rimettersi in libertà; e concluderò con quelli che i sovrani e signori (il Papa, l’Imperatore, il re di Spagna) possono pretendere di avere per rientrare negli Stati e feudi che da loro derivano.

È assai probabile che i fiorentini che amano il riposo proprio e della patria, e riflettono ai disordini che difficilmente mancherebbero in un nuovo assetto repubblicano — per le diverse pretese e i contrasti tra quanti vorranno i primi posti — preferiranno, dopo la morte del Granduca di Toscana e del Principe suo figlio senza figli, riconoscere come sovrano o un signore della casa de’ Medici (secondo il decreto del 1530) oppure l’Elettrice Palatina (secondo la delibera del Senato), piuttosto che esporsi a contese interne e, verosimilmente, anche a guerre civili tentando di ristabilire l’antica forma repubblicana o di istituirne una nuova sulla quale difficilmente si accorderebbero pacificamente.

Tuttavia, poiché molti potrebbero essere di parere opposto, sperando gran soddisfazione nel ristoro della libertà già goduta dalla città e nell’abolizione di vari imposti gravosi imposti dai Granduchi, riporto qui ciò che costoro potrebbero addurre per sostenere il diritto che pretenderebbero di avere a ristabilire la Repubblica di Firenze nello stato in cui fu per secoli:

  1. che i fiorentini riscattarono la loro libertà dagli imperatori, i quali da allora non esercitarono più giurisdizione in città;
  2. che l’autorità esercitata per sessant’anni da Cosimo Padre della Patria, da Piero suo figlio e da Lorenzo suo nipote era precaria, fondata sulla buona condotta e destinata a durare solo finché piacesse alla Repubblica;
  3. che avevano diritto di togliere tale autorità a Piero II de’ Medici, il quale, senza consultare la Repubblica, si era attirato Carlo VIII come nemico e gli aveva poi consegnato le principali piazze dello Stato;
  4. che, quando nel 1512 richiamarono i Medici in città, la capitolazione stabiliva che fossero ammessi solo per vivere da semplici cittadini, senza autorità; e tuttavia se la fecero attribuire interamente già il giorno seguente, con la forza, il che non poteva dar loro alcun diritto;
  5. che, essendo stati gravemente maltrattati dai governanti che agirono in nome dei papi Leone X e Clemente VII, entrambi di casa Medici, poterono scuotere il giogo quando ne ebbero occasione favorevole;
  6. che la capitolazione del 1530 con il generale dell’Imperatore stabiliva espressamente che Sua Maestà Imperiale, col giudizio arbitrale, avrebbe costituito il governo della Repubblica in modo da conservarle la libertà; tuttavia l’Imperatore, nel suo decreto, non tenne conto di questo punto essenziale;
  7. e infine, che essi scelsero Cosimo I come Capo della Repubblica a precise condizioni: tra le altre, che lo sarebbe stato solo per conservare la libertà, osservare le leggi e accontentarsi di 12.000 scudi di appannaggi; che egli giurò di osservarle, ma non lo fece, avendo governato despoticamente senza curarsi degli antichi ordinamenti; e che, invece di 12.000 scudi l’anno, lui e i successori ne hanno tratto oltre 1.200.000 mediante una moltitudine di imposte da loro istituite.

Così, dopo la morte senza figli del Granduca, del suo figlio e, al più, della sua figlia, essi potrebbero sostenere che, non rimanendo più maschi della casa de’ Medici discesi dai Granduchi — ai quali erano stati sottomessi e avevano prestato giuramento — sono rientrati nella libertà e in tutti i diritti dei loro antenati, dei quali erano stati ingiustamente spogliati; e che possono decidere come meglio credono: eleggere un nuovo Granduca, ristabilire l’antico governo repubblicano o istituirne uno nuovo; e che gli Imperatori, dalla cui signoria si erano riscattati secoli addietro, e che non si erano riservati il diritto di rimetterli in alcun caso sotto obbedienza, non vi si possano validamente opporre.

I Medici superstiti — e lo stesso Imperatore, se volesse proteggerli — possono però, senza risalire oltre il decreto di Carlo V del 1530, rispondere che la Repubblica di Firenze si è sottomessa all’osservanza di quel decreto, per cui la dignità di Capo della Repubblica è stata vincolata e sostituita all’infinito ai maschi della casa de’ Medici; che tale sostituzione è stata osservata da quasi due secoli; che, mancando maschi nel primo ramo, furono chiamati quelli del secondo; e che, parimenti, venendo meno i maschi del secondo, essa dovrà passare a quelli del terzo, e così all’infinito (ad infinitum).

I fiorentini hanno ragione di temere che, come minacciato dallo stesso decreto, contravvenendovi sarebbero considerati ribelli e disobbedienti all’Imperatore e all’Impero, privati di tutti i privilegi e grazie concessi dai precedenti Imperatori, e che tutto il loro dominio sarebbe ritenuto devoluto all’Imperatore e all’Impero.


ARTICOLO VII

Diritti dei pisani a riacquistare la loro libertà

La maggior parte dei pisani amanti della libertà, ridotti nel 1509 sotto la dominazione fiorentina, abbandonarono la città e si ritirarono a Genova o nello Stato di Venezia, sicché Pisa divenne popolatissima di vuoti e lo sarebbe ancor più oggi se il Granduca Cosimo I non vi avesse istituito un’Università e la residenza principale dei Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano. Pertanto, poiché la maggior parte degli abitanti attuali non discende dagli antichi pisani repubblicani, è poco verosimile che — anche se il Granduca, il figlio e la figlia morissero senza figli — pensino, e ancor meno abbiano forza sufficiente, di rimettersi in libertà senza riconoscere più la sovranità del Duca o della Repubblica di Firenze.

Tuttavia, se i pisani volessero e potessero sottrarsi alla dominazione fiorentina, avrebbero buone ragioni per allegare che: la Repubblica di Pisa è più antica di quella di Firenze; che il diritto dei fiorentini non ha altro fondamento che l’acquisto della città di Pisa da Gabriele Visconti, figlio naturale del duca di Milano, il quale l’aveva comprata da Gherardo Appiani (che ne aveva usurpato la tirannide) e quindi, non avendo titolo legittimo alla signoria di quella città, non poteva trasferirne uno valido ad altri; di modo che, non potendosi prescrivere contro la libertà quando il titolo originario è viziato e manifestamente ingiusto, a un popolo libero — come a una persona libera — è lecito riacquistare la libertà quando se ne presenti una favorevole occasione.

Queste ragioni sarebbero abbastanza solide se fossero addotte dallo stesso popolo che fu ingiustamente privato della libertà e fossero sostenute da forze sufficienti a scuotere il giogo dei fiorentini; ma, poiché la maggior parte dell’odierna popolazione di Pisa è composta da forestieri stabilitisi in città; poiché sono trascorsi più di due secoli da quando i fiorentini si impadronirono di Pisa dopo lungo assedio, per diritto di guerra; e poiché Pisa dipende da loro, gli attuali abitanti non sarebbero ascoltati se chiedessero di essere liberati, né avrebbero forze sufficienti per liberarsi da sé; non potrebbero, inoltre, esimersi dal riconoscere lo stesso capo della Repubblica di Firenze, da cui Pisa dipendeva quando, nel 1530, l’imperatore Carlo V stabilì la forma di governo di quella Repubblica.

ARTICOLO IX

Diritti del Papa su una parte degli Stati del Granduca

Si è detto che il Granduca possiede, ai confini dello Stato della Chiesa, il Vicariato di Radicofani (presso l’Orvietano) e la città vescovile di Borgo San Sepolcro (presso la contea di Città di Castello).

Il Vicariato di Radicofani è stato concesso in feudo dai Papi ai Granduchi di Toscana; a meno che l’infeudazione non sia espressamente per le femmine oltre che per i maschi della casa de’ Medici, alla morte del Granduca e del Principe tornerà alla Camera Apostolica in mancanza di maschi.

Borgo San Sepolcro è un antico pegno della Sede Apostolica; spetterà quindi ai ministri del Papa verificare per quali somme e condizioni tale pegno fu costituito e se Sua Santità abbia diritto e interesse a riscattare la città rimborsando il prezzo del pegno.


ARTICOLO X

Diritti dell’Imperatore sugli Stati che compongono il Granducato di Toscana

Se, morto senza figli maschi il Granduca di Toscana e il Principe suo figlio, l’Imperatore trovasse modo di impadronirsi dei loro Stati — come sembra che il Regno di Napoli e i ducati di Milano e Mantova, che già possiede in Italia, potrebbero facilitargli — non gli mancherebbero ragioni verosimili per fondare il suo diritto, sostenuto per di più da buone truppe.

Potrebbe sostenere, ed è vero, che tutta l’Etruria/Toscana è dipesa dall’Impero fin dai tempi di Carlo Magno; che le città di Firenze, Pisa e Siena non divennero libere se non perché pretesero di avere acquistato la libertà dagli Imperatori; che Firenze, da cui Pisa già dipendeva, fu nel 1529 privata della libertà da Carlo V per essere entrata e rimasta in una lega contro di lui; che, dopo un lungo assedio, fu costretta ad arrendersi e a sottomettersi alla forma di governo che piacesse all’Imperatore, il quale con decreto imperiale la assoggettò alla dominion della casa de’ Medici; e che, non restando maschi discendenti dai Granduchi istituiti da Carlo V, la città e il territorio devono ritornare sotto la giurisdizione dell’Impero, non potendosi invocare l’affrancamento che Firenze pretende le sia stato concesso dall’imperatore Rodolfo I, nullo perché i diritti dell’Impero sono imprescrittibili e inalienabili se non col consenso degli Stati dell’Impero e, oltre a ciò, revocato e annullato da Carlo V per la manifesta ribellione della città contro l’Impero.

Ma i Medici superstiti potrebbero opporsi alla pretesa dell’Imperatore invocando lo stesso decreto di Carlo V del 1530, col quale — come già detto — l’Imperatore concesse remissione della loro rivolta, restituì tutti i privilegi già accordati dai predecessori, stabilì che Alessandro de’ Medici e, dopo di lui, gli agnati primogeniti della casa de’ Medici fossero all’infinito Capi della Repubblica di Firenze, e minacciò i fiorentini della privazione dei privilegi e della devoluzione del dominio all’Impero solo nel caso contravvenissero a quel decreto.

Sembra dunque che l’Imperatore non abbia diritto di privare i fiorentini dei loro privilegi e di ridurli sotto la giurisdizione immediata dell’Impero qualora il Granduca e il Principe suo figlio morissero senza maschi, se non nei casi in cui i fiorentini volessero tornare repubblica o deferire la sovranità a chiunque altro che non sia il più vicino e primogenito della casa de’ Medici.


ARTICOLO XI

Diritti del re di Spagna sugli Stati che compongono il Granducato di Toscana

Filippo V, re di Spagna, nel caso il Granduca, il Principe suo figlio e l’Elettora sua figlia muoiano senza figli, può pretendere di succedere ai feudi femminili e ai beni allodiali della casa de’ Medici in diritto della moglie Elisabetta Farnese, discendente da Margherita de’ Medici, bisavola (figlia del Granduca Cosimo II). Se in quel paese vale la rappresentazione, ella potrebbe succedere immediatamente rappresentando il principe Eduardo Farnese suo padre, che era il primogenito di Francesco, attuale duca di Parma, e del principe Antonio suo fratello; altrimenti, succederebbe se quei due principi morissero senza figli.

Quanto a Siena, egli potrebbe succedervi di proprio diritto in qualità di re di Spagna se il Granduca e il figlio morissero senza maschi, poiché, come si è detto, Carlo V concesse questo Stato a Filippo II suo figlio e ai suoi successori re di Spagna; e Filippo II lo cedette al duca Cosimo I solo per lui e per i suoi discendenti maschi; e Cosimo ne rese omaggio a Filippo II e ai suoi successori. Dunque, mancando discendenti maschi di Cosimo I, non ci sarebbe alcuna difficoltà che lo Stato di Siena ritorni a Filippo V. Non potrebbero contestarglielo l’Elettrice Palatina (a causa del sesso), né i Medici superstiti (perché non discendono da Cosimo I), né i principi discendenti per linea femminile da quel Granduca (perché non possono avere più diritti delle principesse loro ave che ne erano escluse per sesso).

Solo l’Imperatore potrebbe contestare questo diritto, forte della pretesa sulla monarchia di Spagna, i cui regni inserisce tra i suoi titoli; ma poiché l’Imperatore ne ha solo il titolo e Filippo V è possessore effettivo dei regni di Spagna, sembra che debba essere preferito a un re titolare; e che la riconoscenza che il Granduca è stato costretto a fare dell’Imperatore come re di Spagna non possa privarlo di un diritto che è connesso alla corona che egli effettivamente possiede.